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Contratti a termine: utilizzo più flessibile da parte delle imprese con le nuove causali

Il decreto Lavoro ha modificato le regole dei contratti a termine per fornire alle aziende una maggiore elasticità di manovra nel loro utilizzo. In particolare, tra le modifiche introdotte durante l’iter parlamentare, si sottolinea quella relativa alla disciplina dei rinnovi che, in riferimento ai contratti entro i primi 12 mesi, viene equiparata a quella delle proroghe. Quindi, anche in caso di rinnovo, o più rinnovi, sarà necessario indicare la causale solamente quando la sommatoria dei rapporti determina il superamento dei 12 mesi. Quali possono essere gli effetti sul mercato del lavoro? Se ne parlerà durante la XIV edizione del Festival del Lavoro, organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla sua Fondazione Studi, che si svolgerà a Bologna dal 29 giugno al 1° luglio 2023.

La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato è stata oggetto di numerose evoluzioni e profondi cambiamenti nel corso degli ultimi vent’anni, tra normative più o meno restrittive. Non entrando nel merito delle molteplici intenzioni del legislatore, in ultimo con il decreto Lavoro (D.L. 48/2023), emerge il persistente bisogno delle aziende di essere dotate di strumenti flessibili per gestire i rapporti di lavoro. Evoluzione normativa Nell’ultimo ventennio la normativa sul lavoro a tempo determinato è stata oggetto di grande interesse da parte dei legislatori che si sono succeduti. Il D.Lgs. n. 368/2001, in recepimento della Direttiva comunitaria 1999/70/CE, aveva altresì aggiunto delle causali, non richieste a livello europeo, di natura tecnica, produttiva, organizzativa o sostitutiva, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”. Successivamente, la legge n. 92/2012, Legge Fornero, ha fatto un passo indietro in termini di rigidità, inserendo il tempo determinato “acausale” per i primi 12 mesi, ed è stata l’apripista per poi arrivare all’apertura totale da parte della legge n. 78/2014, che ha liberalizzato al massimo il contratto a tempo determinato, eliminando le causali, e fissando un termine massimo complessivo di 36 mesi. Con il D.Lgs. n. 81/2015, ed in particolare con gli articoli 19 e successivi, sono state confermate le riforme strutturali introdotte con il D.L. n. 34/2014, convertito, con modifiche, dalla Legge n. 78/2014, introducendo, però, un limite legale del 20%, che operava e opera, per quei settori che attualmente non avevano limitazioni previste dalla contrattazione collettiva. Con l’entrata in vigore del decreto Dignità, il D.L. n. 87/2018, convertito nella legge n. 96/2018, la disciplina del contratto a tempo determinato è stata completamente rivoluzionata, mantenendo una forma di elasticità solamente per i primi 12 mesi, a determinate condizioni, e reinserendo le causali, formalizzate in modo tale da renderne difficile, se non impossibile, l’applicazione, e riducendo la durata massima da 36 a 24 mesi (salvo diversa previsione della contrattazione collettiva). Tutto questo ha riportato indietro la normativa di più di 50 anni, restringendo brutalmente le possibilità per le aziende di utilizzare il rapporto di lavoro a tempo determinato. Il decreto Lavoro Il D.L. n. 48/2023, riformula l’attuale disciplina dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2015 andando, di fatto, a sostituire le condizioni del decreto Dignità. In particolare, la possibilità di superare i 12 mesi di acausalità e di stipulare rinnovi contrattuali è subordinata, in primis, alle motivazioni previste dalla contrattazione collettiva, ovvero, in mancanza, alle ragioni di carattere tecnico - organizzativo e produttivo individuate dalle parti (datore di lavoro e lavoratore). Di tale deroga ci si può avvantaggiare fino al 30 aprile 2024, ribadendo, solo in assenza di disciplina da parte della contrattazione collettiva ex art. 51 D.Lgs. n. 81/2015. Tale termine è stato infatti apposto al fine di consentire alla contrattazione collettiva, di individuare specifiche causali che giustifichino l’apposizione del termine. Resta chiaramente sempre valida l’assunzione con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro. Il decreto Legge, entrato in vigore, prevede che la possibilità di superare i primi 12 mesi di acausalità e non superiore a 24 mesi è subordinata a: a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015; b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; b-bis) in sostituzione di altri lavoratori. Successivamente alla pubblicazione del decreto Lavoro, durante l’audizione nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 685, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, soffermandosi sugli articoli ritenuti di primaria importanza, ha inteso offrire il proprio contributo nell’ambito della discussione relativa ai contenuti del D.L. n. 48/2023. Ha ritenuto, infatti, importante evidenziare l’apprezzabile cambio di paradigma, rispetto al passato, relativamente ad una tecnica di scrittura legislativa caratterizzata da concretezza e finalizzata ad una più semplice ed immediata comprensione delle novelle disposizioni normative. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, dopo aver esaminato l’art. 24 e ferma restando la condivisione della nuova disciplina, finalizzata a consentire un utilizzo più flessibile di tale istituto contrattuale nel pieno rispetto della direttiva comunitaria riferita alla prevenzione degli abusi, ha evidenziato taluni aspetti che necessitano specifici chiarimenti. Innanzitutto, è auspicabile una precisazione in riferimento alla decorrenza dell’applicazione della normativa. In particolare, sarebbe auspicabile specificare quale siano le varie fattispecie. E cioè, che un rinnovo è un nuovo contratto, per cui nulla osta all’applicazione delle norme del D.L. n. 48/2023. Diverso è il caso della proroga, che più limitatamente è lo spostamento in avanti della scadenza di un rapporto identico per ogni altro aspetto, per cui non ci sarebbe motivo di mutarne il regime. Se la proroga però riguarda un contratto attualmente di durata infra annuale e dunque acausale, è possibile pensare che una proroga che superi tale limite e che dunque richiede l'applicazione della causale, per la prima volta a quel contratto, debba essere prevista secondo la nuova norma Si ritiene, altresì, importante chiarire che, in merito alle causali individuate dalla contrattazione collettiva, in ottemperanza a precedenti previsioni normative, e presenti nei diversi CCNL attualmente in vigore, in attesa dell’aggiornamento delle relative discipline contrattuali, si debba ricorrere esclusivamente ed in via sussidiaria alla pattuizione di causali per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti. Le modifiche dell’iter parlamentare Importanti novità sono state apportate al decreto Lavoro, attraverso gli emendamenti approvati dalla decima Commissione del Senato. La novità sicuramente da sottolineare, riguarda la disciplina dei rinnovi che, in riferimento ai contratti entro i primi 12 mesi, viene equiparata a quella delle proroghe. Questo vuol dire che, anche in caso di rinnovo, o più rinnovi, sarà necessario indicare la causale solamente quando la sommatoria dei rapporti determina il superamento dei 12 mesi. All’interno degli emendamenti troviamo anche una regola transitoria secondo la quale, ai fini del computo dei dodici mesi che determinano l’insorgenza dell’obbligo di indicare la causale, vanno considerati i soli contratti stipulati a far data dall’entrata in vigore del D.L. n. 48/2023, ovvero dal 5 maggio 2023. Questi cambiamenti completano gli interventi contenuti nel decreto Lavoro 48/2023, il quale ha riscritto, e di conseguenza modificato significativamente, la disciplina introdotta con il Decreto Dignità. Considerazioni conclusive In conclusione, ritengo importante evidenziare come le riforme del Diritto del Lavoro sono sempre caratterizzate dall’evoluzione del mercato del lavoro dove, è vero che il rapporto comune deve essere il contratto a tempo indeterminato, così come definito all’art. 1 del D.Lgs. n. 81/2015 ma, è altrettanto vero che, alle aziende bisogna fornire tipologie contrattuali che consentano una maggiore elasticità di manovra, in virtù anche di quanto sancito dall’art. 41 della nostra Costituzione. Il decreto Lavoro, attraverso la modifica dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2023, e non solo, ha certamente ridato una boccata d’ossigeno al contratto a tempo determinato e, grazie all’attuale formulazione, a seguito anche dei successivi emendamenti, che potremo vedere concretizzati in sede di prossima conversione in legge, troverà sicuramente maggior appetibilità ed applicabilità. La stipula di contratti a termine di lunga durata porterà ad un doppio binario dove, da un lato, l’azienda, investirà sui tali lavoratori, anche in termine di formazione, portando alla fidelizzazione degli stessi; dall’altro, i lavoratori, potendo anche dimostrare, durante il percorso, le proprie capacità e il loro “valore”, sia apportato che ancora da apportare all’azienda, difficilmente vedranno decadere il contratto alla scadenza, ma molto più probabilmente, la trasformazione a tempo indeterminato.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/06/22/contratti-termine-utilizzo-flessibile-parte-imprese-nuove-causali

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