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Parità retributiva sul lavoro: dove siamo e qual è il possibile ruolo della contrattazione collettiva

Il fenomeno del gap salariale di genere è una problematica che impatta inevitabilmente ed in modo trasversale su questioni di carattere sociale ed economico. Il Legislatore comunitario e nazionale è già intervenuto per introdurre delle misure dedicate alla parità di genere sul lavoro, che tuttavia sembrano non aver raggiunto del tutto ancora i loro obiettivi. Come bisognerebbe quindi procedere? L’approccio ad un tema così complesso deve essere multidisciplinare coinvolgendo, oltre al Legislatore, la contrattazione collettiva, anche a livello aziendale, che può rappresentare la leva per intervenire in modo più incisivo sulle singole realtà. Siamo sulla giusta direzione?

Se nell’analisi dei fenomeni sociali ci si limitasse alla lettura delle norme giuridiche che li regolano, il tema della parità di genere legato alla retribuzione sarebbe un “non tema” nel 2023. Sotto questo profilo, in qualunque ordinamento fondato su uno stato di diritto ed aderente alle convenzioni internazionali non sarà possibile intercettare anche solo una norma che possa o voglia fondare delle differenze retributive sulle differenze di genere. Nonostante un dato normativo unanime, l’analisi del mondo reale lascia trasparire qualcosa di molto differente. Analizzando i dati di fonte Comunitaria emerge che le donne nel 2020 hanno guadagnato in media il 13% in meno per ogni ora di lavoro rispetto ai colleghi uomini. In ambito comunitario il fenomeno si presenta con entità molto to differenti fra i vari Stati, infatti, si passa da Paesi “virtuosi” in cui il gap salariale si attesta al di sotto del 5%, fra cui l’Italia a paesi nei quali la differenza si attesta intorno al 18 % fino al picco della Lituania in cui la differenza supera la soglia del 22%. I motivi delle differenze retributive Ma le domanda da porsi al fine di indagare sulle soluzioni sono: perché, dove e quando si concretizza questo gap salariale? Le risposte a queste domande vengono da differenti ricerche condotte nel corso del tempo tutte sostanzialmente convergenti negli esiti che individuano le cause in fattori differenti. Il primo motivo di gap salariale è dato dalla “segregazione settoriale”. Con questo termine si intende quel fenomeno per il quale vi sono dei settori in cui l’occupazione femminile è sovra rappresentata e tali settori spesso coincidono con quelli peggio retribuiti. Tale situazione comporta inevitabilmente una prima ragione di gap salariale. Il secondo motivo è quello della diseguale proporzione fra ore lavorate ed ore non lavorate. Sotto questo profilo è un dato oggettivo quello per cui le donne pur svolgendo più ore di lavoro nel corso della settimana rispetto agli uomini, una parte di queste non sono retribuite. La ragione di tale fenomeno discende dalla circostanza per cui molte delle attività legate alla cura della famiglia ricadono sulle donne. In questo contesto la tendenza della politica europea ma anche di quella nazionale è quella di implementare i congedi di paternità al fine di condividere in modo più equanime la gestione della famiglia e dei figli e conseguentemente il tempo di lavoro retribuito. Sempre con riferimento al tempo di lavoro, una ricerca americana - Paese nel quale il gap salariale di genere si attesta in media al 17% - ha approfondito il fenomeno evidenziando come le donne abbiano maggiore esigenza di prevedibilità dell’orario di lavoro e, conseguentemente, una minore disponibilità in termini di tempo allo svolgimento di prestazioni in regime di lavoro straordinario che viene assorbito dal personale maschile. In particolare, la ricerca ha accertato che in caso di offerta di turni di lavoro straordinari con un beve preavviso le donne accettavano lo svolgimento della prestazione con una percentuale del 50 % inferiore rispetto agli uomini. Quando, invece, la possibilità di svolgere la prestazione, anche straordinaria, è preceduta da una pianificazione di trimestrale il differenziale fra uomini e donne in termini di disponibilità scendeva solo al 7%, ben 43 punti percentuali di differenza. Anche tale circostanza genera evidentemente una forma indiretta di differenza salariale di genere. Carriera delle lavoratrici e figli L’altra domanda da porsi è il quando nella carriera delle lavoratrici si genera la differenza salariale. Sul punto le ricerche condotte dall’OCSE confermano che esiste una diretta correlazione fra la nascita di un figlio è il gap salariale quantificabile in una media del 7% di differenziale per ogni figlio nato. Questa correlazione ha condotto a sostenere addirittura che si possa parlare di una sorta di bonus paternità. Con riferimento a questo aspetto si è evidenziato che all’inizio della carriera, a parità di istruzione e di lavoro, non si riscontrano significative differenze salariali, differenze che invece cominciano ad emergere a distanza di 5 anni dall’assunzione spesso proprio in coincidenza con la nascita dei figli e l’aumento degli impegni familiari. Gli interventi normativi per ridurre il gap salariale Da questa breve analisi appare del tutto evidente che il fenomeno del gap salariale di genere non possa risolversi solo e soltanto con dei profili normativi ma impatta inevitabilmente ed in modo trasversale su questioni di carattere sociale ed economico. Per far fronte ad un fenomeno di portata globale si segnala il recente intervento del Legislatore Comunitario con la recente Direttiva CE (n. 2023/970) del 10 maggio 2023 meglio nota come direttiva sulla trasparenza retributiva, la cui attuazione da parte degli Stati membri è prevista entro il 7 giugno 2026. In particolare, la direttiva impone una serie di diritti d’informazione al lavoratore in sede costituzione del rapporto di lavoro ma anche nel corso dello svolgimento dello stesso. Inoltre, è previsto il diritto a richiedere il risarcimento del danno in caso di discriminazione salariale fondata sul genere con il relativo ribaltamento dell’onere della prova. Nelle intenzioni del Legislatore Comunitario la trasparenza sulle informazioni sui trattamenti retributivi avrà quale conseguenza quella di ridimensionare la differenza salariale di genere. Rispetto a questo effetto diretto fra trasparenza delle informazioni di carattere retributivo e riduzione delle differenze salariali sono stati sollevati alcuni dubbi. Sebbene la direttiva abbia in termini di attuazione fino al 2026 occorre rilevare come l’Italia sul punto abbia già introitato nel proprio sistema normativo delle disposizioni che sono pienamente aderenti alle previsioni comunitarie. Sotto questo profilo si segnala la Legge n. 162 del 2021 sulla parità salaria in cui già oggi si fa obbligo ai datori lavoro che occupino più di 50 dipendenti di predisporre con cadenza biennale un rapporto sulla situazione del personale di diverso genere dando conto anche dei dati retributivi. Nello stesso complesso normativo si legittima ad agire in giudizio, oltre ai lavoratori, anche gli uffici del consigliere di parità potendo godere di un regime probatorio di miglior favore. Da ultimo la norma introduce la certificazione della parità di genere che evidentemente riguarderà anche gli aspetti retributivi. Il ruolo della contrattazione collettiva In questo quadro occorre dar conto del ruolo di un attore troppo spesso sottovalutato nella lotta alle differenze salariali di genere ovvero quello della contrattazione collettiva. Sotto questo profilo, fermo restando che le parti collettive non posso essere gli unici attori di un processo, deve essere rilevato una pressoché totale incapacità della contrattazione collettiva di incidere sulle diseguaglianze. Sul punto analizzando la contrattazione collettiva di livello nazionale poco o nulla ha un impatto concreto su questo fenomeno fatta salva una serie di enunciazioni di principio - tutte assolutamente condivisibili - ma dal punto di vista operativo non decisive. Sul punto potrebbe avere un ruolo più incisivo la contrattazione di secondo livello nella misura in cui essa può essere in grado di intervenire almeno parzialmente su profili che generano diseguaglianze. Con riferimento a questo aspetto uno dei dati dirimenti è quello della valutazione della performance, anche ai fini della progressione di carriera, argomento sul quale ben potrebbero essere attivatati dei meccanismi di sostegno alla posizione della donna. Con riguardo a questo aspetto la contrattazione potrebbe intervenire con degli elementi di valutazione perequativi finalizzati a compensare le circostanze che sono unanimemente riconosciute come cause del fenomeno. Considerazioni conclusive Volendo trarre alcune conclusioni è possibile affermare che l’approccio ad un tema così complesso non può che essere multidisciplinare poiché coinvolge fattori economici, giuridici ma anche sociali. Dal punto di vista degli attori coinvolti, oltre al Legislatore occorre dare rilievo alle potenzialità della contrattazione collettiva anche a livello aziendale che può rappresentare la leva per intervenire in modo più incisivo sulle singole realtà.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/11/27/parita-retributiva-lavoro-qual-possibile-ruolo-contrattazione-collettiva

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