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Retention del personale: come orientarsi tra politiche di natura contrattuale, economica e di conciliazione vita lavoro

Nel mercato del lavoro le aziende attuano sempre di più politiche di retention del personale per trattenere le figure considerate strategiche. In particolare, sono tre gli strumenti che possono essere utilizzati a tale scopo: politiche di natura contrattuale, economico - retributiva e di conciliazione vita lavoro. Quali sono le caratteristiche e le differenze tre questi tre strumenti? Come possono essere utilizzati dai datori di lavoro? Quali sono gli impatti a livello di costo del lavoro?

La situazione di mercato del lavoro attuale pone in evidenza da un lato le grandi difficoltà (in alcuni casi l’impossibilità) a trovare alcuni profili particolari e specialistici e dall’altro la particolare difficoltà delle aziende a trattenere le figure considerate strategiche. Quest’ultimo aspetto comporta la necessità per i datori di lavoro di adottare e porre in essere una serie di politiche di retention delle proprie risorse con il fine di “preservarle” dal mercato esterno del lavoro. Politiche di retention che non necessariamente devono essere di natura retributiva (ti retribuisco e ti riconosco una ral più alta rispetto al mercato di riferimento) ma che possono anche riguardare aspetti fondamentali quali il benessere del lavoratore e la conciliazione vita lavoro. Quali sono pertanto alcuni strumenti che possono essere adottati dai datori di lavoro? E quali impatti a livello di costo del lavoro? Nella definizione delle politiche di retention del personale si possono individuare essenzialmente 3 macro categorie. Tralasciando in questo momento il tema sempre attuale del welfare aziendale, inteso come insieme di benefici e prestazioni erogato nell’intento di integrare la componente meramente monetaria della retribuzione sia in funzione di sostegno al reddito sia in funzione di miglioramento della vita privata e lavorativa, si possono individuare 1. Politiche di natura contrattuale 2. Politiche di natura economico - retributiva 3. Politiche di incentivazione della conciliazione vita lavoro. Politiche di natura contrattuale Con tali politiche di gestione, si interviene contrattualmente nel rapporto di lavoro. Si tratta di accordi - contratti con i quali datore di lavoro e lavoratore si vincolano affinché il rapporto perduri per un certo periodo di prova. Si tratta delle clausole di stabilità o di durata minima ovvero di accordi che consentono di stabilizzare, per una o entrambe le parti, la durata del rapporto di lavoro per un determinato periodo di tempo. La giurisprudenza riconosce la legittimità di tali clausole volte a limitare per un determinato periodo di tempo la facoltà di dimissioni del lavoratore, purché: 1. tali clausole vincolino in egual misura anche il potere di recesso datoriale; 2. rinvengano un corrispettivo nella natura della prestazione o in particolari investimenti economici e/o formativi del datore di lavoro; Quando si parla di clausola di stabilità, questa può essere distinta in 3 grandi tipologie, a seconda che la stessa venga posta: 1. a favore del dipendente, con conseguente obbligo da parte del datore di lavoro di non procedere a licenziamento entro il termine concordato (in tal caso, la pattuizione costituisce un «trattamento di miglior favore» per il dipendente); 2. a favore del datore di lavoro, con obbligo del lavoratore di non dimettersi per il periodo convenuto (di norma, viene garantito al lavoratore un corrispettivo a fronte dell’impegno del medesimo a restare in azienda per un periodo predeterminato); 3. a favore di entrambi, con obbligo reciproco di non recedere dal rapporto lavorativo per un lasso di tempo convenzionalmente pattuito. Sulla legittimità di queste clausole di stabilità, la Cassazione (sentenza n. 1435 dell’11 febbraio 1998) ha stabilito che Il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso. Per quanto riguarda la “valorizzazione” il “corrispettivo” economico spettante al lavoratore può essere individuato in una somma di denaro ma anche nella formazione finanziata dal proprio datore di lavoro; con specifico riferimento alla clausola di stabilità collegata all’erogazione della formazione si segnala la sentenza del tribunale di Velletri (sentenza n. 305 del 21/2/2017) che ha stabilito che il patto può essere ritenuto legittimo quando da parte dell’imprenditore sia stato sostenuto un reale costo finalizzato alla formazione del lavoratore e che quindi sia interessato “a poter beneficiare per un periodo di tempo minimo ritenuto congruo, del bagaglio di conoscenze acquisito dal lavoratore”. Politiche di natura economica Nell’ambito delle politiche di retention di natura economica, tralasciando la ral, si possono individuare lo sviluppo o il potenziamento dell’incentivazione su base individuale. Il premio o incentivo individuale è una somma di denaro, aggiuntiva rispetto alla ral, concordata al momento dell’assunzione o anche successivamente, che viene riconosciuta a fronte del raggiungimento da parte del lavoratore di determinati risultati individuali in un certo arco di tempo. Si ritiene che sono in genere i premi variabili ad avere un effetto motivazionale e fidelizzante più alto rispetto ad un eventuale aumento fisso ed è indubbio che l’incentivazione aiuta a sviluppare una cultura meritocratica in azienda: retribuisco i risultati piuttosto che (solo) la quantità di lavoro. Il processo di incentivazione individuale è strutturato con livelli di strutturazione che potranno essere diversi: si definiscono degli obiettivi di prestazione, si misurano i risultati raggiunti, si riconosce un incentivo in funzione del grado di raggiungimento degli obiettivi. Per quanto riguarda gli obiettivi da assegnare possono essere individuati diverse tipologie di risultati di prestazione da assegnare in una scheda di obiettivi.

Risultati quantitativiSi misurano i “numeri” che la risorsa ha prodotto o ha contribuito a produrre con la sua azione diretta; sono una misura oggettiva
Risultati qualitativiSi misurano e/o si valutano attività e progetti realizzati (es. attività innovative) e/o indicatori qualitativi (es.: soddisfazione dei clienti): possono tradursi in numeri, ma c’è solitamente una componente soggettiva
Comportamenti organizzativiSi valutano le modalità con le quali certe attività sono state svolte per ottenere certi risultati (es.: ascolto delle esigenze del cliente interno)
A livello di costo del lavoro, l’importo del premio sarà da assoggettare alle consuete variabili ovvero a contribuzione INPS, INAIL e l’importo sarà da assoggettare a retribuzione utile per il calcolo del TFR. Ma il beneficio per l’azienda è che si tratta di un costo variabile, che dovrà essere sostenuto solo al momento del raggiungimento dell’obiettivo a differenza della retribuzione ordinaria che rappresenta invece un costo fisso. Politiche di conciliazione vita lavoro Nell’ambito delle politiche di retention finalizzate a incentivare la conciliazione vita lavoro rientra a pieno titolo il lavoro agile o smart working. Il lavoro agile o smart working è stato introdotto e regolamentato dal 2017 come strumento di incremento della competitività e come misura per agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. È definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Quello che lo caratterizza è che la prestazione lavorativa deve essere eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa. Una prestazione solo da remoto non è lavoro agile ma telelavoro, mentre una prestazione solo in presenza non è lavoro agile. Il legislatore, in un’ottica di rispondere ad una sorta di scambio sociale (non interessa da dove e quanto lavori ma quello che conta è che mi raggiungi i risultati/obiettivi concordati) riconosce al lavoratore agile una massima flessibilità nella gestione del proprio orario di lavoro, in quanto lo stesso è tenuto a rispettare i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero (13 ore per garantire il rispetto del riposo giornaliero) e settimanale (48 ore settimanali su 6 giorni alla settimana), derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Ruolo centrale lo assume però l’accordo tra le parti, che deve disciplinare l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali e deve andare a individuare i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e organizzative) per garantire la disconnessione del lavoratore. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/09/25/retention-personale-orientarsi-politiche-natura-contrattuale-economica-conciliazione-vita-lavoro

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