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Molestie e mobbing: verso una disciplina organica per la tutela dei lavoratori

Sono tre i disegni di legge riguardanti le molestie sessuali e il mobbing sul lavoro oggetto di analisi in Commissione al Senato. L’obiettivo è trasporre nell’ordinamento nazionale i principi della Convenzione OIL n. 190, per ovviare alla mancanza, nell’ordinamento giuslavoristico italiano, di una fattispecie omnicomprensiva e unitaria di violenza e molestie lavorative. La Convenzione, in sintesi, prevede che ciascuno Stato italiano si impegni ad adottare leggi e regolamenti che richiedano ai datori di lavoro di intraprendere misure di prevenzione degli atti di violenza e molestia e di adoperarsi ai fini della messa a disposizione di misure di orientamento, di risorse, di strumenti di formazione. Quali sono attualmente le misure a tutela degli atti discriminatori? Quali saranno i prossimi passi del Legislatore?

In Senato a Commissioni parlamentari congiunte attualmente si stanno analizzando tre disegni di legge riguardanti le molestie sessuali e il mobbing: “Disposizioni in materia di molestie sul lavoro, molestie sessuali e di mobbing” (A.S. n. 89, A.S. n. 257 e A.S. n. 671), fattispecie caratterizzate da differenze tra le condotte tipizzanti sia il mobbing e le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Si tratta di un argomento sempre più attuale, come è dimostrato dalle sempre più numerose pronunce giurisprudenziali in materia. Ma soprattutto dalla necessità divenuta fondamentale di legiferare in materia applicando la ratifica della Convenzione OIL n. 190 che è entrata in vigore il 29 ottobre 2022. Con la ratifica, lo Stato italiano si è impegnato ad adeguare la normativa nazionale ai principi e ai diritti previsti da questo trattato internazionale. Molestie sessuali e mobbing: disciplina nell’ordinamento giuslavoristico italiano Nell’ordinamento giuslavoristico italiano non esiste una fattispecie omnicomprensiva e unitaria di violenza e molestie lavorative. Esiste, invece, una distinzione tra la tutela antidiscriminatoria che è caratterizzata da una nozione unitaria di “molestie” e quella di diritto comune, che si articola in una pluralità di distinte fattispecie derivate principalmente dall’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 2087 del Codice civile, e del D.Lgs. n. 198/2006, “Codice delle pari opportunità” tra uomo e donna, in cui il legislatore italiano ha recepito le linee guida comunitarie sancite nella Direttiva CEE n. 2002/73, con conseguente disparità di effetti e di tutele date anche da diversità evidenti. Il diritto penale italiano non prevede attualmente per le molestie sessuali in ambito lavorativo una fattispecie ad hoc. A livello giurisprudenziale le molestie sessuali sul lavoro sono state, a seconda della gravità e delle modalità dei comportamenti molesti, sussunte in vari reati. Più in generale è necessario ricordare che secondo la dottrina molestia è ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l'equilibrio psico-fisico normale di una persona. Tale definizione dottrinale del concetto di molestia è stata peraltro ripresa dalla giurisprudenza (Cass., Sez. I, sentenza n. 19718 del 2005), secondo cui l’elemento è costituito da tutto ciò che altera dolosamente, fastidiosamente e importunamente lo stato psichico di una persona, con azione durevole o momentanea; non è necessario che tale condotta integri (anche) un serio attentato al bene della integrità morale della persona offesa. Tipizzazione delle condotte configurabili come mobbing o molestia Nel nostro ordinamento, il fenomeno del mobbing non trova in provvedimenti legislativi di rango primario una specifica disciplina. In assenza, quindi, di una disciplina organica del fenomeno del mobbing, la giurisprudenza è intervenuta in funzione di "supplenza" del legislatore, riscontrando non poche difficoltà ai fini della tipizzazione delle condotte, configurabili attraverso una varietà di atti e comportamenti in cui elementi soggettivi di carattere psicologico rendono più complessa l'analisi probatoria. Le fattispecie di mobbing sono state inizialmente ricondotte, ai fini del risarcimento del danno, prevalentemente: all'art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro), ai sensi del quale “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure ... necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, interpretato come fonte di responsabilità anche contrattuale del datore di lavoro; all'art. 2043 c.c. (in materia di responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro e di responsabilità oggettiva dello stesso per gli illeciti commessi dai dipendenti); in caso di mobbing e demansionamento, all'art. 2103 c.c. per il settore privato e all'art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001 per il settore pubblico. Nella molestia sessuale vi è una forte componente fisica (contatto fisico o intrusione negli spazi altrui); il mobbing ha una componente essenzialmente psicologica. La molestia si manifesta anche con l’uso di termini del tutto dispregiativi, con una ricerca anche di approvazione in terzi soggetti; nel mobbing si cerca invece proprio di evitare l’utilizzo in pubblico di espressioni offensive, soprattutto alla presenza di testimoni, concretizzandosi le condotte illecite in critiche e false accuse nei confronti della vittima. La vittima della molestia sessuale è considerata di solito inoffensiva, incapace di difendersi; la vittima del mobbing viene, invece, vista come un bersaglio pericoloso da tenere sotto controllo e nel caso allontanare. La molestia può consistere in un episodio singolo o in più episodi; il mobbing è caratterizzato, necessariamente, da una pluralità e reiterazione dei comportamenti lesivi, dalla ripetitività e sistematicità dei comportamenti da parte del soggetto agente nei confronti del lavoratore, preordinati ad ingenerare “grave disagio” nella vittima. Il lavoratore, la lavoratrice che ritiene di aver subito una molestia deve agire in giudizio provando la stessa. Il Codice delle pari opportunità, sopra citato, detta una disposizione anche in punto di onere della prova, stabilendo, nell’art. 40, che “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”(Cassazione civ., Sez. lavoro, sentenza 15 novembre 2016, n. 23286). Il legislatore prevede un regime probatorio agevolato nei confronti della vittima delle molestie, la quale può dare prova delle stesse anche attraverso presunzioni, spettando, poi, all’autore della molestia la prova del fatto che la condotta denunziata non sia discriminatoria. (cfr. Cass. civ., Sez lav., n. 12318/2010). In una fattispecie in cui un lavoratore, con mansioni di capo reparto e, successivamente, di responsabile del settore analisi e ricerche, aveva lamentato di aver subito mobbing, la Suprema Corte (cfr. Cass. civ., Sez. lav., sentenza 27 dicembre 2011, n. 28962) ha evidenziato come la Corte di Appello abbia correttamente esaminato l’insieme dei comportamenti tenuti del datore di lavoro, evidenziando come “nessuna ratio unificatrice lega gli eventi addebitati all’Amministrazione, che non costituiscono azioni mirate in senso univoco verso un obiettivo predeterminato diretto ad emarginare il C., e. non vi sono circostanze che consentono di ritenere esistente l’elemento soggettivo costituito dalla specifica intenzione di discriminare e vessare il lavoratore esercitando nei suoi confronti una violenza morale”. Attualmente la tutela accordata al lavoratore vittima di molestie sessuali ricalca quella riconosciuta alla vittima del mobbing. Infatti, secondo la giurisprudenza concorde e la dottrina, le molestie sessuali vengono ricondotte alla violazione del generale obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità psico-fisica, l’incolumità e la personalità morale del lavoratore, ai sensi dell’art. 2087 c.c.: nell’ipotesi, quindi, in cui il datore di lavoro sia a conoscenza di condotte moleste poste in essere sul luogo di lavoro, ha il preciso dovere di intervenire adottando tutte le misure necessarie, anche di natura disciplinare e organizzativa, al fine di garantire la tutela dei dipendenti. Il datore di lavoro potrebbe essere anche chiamato a rispondere anche in via extracontrattuale (ex art. 2049 c.c.) per il fatto illecito commesso dal proprio dipendente nello svolgimento delle funzioni assegnate e in solido con lo stesso (in tal caso, la responsabilità del datore di lavoro potrebbe essere esclusa solo laddove venisse provato non solo il dolo del lavoratore, ma anche il fatto che la molestia si sia verificata sul luogo di lavoro solo in via del tutto accidentale e casuale). La vittima della molestia sessuale, così come la vittima del mobbing, ha diritto al risarcimento di tutti i danni subiti, compresi quelli non patrimoniali, nelle componenti di danno biologico, morale ed esistenziale. Dunque l’adottare un intervento legislativo più ampio e chiarificatore in ordine alle situazioni di conflittualità che possono sorgere sul luogo di lavoro, a seconda dei casi denunciate come mobbing, straining o molestie, e alla loro giusta tutela è necessario non solo in conformità della ratifica OIL ma anche per garantire che solo le condotte realmente connotate da gravità portino ad una condanna nei confronti dell’autore delle stesse, evitando che “demansionamenti, trasferimenti non condivisi ecc.” siano “sistematicamente” e pretestuosamente tradotti come vessatori o persecutori, alimentando così il contenzioso in materia. Convenzione OIL: linee guida La Convenzione OIL sull'eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, legge 15 gennaio 2021, n. 4, ha autorizzato la ratifica da parte dell'Italia eseguita sull'eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro (adottata a Ginevra il 21 giugno 2019) ed è entrata in vigore per l'Italia il 29 ottobre 2022 (secondo il termine dilatorio di dodici mesi, decorrente dalla registrazione della ratifica italiana da parte del Direttore generale dell'Ufficio Internazionale del Lavoro, termine previsto dall’articolo 14, paragrafo 3, della stessa Convenzione). Ai sensi e al fine dell’applicazione della Convenzione la locuzione "violenza e molestie nel mondo del lavoro" indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico (il riferimento è ad eventi che si verifichino in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro); nell’ambito della suddetta nozione generale, la locuzione "violenza e molestie di genere" indica la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali. Si ricorda, in sintesi, che la Convenzione richiede che ciascuno Stato (al quale si applichi la medesima) si impegni: ad adottare leggi e regolamenti che definiscano e proibiscano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro; ad assumere misure adeguate atte a prevenire la violenza e le molestie nel mondo del lavoro; ad adottare leggi e regolamenti che richiedano ai datori di lavoro di intraprendere misure, adeguate e proporzionate al rispettivo livello di controllo, in materia di prevenzione degli atti summenzionati di violenza e molestia; a stabilire misure adeguate ai fini dell'effettività della tutela - anche giurisdizionale - in materia (nonché ai fini della protezione della riservatezza); ad adoperarsi ai fini della messa a disposizione dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle rispettive organizzazioni, nonché delle autorità competenti, di misure di orientamento, di risorse, di strumenti di formazione o di altri supporti, con riferimento ai temi della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro. La caratteristica delle linee guida della Convenzione Violence and harassment in the world of work: A guide on Convention No. 190 and Recommendation No. 206 si evidenzia per l’indicazione di standard minimi indicati ai 187 Paesi componenti OIL di implementare l’efficacia della risposta sanzionatoria (in linea con la filosofia della “tolleranza zero”), modulando diversamente i meccanismi processuali in materia di riparto dell’onere della prova e prendendo in considerazione la possibilità di ampliare l’ambito della funzione dissuasiva del risarcimento E’ inoltre opportuno introdurre una norma generale di tutela dei testimoni e degli informatori da possibili rappresaglie o ritorsioni; rilevanti saranno gli effetti pratici nell’ordinamento giuridico nazionale sia per la giurisprudenza e gli operatori del diritto che per il legislatore. Senza la legislazione italiana molte disposizioni di diritto interno potrebbero venire in rilievo nei singoli contenziosi relativi a violenze o molestie lavorative proprio per la loro possibile difformità dagli standard minimi dettati dalla Convenzione OIL n. 190. Altrettanto centrale è l’implicazione relativa alla formazione degli operatori del diritto, in primis avvocati e magistrati. La piena conoscenza degli strumenti di tutela approntati dall’ordinamento potrà consentire non solo di affrancarsi dall’imperante “panmobbismo” ma, soprattutto, di dare impulso all’evoluzione del diritto vivente nella direzione della pienezza e dell’effettività della protezione riconoscibile a favore di tutte le vittime di violenze e di molestie sul lavoro. Questa implicazione coinvolge anche l’organismo nazionale responsabile dell’Ispezione del lavoro, a cui la Convenzione e la Raccomandazione OIL attribuisce un ruolo centrale tanto nella funzione di protezione e prevenzione quanto nella funzione di contrasto, attraverso la messa a disposizione di misure di orientamento, di risorse, di informazione e di formazione sui temi della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro. A prescindere dall’opera del legislatore nazionale, resta il fatto che la ratifica della Convenzione OIL rappresenta uno strumento verso un mondo del lavoro in cui la dignità e il rispetto saranno i pilastri fondanti. In questo contesto, la violenza e le molestie non possono e non devono avere cittadinanza. Questo è un percorso lungo e non privo di ostacoli, in cui un ruolo fondamentale dovranno esplicare non solo gli attori principali del mondo del lavoro (in primo luogo i governi e le rappresentanze sindacali e datoriali), ma anche i protagonisti del mondo del diritto, quest’ultimo inteso come tecnica al servizio della giustizia. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/08/07/molestie-mobbing-disciplina-organica-tutela-lavoratori

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