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Bonus per la rinuncia a quota 103: gli effetti sull’importo della pensione

I lavoratori del settore pubblico e privato che, avendo soddisfatto le condizioni per la pensione anticipata quota 103, decidono di continuare a lavorare hanno la possibilità di rinunciare al versamento dei contributi pensionistici a proprio carico e di ricevere direttamente in busta paga la somma corrispondente, innalzando così la retribuzione netta. Una scelta che però ha degli effetti, non trascurabili, sull’importo della futura pensione del lavoratore. Rinunciando ai contributi IVS a proprio carico, il lavoratore vede infatti diminuire l’aliquota relativa al finanziamento e al calcolo della propria quota contributiva di pensione. Alcuni esempi di calcolo possono aiutare ad individuare la possibile perdita stimata sulla pensione.

L'INPS, con la circolare n. 82/2023, ha fornito dettagli sull'opportunità offerta ai lavoratori che, avendo soddisfatto le condizioni per la pensione anticipata quota 103, decidono di continuare a lavorare (Bonus Maroni). Secondo l'art. 1 co. 286 della legge di Bilancio 2023 (L. n. 197/2022) difatti, tali lavoratori, sia nel settore pubblico che privato, hanno la possibilità di rinunciare al versamento dei contributi pensionistici a proprio carico e di ricevere direttamente in busta paga la somma corrispondente, innalzando così la retribuzione netta. A decorrere dal 1° aprile 2023, questa rinuncia può essere attivata dai lavoratori iscritti presso l’Assicurazione generale obbligatoria INPS e le gestioni sostitutive ed esclusive, nonché presso la gestione Separata. Da sottolineare che, per i dipendenti del settore pubblico, la possibilità di avvalersi della facoltà sussiste dal 1° agosto 2023. La rinuncia, che può essere attivata una sola volta, riguarda solo i contributi pensionistici da accreditarsi successivamente alla data di decorrenza teorica della quota 103 e, comunque, alla data della richiesta. L’adesione a questa particolare opzione cessa al conseguimento di una qualsiasi tipologia di pensione diretta, al compimento dell'età pensionabile per il trattamento di vecchiaia ordinario (67 anni sino al 31 dicembre 2024), o laddove il lavoratore decida di non avvalersi più della facoltà. I chiarimenti dell’INPS In merito ai datori di lavoro, l'INPS, attraverso la circolare n. 82/2023, ha chiarito che, in seguito alla rinuncia al versamento dei contributi da parte del lavoratore, sorge l’esenzione dal pagamento dei contributi che sarebbero stati a carico del dipendente, ma permane l’obbligo di pagamento della quota di contribuzione a carico dell’azienda. L'importo non versato e non trattenuto come contributo viene quindi trasferito direttamente al lavoratore, risultando imponibile fiscalmente, ma non previdenzialmente (esente da contribuzione). L’incentivo, non offrendo benefici diretti ai datori di lavoro, non necessita dell’emissione del DURC regolare. Inoltre, non rientrando tra gli incentivi occupazionali, non deve sottostare alle disposizioni in materia, tra cui l'art. 31 del D.Lgs. n. 150/2015. La circolare INPS ha anche delineato come l'incentivo interagisca con altri benefici contributivi: nello specifico, in merito all’esonero parziale dai contributi IVS a carico del lavoratore, come definito dai relativi articoli della L. 197/2022 e del DL 48/2023, il beneficio associato alla rinuncia a quota 103 è ridotto di conseguenza. Infine, per quanto riguarda le modalità operative, l'INPS ha fornito istruzioni dettagliate su come l'incentivo dovrebbe essere gestito nel sistema UniEmens e come si applica ai rapporti di lavoro domestico. Effetti sulla pensione Gli effetti del Bonus Maroni sull’importo della futura pensione del lavoratore non sono indifferenti. Rinunciando ai contributi IVS a proprio carico, il lavoratore vede infatti diminuire l’aliquota relativa al finanziamento e al calcolo della propria quota contributiva di pensione. Fortunatamente, non ci sono cambiamenti nella retribuzione utilizzata per determinare le quote retributive della pensione. Nello specifico, come precisato dall’INPS nella circolare n. 82/2023, con riferimento alla quota di pensione contributiva, il montante contributivo individuale deve essere determinato applicando alla base imponibile, per i periodi interessati dall’incentivo, l’aliquota di computo nella sola percentuale prevista a carico del datore di lavoro. Nella generalità dei casi, l'aliquota IVS (utile a determinare i trattamenti per invalidità, vecchiaia e superstiti) è complessivamente pari al 33% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, di cui il 9,19% a carico del lavoratore ed il restante 23,81% dal datore di lavoro. L'aliquota a carico del lavoratore è maggiorata di un punto percentuale laddove la retribuzione ecceda la prima fascia di retribuzione pensionabile annua (per il 2023 pari a 52.190 euro). Ad esempio, in presenza di un imponibile INPS annuale pari a 30.000 euro, di regola 9.900 euro (33%) sono accantonati nel montante contributivo del lavoratore. Laddove la quota a carico del dipendente non sia trattenuta, la somma accantonata scende a 7.143 euro. Ma questo come si riflette sulla pensione? Ipotizzando che un lavoratore di 62 anni, con 30.000 euro di imponibile previdenziale annuo, già in possesso di 41 anni di contributi, rinunci al conseguimento sia della pensione quota 103, che della pensione anticipata ordinaria (che può essere ottenuta con 42 anni e 10 mesi di contributi, più l’attesa di una finestra di 3 mesi), e attenda il compimento di 67 anni e 2 mesi (età per la pensione di vecchiaia con l’aggiunta del futuro previsto adeguamento alla speranza di vita) per uscire dal lavoro, la perdita stimata sulla pensione sarebbe pari a 793,74 euro annui. Questo risultato è dato dalla differenza tra 2.850,21 euro (risultato del valore di 9.900 euro di contribuzione annua IVS, corrispondente all’aliquota del 33%, moltiplicato per 5 anni e per il coefficiente di trasformazione corrispondente a 67 anni e 2 mesi di età, pari a 5,758) e 2.056,47 euro (risultato del valore di 7.143 euro di contribuzione annua IVS, corrispondente all’aliquota del 23,81%, moltiplicato per 5 anni e per il coefficiente di trasformazione corrispondente a 67 anni e 2 mesi di età, pari a 5,758). Naturalmente, si tratta di un risultato di massima, suscettibile di variazione in base ad eventuali modifiche future della retribuzione, degli adeguamenti alla speranza di vita e dei coefficienti di trasformazione (questi ultimi sono i valori, espressi in percentuale, corrispondenti all’età del lavoratore al momento del pensionamento, che convertono il montante contributivo in pensione). Inoltre, non è stato considerato l’incremento del montante contributivo in base al futuro tasso di capitalizzazione, basato sulla variazione quinquennale del Pil nominale. Appare chiaro che, tanto più risulterà elevata la retribuzione e più lunga la durata del periodo di validità della facoltà di rinuncia, quanto più risulterà impattante il “Bonus quota 103” sulla pensione. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/10/19/bonus-rinuncia-quota-103-effetti-importo-pensione

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