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Riders e collaboratori etero-organizzati in cerca di tutela previdenziale. Qual è la soluzione più corretta?

L’individuazione dell’inquadramento previdenziale dei riders è ancora in cerca di una soluzione. L’interesse per il tema, da parte della dottrina e dei Giudici, è accentuato anche dal fatto che esso non riguarda solo la specifica figura dei digital platform workers, bensì tutti i rapporti di lavoro che possono essere ricondotti alla figura giuridica delle “collaborazioni etero-organizzate”, introdotta dal Jobs Act. Ci si chiede, quindi, se ai collaboratori etero-organizzati si possano applicare gli istituti riferibili al lavoro subordinato o le regole riconducibili alla Gestione Separata. Quali sono i criteri per identificare la corretta tutela previdenziale?

I riders del food delivery possono considerarsi come una declinazione “mobile” della GIG Economy (“economia dei lavoretti”) o del lavoro tramite piattaforme informatiche, e ciò spiega - unitamente al recentissimo accordo tra i Ministri del lavoro e il Parlamento dell’UE sulla direttiva relativa al lavoro mediante piattaforme digitali - l’attenzione che la giurisprudenza e gli studiosi hanno dedicato alla questione del loro status lavorativo: se essi siano, cioè, da qualificare come lavoratori subordinati, o autonomi, o ancora, riconducibili ad un qualche tertium genus, come da tempo sostiene una certa scuola di pensiero. A questo problema si collega in modo strettissimo quello - da tempo dibattuto in dottrina ma venuto solo di recente all’attenzione dei Giudici - dell’inquadramento previdenziale di detti lavoratori: problema nascente dal fatto che non vi è consenso sull’iscrizione dei riders nella ”Assicurazione Generale Obbligatoria per l’Invalidità Vecchiaia e Superstiti” dell’INPS (“Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti”), ovvero nella cd. “Gestione separata” istituita nel 1995, sempre nell’ambito dell’INPS, per i collaboratori continuativi e i cdd. “professionisti senza cassa”. L’interesse della tematica è accentuato dal fatto che essa non riguarda solo la specifica figura dei riders - e nemmeno soltanto quella dei lavoratori delle piattaforme digitali - , bensì tutti i rapporti di lavoro che possono essere ricondotti alla figura giuridica delle “collaborazioni etero-organizzate”: figura introdotta nove anni or sono dal Jobs Act allo scopo di tracciare una linea di confine per le tutele giuslavoristiche, che si spingesse in qualche misura all’interno del vasto mondo del lavoro autonomo. Inoltre, sul piano pratico il profilo previdenziale emerge con maggiore rilievo, essendo in genere quello più ostico per la parte committente, considerata la doverosità dell’accertamento contributivo da parte degli enti preposti, e l’indisponibilità dei relativi crediti contributivi. E’ pertanto utile dedicare al tema qualche riflessione, anche sulla scia di due sentenze del foro milanese (Trib. Milano 19.10.2023, n. 3237; Trib. Milano 20.10.2023, n. 3239) che, di recente e tra le prime, l’hanno affrontato ex professo, stabilendo che “la prestazione lavorativa dei riders rappresenta una collaborazione eterorganizzata”, e che pertanto essa “è soggetta a tutte le regole del lavoro subordinato, tra cui la disciplina previdenziale”. L’antefatto, naturalmente, sta in ciò, che il Jobs Act, intervenendo sulla distinzione tra lavoro subordinato, parasubordinato e autonomo, ha creato una inedita figura giuridica basata sull’esistenza del potere del committente di organizzare la prestazione, ma non di dirigerla: un potere definito di “etero-organizzazione”, tenuto distinto dalla etero-direzione e quindi dalla subordinazione ex art. 2094 cod. civ.; un potere in presenza del quale, tuttavia, della subordinazione si produce il medesimo effetto regolativo, ossia l’applicazione della “disciplina del rapporto di lavoro subordinato”. Secondo l’opinione prevalente, in tal modo il legislatore non avrebbe modificato la definizione codicistica della subordinazione intesa come assoggettamento al potere direttivo (“alle dipendenze e sotto la direzione”) del datore di lavoro, ma piuttosto, operando sulla “disciplina” anziché sulla “fattispecie”, avrebbe prescritto che ai lavoratori etero-organizzati si applichi la medesima disciplina applicabile ai lavoratori subordinati; restavano invece escluse da tale disciplina le collaborazioni coordinate e continuative non etero-organizzate. Così, mentre la accidentata storia delle “collaborazioni coordinate e continuative” si concludeva con la definitiva fuoriuscita dall’area del lavoro subordinato, il riformatore del 2015 disegnava una variante delle stesse collaborazioni continuative, caratterizzate dalla circostanza che le “modalità di esecuzione” della prestazione “sono organizzate dal committente” (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015). Orbene, se sul piano della disciplina del rapporto di lavoro le incertezze investono l’esistenza o meno di un limite di “compatibilità” delle diverse previsioni della “disciplina” lavoristica (per es., in tema di obbligo di obbedienza, potere di trasferimento o di modifica delle mansioni) con una figura iuris che, in termini di fattispecie, rimane di lavoro autonomo (limite accennato ma non approfondito da Cass. 1663/2020), sul piano previdenziale il problema che si pone è quello dell’inclusione, o meno, degli istituti previdenziali (tutela pensionistica IVS, di malattia, maternità, paternità e genitorialità, disoccupazione involontaria, ecc..) e della loro disciplina giuridica, all’interno dell’espressione “disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, e quindi della loro applicazione ai rapporti di collaborazione continuativa caratterizzati dall’etero-organizzazione. E’ chiaro e condiviso, infatti, che, ove ad applicarsi fosse, anche in materia previdenziale, la norma “di disciplina”, ai collaboratori etero-organizzati si applicherebbero istituti e disciplina riferibili al lavoro subordinato; diversamente, ove si faccia applicazione della norma di fattispecie, troverebbero applicazione gli istituti riconducibili alla “Gestione Separata” per i collaboratori continuativi ex art. 50, c. 1, c-bis) TUIR (che è la norma definitoria fiscale alla quale l’art. 2, c. 26 della L. n. 335/1995 rinvia). Tuttavia, si deve considerare che la materia previdenziale si basa su istanze socio-economiche e non sulla classificazione giuridica dei sottostanti rapporti di lavoro; pertanto sembra arbitrario dedurre, da una norma che prescrive l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a lavoratori autonomi, la necessità di applicare anche la disciplina previdenziale, il cui presupposto di applicazione non dovrebbe mutare per il solo fatto che sia mutata la disciplina giuridica del rapporto contrattuale. Ciò è confermato anche sul piano letterale, giacché l’art. 2, c. 1, JA, fa riferimento alla “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” e non a quella del parallelo rapporto previdenziale (che, non lo si dimentichi, ha natura pubblicistica, non contrattuale, e non corrispettiva). Le ricadute applicative di questa impostazione sono uniformi per la generale categoria delle collaborazioni etero-organizzate, alle quali spetterà (tralasciando il capitolo a sé dell’assicurazione INAIL) la medesima protezione sociale dei collaboratori continuativi iscritti all’apposita Gestione separata istituita presso l’INPS, come quella in materia di indennità di maternità, di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (ove la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente), di assegni per il nucleo familiare, di indennità di malattia anche con degenza ospedaliera. L’insieme delle misure di protezione sociale sopra richiamate può essere applicato solo a chi è iscritto alla Gestione separata presso l’INPS con il conseguente versamento di contributi, il cui ammontare varia in relazione alla posizione assicurativa del lavoratore e al fatto che siano (o meno) titolari di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). Il versamento dei contributi è finalizzato anche - e soprattutto - a consentire al collaboratore di maturare una specifica posizione previdenziale-pensionistica. I contributi gravano per 1/3 sul lavoratore e per 2/3 sul committente. Più sfaccettata è la situazione specifica dei riders (e a fortiori, dei digital platform workers), i quali non sono riconducibili in massa a una specifica figura iuris, potendo, secondo l’opinione preferibile, svolgere la loro attività sub specie di lavoratori subordinati, etero-organizzati, autonomi continuativi, liberi professionisti (con o più spesso “senza cassa”), o autonomi occasionali: potendo pertanto trovare applicazione la “Gestione separata” senz’altro nel secondo e nel terzo caso, ma anche nel quarto (per quelli “senza cassa”) e nel quinto (in caso di superamento della soglia dei 5.000 euro annui). La Gestione separata sembra così affermare, anche in questo campo, la sua natura centralità, rivelandosi idonea a sviluppare una sorta di magnetismo nei confronti del varo ed eterogeno mondo del lavoro autonomo. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/03/16/riders-collaboratori-etero-organizzati-cerca-tutela-previdenziale-qual-soluzione-corretta

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