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Reati presupposto 231: cosa prevede il decreto Giustizia

Nuovamente ampliato il perimetro 231: è quanto emerge dalla legge di conversione del decreto-legge Omnibus bis, o decreto Giustizia. Nel catalogo dei delitti idonei a far scattare la responsabilità amministrativa da reato degli enti sono ora inseriti anche i delitti di turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e trasferimento fraudolento di valori. Quali sono le sanzioni previste per le imprese che incorrono in tali reati?

È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 137/2023, di conversione del decreto Omnibus bis (o decreto Giustizia) del 10 agosto 2023, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione. Tra le novità ivi contenute spicca l’ampliamento del catalogo dei reati presupposto idonei a far scattare, laddove commessi nell’interesse o a vantaggio della società da un apicale o da un subordinato, la responsabilità amministrativa da reato degli enti di cui al D.Lgs. 231/2001, dalla quale possono derivare, come noto, pesanti sanzioni sia pecuniarie che interdittive, oltre alla confisca e alla pubblicazione della sentenza di condanna. Responsabilità 231 nelle gare pubbliche In particolare, il decreto, con l’art. 6-ter comma 2 lett. a), è intervenuto in primis sull’art. 24 del D.Lgs. 231/2001 (concernente la responsabilità amministrativa da reato per indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture), al fine di inserire fra i reati presupposto della responsabilità amministrativa i delitti di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.). Si ricorda che la prima delle due fattispecie è integrata laddove, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, venga impedita o turbata la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di Pubbliche Amministrazioni, ovvero ne vengono allontanati gli offerenti. Peraltro, il reato, da cui ora deriva la possibile responsabilità dell’ente, si configura anche nel caso di licitazioni private per conto di privati dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata. Quanto invece all’art. 353-bis c.p. (turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), la norma punisce chi, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione. Tali reati vanno ora ad aggiungersi ai delitti già contemplati dal predetto art. 24, ovvero la malversazione di erogazioni pubbliche (art. 316-bis c.p.), l’indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.), la frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), la truffa ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640, secondo comma, numero 1), la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640-bis e 640-ter c.p.). La sanzione applicata alla società è fino a 500 quote; da 200 a 600 quote se l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità. Dunque, tenendo conto che il valore di una quota varia da un minimo di 258 a un massimo di 1549 euro, a seconda delle condizioni economiche e patrimoniali della società, la sanzione pecuniaria applicata all’ente potrebbe superare i 900 mila euro. Alla quale vanno ad aggiungersi anche le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 lett. c), d) ed e) D.Lgs. 231/2001, ovvero il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Trasferimento fraudolento di valori Il decreto appena convertito in legge è intervenuto anche sull’art. 25.octies.1 del D.Lgs. 231/2001 (concernente la responsabilità amministrativa da reato per delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti), inserendo un comma 1-bis volto a prevedere tra i reati presupposto il delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.), con sanzione amministrativa da 250 a 600 quote, oltre all’applicazione delle sanzioni interdittive dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o della revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni; del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi (di cui all’art. 9 comma 2 D.Lgs. n. 231/2001). Si tratta della fattispecie originariamente disciplinata dall’art. 12-quinquies D.L. n. 306/1992 (convertito in legge n. 356/1992) e successivamente trasferita nel c.p., pur invariata nel testo, la quale prevede che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p. (cioè ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro o beni di provenienza illecita), è punito con la reclusione da due a sei anni. Riguardo a tale reato, giova ricordare che si applica sia qualora l’intestazione fittizia avvenga ad opera di soggetti terzi rispetto agli autori del reato presupposto, sia qualora sia realizzata da questi ultimi, ogniqualvolta attribuiscano fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità dei proventi illeciti al fine di agevolare un loro reinvestimento in attività produttive. Bisogna infatti evidenziare che la norma in questione, non contemplando alcuna clausola di esclusione della punibilità (come invece previsto per il riciclaggio), mira a punire anche l’autore del reato presupposto laddove abbia predisposto una situazione di apparenza giuridica e formale difforme dalla realtà circa la titolarità o disponibilità dei beni di provenienza delittuosa al fine di agevolare la commissione dei delitti di reimpiego (Cass. pen., S.U., n. 25191/2014). Proprio tale peculiarità ha portato, prima della introduzione della fattispecie di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 c.p., a considerare il trasferimento fraudolento di valori, nell’applicazione giurisprudenziale, e laddove integrati gli ulteriori elementi richiesti dalla norma, alla stregua di una figura di autoriciclaggio ante litteram. Ciò detto, una volta entrato in vigore il reato di autoriciclaggio, il quale è stato contestualmente inserito nel catalogo dei reati “231”, sono sorte questioni circa i rapporti tra questa ipotesi delittuosa e il reato di cui all’art. 512-bis c.p.. Dunque, la Corte di Cassazione ha in più occasioni (Cass. pen., Sez. II, n. 3935/2017 e n. 35455/2022) riconosciuto il concorso tra i due reati. Invero, la condotta di autoriciclaggio non presuppone e non implica che l’autore di essa ponga in essere anche un trasferimento fittizio a un terzo dei cespiti rivenienti dal reato presupposto. Questo è un elemento ulteriore, che l’ordinamento intende punire ai sensi dell’art. 512-bis c.p.; tratto che, proprio in quanto coinvolge un terzo soggetto, il quale dovrà rendersi formale artefice dell’autoriciclaggio dopo aver funto da prestanome del dante causa autore del reato presupposto, non può neanche ricomprendersi tra quelle “altre operazioni” idonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni, contemplate dall’art. 648-ter.1 c.p. e riferibili esclusivamente al soggetto agente o a chi agisca per lui ma senza aver ricevuto autonoma e formale investitura. Inoltre, come evidenziato dagli Ermellini nelle summenzionate pronunce, le due violazioni della legge penale si pongono anche in momenti cronologicamente distinti, a ulteriore dimostrazione della loro diversità, che preclude assorbimenti: l’autore del reato presupposto, prima, compie operazione di interposizione fittizia, la quale, successivamente, darà luogo a quella di autoriciclaggio, senza la quale la condotta sarebbe punibile solo per il reato trasferimento fraudolento di valori. Tali considerazioni diventano quanto più rilevanti ora, rendendo necessario un puntuale risk assessment e un aggiornamento dei modelli organizzativi idonei a prevenire i reati e la responsabilità dell’ente, che tengano conto dei tratti distintivi della nuova fattispecie rispetto ai delitti sinora ricompresi nel catalogo “231”. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/10/13/reati-presupposto-231-prevede-decreto-giustizia

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