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Attività investigativa esterna del datore di lavoro: quando e in quali casi è lecita

Sebbene sussista un divieto generale di controllo occulto, il datore di lavoro può esercitare il potere di controllo sui dipendenti tramite agenzie investigative, ma a particolari condizioni. Il controllo di un’agenzia investigativa non può riguardare, in nessun caso, l’adempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera. Nello specifico, il divieto di controllo occulto non opera quando il ricorso alle investigazioni private sia diretto alla verifica di comportamenti che possono configurare condotte illecite o anche solo il sospetto della loro realizzazione. Quali sono le ipotesi più diffuse di ricorso alle investigazioni?

Con provvedimento del 6 luglio 2023 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato un’azienda di servizi dopo l’accertamento di illiceità del trattamento dei dati di un dipendente che non riusciva ad ottenere riscontro delle varie richieste d’accesso ai propri dati personali, a seguito di una contestazione disciplinare riferita ad attività extra lavorative, supportata da attività investigative esterne, conclusa con il licenziamento del lavoratore. La vicenda offre lo spunto per esaminare i requisiti che consentono al datore di lavoro di avvalersi di agenzie investigative. Potere di controllo Tra i poteri attribuiti al datore di lavoro, quello di controllo consente di verificare che l'attività aziendale si svolga secondo le sue direttive. L'esercizio di tale potere si inserisce nel complesso rapporto tra l’interesse datoriale all’accertamento dell’attività dei dipendenti e il diritto di questi ultimi a veder tutelata la propria dignità e riservatezza. Elemento condizionante del rapporto e della sua prosecuzione, è il vincolo fiduciario che intercorre tra le parti, ispirato ai doveri di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) Ciò posto, l’esercizio del potere di controllo soggiace a precisi limiti e le tutele previste dallo Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) impongono taluni divieti al datore di lavoro; basti ricordare l’art. 2 che consente i controlli sulla persona attraverso l'utilizzo di guardie giurate o perquisizioni personali esclusivamente per scopi di tutela del patrimonio aziendale; l’art. 3, il quale stabilisce che il personale preposto alla vigilanza deve essere posto a conoscenza dei lavoratori (divieto di controllo occulto), ovvero l’art. 4, comma 1, che disciplina l'impiego di strumenti di controllo a distanza, consentito previo accordo sindacale o autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, solo per esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro o tutela del patrimonio aziendale. Controlli investigativi e presupposti Diversamente dalle tipologie di controllo citate, lo Statuto dei lavoratori non prevede un’apposita disciplina per le indagini sui lavoratori svolte da investigatori privati, ma la giurisprudenza, ormai consolidata, definisce il perimetro di legittimità entro il quale il datore di lavoro può agire. L’indagine commissionata dal datore di lavoro ad investigatori privati rientra nelle ipotesi previste dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori; tuttavia, sebbene sussista un divieto generale di controllo occulto, il datore di lavoro può esercitare il potere di controllo sui dipendenti tramite agenzie investigative, a particolari condizioni. Il controllo delle guardie giurate, o di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, l’adempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera. In buona sostanza, il divieto di controllo occulto non opera quando il ricorso alle investigazioni private sia diretto alla verifica di comportamenti che possono configurare condotte illecite o anche solo il sospetto della loro realizzazione (ex plurimis Cass. 04.03.2014, n. 4984; Cass. 11 giugno 2018, n. 15094). Sul punto merita precisare che l’affidamento dei controlli ad un’agenzia investigativa è consentito non solo quando l’illecito è stato perpetrato, ma anche in ragione del sospetto o della mera ipotesi che gli illeciti siano in corso di esecuzione (Cass., 9 luglio 2008, n. 18821; Cass. 07.06.2003, n. 9167). L’attività di controllo non deve essere conseguenza di scelte arbitrarie del datore di lavoro e non può riguardare indistintamente un gruppo di lavoratori. L’attività dell’agenzia, per essere lecita, non deve sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, poiché quest’ultima è riservata direttamente al datore di lavoro dall’art. 3 cit. e ai suoi collaboratori. E’ necessario che l’incarico alle agenzie sia conferito per iscritto e che l’attività di investigazione si svolga entro i limiti della normativa in materia di privacy e delle disposizioni del Codice penale, per concludersi in tempi ragionevoli. Dall’analisi della giurisprudenza di legittimità è possibile rilevare le ipotesi più diffuse di ricorso alle investigazioni: - esercizio di attività extralavorativa svolta dal dipendente in violazione del divieto di concorrenza; - uso improprio da parte del dipendente dei permessi ex art. 33 della legge n. 104/1992; - comportamenti adottati dal dipendente durante la malattia, in riferimento a condotte extralavorative; - svolgimento durante l’orario di lavoro di attività retribuita in favore di terzi; - assenza o simulazione della presenza in servizio. Accertamento dello stato di malattia del lavoratore Va ricordato che l’art. 5 dello Statuto dei lavoratori preclude al datore di lavoro qualsiasi controllo di tipo sanitario, direttamente legato all’accertamento dell’infermità per malattia o dell’infortunio occorsi al lavoratore. Detto controllo può avvenire esclusivamente attraverso i servizi ispettivi degli enti previdenziali competenti. Per effetto di tale divieto, diventa oltremodo importante verificare fino a dove può spingersi il datore di lavoro che sospetti la simulazione dello stato morboso del lavoratore. Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale le indagini investigative, purché si pongano al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, sono lecite se finalizzate a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità della stessa a determinare lo stato di incapacità lavorativa, peraltro rilevante anche quale illecito disciplinare. Nel nostro ordinamento, difatti, non sussiste un divieto assoluto per il dipendente di prestare altra attività, in costanza di malattia. Più precisamente, secondo costante giurisprudenza, il licenziamento comminato al lavoratore che durante l’assenza per malattia si dedichi al compimento di altre attività è legittimo soltanto quando l’attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia (intento fraudolento) e nelle ipotesi in cui tale attività, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio (ex plurimis Cass., 13.04.2021 n. 9647; Cass., 19.03.2019, n. 7641; Cass., 17.12.2018, n. 32600). In altre parole, il certificato medico non basta ad attestare la malattia del lavoratore in presenza di altri elementi che dimostrino l’inesistenza della stessa o, comunque, la sua inidoneità a impedire la prestazione lavorativa, anche ricavabili dalle indagini sul comportamento extralavorativo del lavoratore (Cass. 16.08.2016, n. 17113). L’inganno perpetrato è causa legittima di licenziamento, in quanto lesivo del rapporto di fiducia tra il lavoratore e il datore di lavoro e quest’ultimo può affidare ad un’agenzia investigativa il compito di seguire il dipendente assente per malattia allo scopo di verificare se la certificazione medica inviata sia attendibile oppure no, anche in presenza di un semplice sospetto. In tal caso non si verte in ipotesi di controllo datoriale circa l’esecuzione della prestazione, ma nella verifica di un comportamento extralavorativo illecito, fondato sul sospetto dell’imprenditore in relazione al mancato svolgimento della prestazione per insussistenza dell’incapacità lavorativa; il controllo è quindi giustificato dalla mera ipotesi che sia in corso di esecuzione un comportamento illecito del dipendente. Spetta al giudice la valutazione circa la legittimità e congruità della sanzione inflitta rispetto al comportamento tenuto dal dipendente che, se contraria ai doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, può essere di tipo espulsivo (Cass. 17 giugno 2020, n. 11697). Attività extralavorativa Tra le ipotesi più comuni di ricorso alle investigazioni vi è anche lo svolgimento di un’attività lavorativa ulteriore e in concorrenza con quella del datore di lavoro. Il controllo affidato all’agenzia investigativa, espletato al di fuori dell'orario di lavoro, è stato ritenuto legittimo dalla suprema Corte nel caso di verifica sull'attività extralavorativa del lavoratore, con riguardo a comportamenti disciplinarmente rilevanti (cfr. Cass. 22 maggio 2017, n. 12810 per il licenziamento di un lavoratore che, al di fuori dell’orario lavorativo, prestava attività presso società concorrenti e di cui il datore di lavoro è venuto a conoscenza con l’ausilio di un’agenzia investigativa). Parimenti, la Corte ha ritenuto legittimi gli accertamenti espletati da soggetti esterni per l’individuazione di mancanze specifiche dei dipendenti, giudicando come proporzionale ai fatti, la sanzione del licenziamento comminato per scarsa diligenza e ripetuta inosservanza degli obblighi e dei doveri connessi alla prestazione lavorativa in assenza di condotte discriminatorie in danno del lavoratore (Cass. 9 ottobre 2020, n. 21888). Indagini sull’uso dei permessi del lavoratore Nel consolidato orientamento giurisprudenziale sin qui delineato, si innestano anche i controlli effettuati per individuare i comportamenti del lavoratore che abusa dei permessi per l’assistenza a disabili ex art. 33 della legge n. 104/1992. La fattispecie assume rilevanza disciplinare (oltre che penale), poiché l'utilizzo da parte del lavoratore di permessi con finalità assistenziale per scopi diversi, costituisce comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, che può dar luogo al licenziamento. In tal caso è legittimo il controllo esercitato dal datore di lavoro attraverso l'agenzia investigativa e l'utilizzabilità delle relative prove, escludendo che possa trattarsi di una verifica tesa ad accertare l'adempimento della prestazione lavorativa (ex plurimis Cass. 12.05.2016, n. 9749; Cass. 04.03.2014, n. 4894). Sempre in tema di permessi, con pronuncia n. 25287 del 24 agosto 2022, la Suprema Corte ha invece dichiarato illegittimo il controllo svolto da un’agenzia investigativa, concluso con il licenziamento del lavoratore. La decisione della Corte è particolarmente interessante perché circoscrive e ribadisce il perimetro dei controlli. Nel caso di specie, durante un’indagine condotta da un’agenzia investigativa sulla dipendente di una banca, sospettata di abusare dei permessi per l’assistenza a familiari disabili, era emerso che un altro dipendente della banca si era più volte allontanato dal proprio ufficio durante l’orario lavorativo, per svolgere attività personali estranee al lavoro. L’azienda si era quindi avvalsa delle risultanze delle investigazioni rivolte alla lavoratrice per licenziare il collega. La Suprema Corte ha quindi ribadito il principio che consente all’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti esterni (l’agenzia investigativa), ma l’adempimento o l’inadempimento dell’obbligazione lavorativa del lavoratore di prestare la propria opera sono elementi sottratti al controllo e la vigilanza deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore. Ne consegue che l’attività investigativa, ancorché svolta nell’ambito delle indagini nei confronti della lavoratrice, esplicandosi nell’orario di lavoro del collega licenziato, esula dai limiti consentiti. Falsa attestazione della presenza in servizio E’ possibile affidare ad agenzie di investigazione anche le indagini per la verifica della presenza in servizio. Come noto, la fattispecie fraudolenta delle false attestazioni di presenza viene perpetrata con l’allontanamento dal luogo di lavoro, omettendo di timbrare il badge o timbrando in entrata e in uscita, talvolta anche affidando il lavoro a colleghi compiacenti. Anche in questo caso, per i Giudici di legittimità è legittimo il controllo che non sia diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge; inoltre, i controlli non violano la privacy del dipendente se vengono effettuati in luoghi pubblici per accertare le cause dell’allontanamento (C. Cass. 01.03.2019, n. 6174). Valore probatorio delle investigazioni Si sottolinea, infine, che non sempre l’accertamento difensivo effettuato tramite agenzia investigativa è sufficiente a fornire la prova o la motivazione per il licenziamento. In giudizio non sussiste alcun automatismo, poiché la documentazione presentata dall’agenzia, come per le altre tipologie di prove, è sottoposta alla valutazione del giudice. Sul tema, tuttavia, non mancano pronunce della Cassazione in cui la perizia investigativa non è stata ritenuta sufficiente a fornire prova perché troppo lacunosa, mentre sono richiesti elementi indiziari di particolare significatività (Cass. 19 giugno 2020, n. 12032). Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/09/23/attivita-investigativa-esterna-datore-lavoro-casi-lecita

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