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Sindaci e revisori legali esclusi dall’applicazione della legge sull’equo compenso

L’incarico di sindaco, anche se sotto il profilo contrattuale è qualificabile in termini di prestazione d’opera intellettuale, tuttavia, in termini di diritto societario, assume un ruolo ben diverso dal mero svolgimento di un incarico professionale. Infatti, secondo Assonime, tale incarico deve essere considerato una vera e propria funzione organica necessaria a tutela di interessi collettivi tanto dei soci quanto di terzi, non potendosi, così, ricomprendere nell’ambito di applicazione della disciplina dell’equo compenso. Alla stessa conclusione Assonime giunge anche con riferimento agli emolumenti dei revisori legali. Nella circolare n. 24 del 2023 l’Associazione non tratta il tema l’applicabilità della legge sull’equo compenso agli emolumenti corrisposti ai membri degli organismi di vigilanza ex lege 231.

Nella circolare 3 agosto 2023, n. 24 Assonime illustra le principali novità introdotte dalla legge n. 49/2023 in tema di equo compenso delle prestazioni intellettuali rese dai professionisti iscritti in albi e dai professionisti non organizzati in ordini professionali, analizzandone i principi generali, l’ambito di applicazione e, infine, concentrandosi sugli emolumenti dei sindaci e dei revisori legali. I principi generali della legge sull’equo compenso Assonime introduce i principi generali della legge 21 aprile 2023, n. 49, individuandone gli elementi essenziali. Principio cardine della norma è prevedere la nullità delle clausole che: (i) non quantificano un compenso equo, (ii) stabiliscono il divieto al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione, (iii) gli impongono l’anticipazione di spese o (iv) attribuiscono comunque al committente vantaggi sproporzionati. La norma si applica alle prestazioni d’opera intellettuale rese dai professionisti iscritti negli albi dei dottori commercialisti e degli avvocati, nonché dai professionisti non organizzati in ordini professionali, a favore di: - banche e loro controllate e mandatarie; - assicurazioni e loro controllate e mandatarie; - imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato più di 50 dipendenti o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro; - PA e società disciplinate dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica. La nullità delle clausole contrattuali, che non prevedano un “compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore”, si ha quando i compensi sono inferiori a quanto indicato: - (per gli avvocati) nel decreto del Ministro della Giustizia n. 55/2014; - (per i dottori commercialisti) nel decreto del Ministro della giustizia n. 140/2012; - (per le professioni non organizzate in ordini o collegi) in un emanando decreto del Ministro delle imprese. La ratio della legge, prosegue Assonime, è quella di rafforzare la tutela dei professionisti verso clausole ritenute vessatorie ex lege. Il richiamo ai decreti suindicati assume un valore direttamente precettivo e la fissazione di compensi inferiori ai minimi derivanti dall’applicazione dei parametri conduce alla nullità delle clausole che li prevedono. L’ effetto sostanziale di questo meccanismo di richiamo è quello di reintrodurre il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, precedentemente abrogato in osservanza dei principi europei sulla concorrenza. L’ambito di applicazione Assonime precisa, innanzitutto, che la norma non si applica alle “convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge” (20 maggio 2023, N.d.A.). Pacifico è l’ambito soggettivo di applicazione, che si applica per i rapporti professionali tra dottori commercialisti e degli avvocati, nonché dai professionisti non organizzati in ordini professionali a favore di: banche e loro controllate e mandatarie; assicurazioni e loro controllate e mandatarie; imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato più di 50 dipendenti o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro; della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica. Meno limpido invece è l’ambito di applicazione oggettivo. Sul punto Assonime si domanda se la norma trovi applicazione in tutti i rapporti contrattuali tra i professionisti e le imprese o solo con riguardo ad alcune tipologie di rapporti contrattuali. Il dato letterale specifica che la legge sull’equo compenso trova applicazione ai rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni di opera intellettuale di cui all'art. 2230 c.c. “regolati da convenzioni”, ma, al contempo, la stessa legge precisa che l’ambito di cui trattasi non è quello di tutti i rapporti contrattuali tra professionisti e imprese, ma - attraverso il riferimento agli accordi in cui le clausole “sono comunque utilizzate dalle imprese” - solo di quei rapporti contrattuali i quali derivino da un accordo vincolante non negoziato tra le parti. In altre parole, Assonime afferma che l’applicazione automatica di minimi tabellari può trovare ragione rispetto a corrispettivi fissati in via unilaterale e generalizzata dall’impresa sfruttando la sua posizione di forza contrattuale, non applicandosi, quindi ad ogni rapporto contrattuale. Tale interpretazione, prosegue Assonime, risulta anche l’unica in linea con i principi europei di concorrenza e con il principio costituzionale di ragionevolezza. In conclusione, Assonime ritiene che la legge sull’equo compenso debba essere interpretata nel senso che non sarebbero ricomprese in essa tutti quei contratti, anche predisposti da una sola delle parti, ma che sono oggetto di una specifica negoziazione tra le stesse relativamente al compenso e fuoriescono, per tale ragione, dall’alveo di “rapporti oggetto di convenzioni”. La negoziazione riferita alla specifica vicenda contrattuale esclude in radice che sia predicabile una forma di abuso di potere contrattuale da parte dell’impresa. Impatto sugli emolumenti di sindaci e revisori legali di S.p.a. Assonime specifica che le prescrizioni del D.M. n. 140/2012 relative alle attività dei dottori commercialisti, se pure astrattamente dirette a definire i parametri di liquidazione dei compensi di una serie di attività, tra cui quella di sindaco, di revisore legale, di liquidatore di società, non troverebbero concreta applicazione per tali incarichi che sono, per definizione, rapporti professionali relativi a una specifica situazione contrattuale in cui manca il presupposto della convenzione, nel senso fin qui indicato. Assonime precisa che il dubbio circa l’applicazione della disciplina dell’equo compenso nasce dal capo III del D.M. n. 140/2012, regolante le modalità di liquidazione giudiziale del compenso per l’attività di sindaco di società svolta dai dottori commercialisti. L’incarico di sindaco, anche se sotto il profilo contrattuale è qualificabile in termini di prestazione d’opera intellettuale, tuttavia, in termini di diritto societario, assume un ruolo ben diverso dal mero svolgimento di un incarico professionale. Infatti, secondo l’Associazione, tale incarico deve essere considerato una vera e propria funzione organica necessaria a tutela di interessi collettivi tanto dei soci quanto di terzi, non potendosi, così, ricomprendere nell’ambito di applicazione della disciplina. Assonime giunge alla stessa conclusione anche con riferimento agli emolumenti dei revisori legali. L’attività di revisione legale può essere affidata soltanto ai soggetti iscritti nell’apposito Registro istituito presso il Ministero dell’Economia e delle finanze. I revisori legali non costituiscono, tuttavia, un ordine professionale stante l’assenza di uno specifico ente pubblico non economico a carattere associativo, assimilabile ad un consiglio professionale, dotato di autonomia regolamentare, patrimoniale e finanziaria e di poteri disciplinari sugli iscritti. Questa caratteristica pone gli iscritti al Registro dei Revisori legali al di fuori della categoria dei “professionisti iscritti in ordini o collegi” di cui alla lettera b) dell’art. 1 della legge sull’equo compenso, con la conseguenza che rispetto ad essi non trova applicazione il D.M. n. 140/2012. Assonime, infine, ricorda che per i revisori legali gli emolumenti sono disciplinati dall’art. 10, D.Lgs. n. 39/2010. Quanto detto risulta sufficiente, per Assonime, ad escludere dall’ambito di applicazione della legge sull’equo compenso i revisori legali. Non trattato da Assonime, invece, è il tema dell’applicabilità della legge sull’equo compenso agli emolumenti corrisposti ai membri degli organismi di vigilanza, ex lege n. 231/2001. Sarebbe stato opportuno un riferimento anche a quest’ultimi, in quanto si tratta di professionisti che possono essere sia avvocati sia dottori commercialisti, ma anche ingegneri e quant’altro. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/08/05/sindaci-revisori-legali-esclusi-applicazione-legge-equo-compenso

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