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Contratto di lavoro intermittente: quali regole utilizzare per evitare le sanzioni

Il datore di lavoro per far fronte a particolari esigenze produttive, che richiedono maggiore flessibilità della prestazione lavorativa, può utilizzare il contratto intermittente (o a chiamata). Tuttavia, la legge, al fine di renderlo una “eccezione” rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, che rappresenta la forma comune del rapporto subordinato, ne subordina l’uso a fronte del rispetto di specifiche ipotesi oggettive e soggettive. Quali sono? In quali casi vige il divieto di utilizzo e quali sono le sanzioni in caso di violazione?

Il contratto di lavoro intermittente rappresenta indubbiamente la formula contrattuale che risponde alle esigenze di flessibilità e temporaneità della prestazione lavorativa richiesta al lavoratore. Nato con la netta finalità di dotare le aziende di uno strumento alternativo al lavoro autonomo occasionale, è quella tipologia contrattuale caratterizzata dal fatto che il datore di lavoro assume il lavoratore, a tempo indeterminato o determinato, e lo utilizza a chiamata/bisogno per lo svolgimento di specifiche mansioni/attività ovvero per l’utilizzo di prestazioni lavorativa rese da determinati soggetti. Ma in quali casi è possibile utilizzare il lavoro a chiamata? Quali sono le sue principali caratteristiche e limiti? E in quali casi vi è il divieto di utilizzo e quali sanzioni in caso di violazione? Come funziona il contratto intermittente (o a chiamata) Il contratto intermittente (o a chiamata) è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente (art. 13, D.Lgs. n. 81/2015). Al fine di renderlo una “eccezione” rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, che rappresenta la forma comune del rapporto subordinato, la legge ne subordina l’uso a fronte di specifiche ipotesi oggettive e soggettive.Tipologia di contratto intermittente

Contratto a chiamata per attività di tipo intermittenteContratto a chiamata “soggettivo”Contratto a chiamata per periodi predeterminati
Attività e soggetti ammessiAttività discontinue o intermittenti solo nelle ipotesi stabilite dal CCNL. In mancanza del CCNL, si deve fare riferimento al decreto del Ministero del Lavoro - in attesa di emanazione vale quanto previsto nel R.D. n. 2657/1923 - Giovani con meno di 24 anni (sino al compimento dei 25) - Lavoratori con più di 55 anni, anche pensionatiAttività da svolgere in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno previsti dal CCNL
LimitazioniNessuna limitazione in relazione ai soggettiNessuna limitazione in relazione al tipo di attivitàNessuna limitazione in relazione ai soggetti e al tipo di attività
Elemento caratterizzante tale tipologia contrattuale è la discontinuità e l’intermittenza della prestazione; discontinuità che deve essere sempre presente e che viene rimarcata anche dall’apposizione di limiti nel suo utilizzo che sono stati fissati in un massimo di 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di un triennio con il medesimo datore di lavoro.
Le 400 giornate rappresentano un “polmone” di flessibilità importante in quanto corrispondono mediamente a 11 giornate lavorative effettive al mese (11 x 36 mesi = 396 giorni di effettivo lavoro).
La limitazione delle 400 giornate di lavoro effettivo, stante la peculiarità dei settori, non si applica al turismo, spettacoli e pubblici esercizi. Con riferimento alle 400 giornate, il Ministero del Lavoro ha chiarito che: - il triennio va inteso come un periodo mobile; - il calcolo del periodo è fatto conteggiando le prestazioni effettuate, a partire dal giorno in cui si chiede la prestazione, a ritroso di tre anni; tale conteggio dovrà tenere conto solo delle giornate di effettivo lavoro. L’eventuale superamento del limite previsto per legge comporta la trasformazione del rapporto in un rapporto a tempo pieno e indeterminato. Durata del contratto Il contratto di lavoro a chiamata può essere stipulato: - a tempo indeterminato; - a tempo o determinato. All’eventuale apposizione di un termine al contratto intermittente, non si applicano le disposizioni (e le limitazioni) previste per il lavoro a tempo determinato di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 81/2015. Tale posizione è stata confermata dal Ministero del Lavoro in vigenza delle precedenti discipline del D.Lgs. n. 276/2003 e n. 368/2001: al contratto a chiamata non trova applicazione la disciplina generale del termine stante la peculiarità e la particolarità del contratto e il mancato richiamo della norma sul contratto a chiamata alla disciplina generale del termine. Divieto di utilizzo In analogia con il contratto a tempo determinato, l’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2015 individua alcune situazioni nelle quali esiste il divieto di assunzione e di chiamata del contratto di lavoro intermittente. In particolare: a) sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano interessato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente; c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del rapporto o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente; d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008 (prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro). Con particolare riferimento alla mancata effettuazione della valutazione dei rischi, l’INL con la circ. n. 49/2018 ha chiarito che la mancata valutazione dei rischi comporta violazione di una norma imperativa con conseguente trasformazione del rapporto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Su quest’ultimo aspetto, si ritiene utile segnalare che con la sentenza n. 378/2024, la Corte di Cassazione ha chiarito che: - in mancanza di DVR, non è possibile procedere alla trasformazione di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato in un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato; - la norma non prevede specificatamente che la mancata adozione del DVR comporti la trasformazione sopra indicata, in quanto non si va ad incidere su alcuna clausola contrattuale, determinandone la deviazione dal tipo legale, né sussiste alcuna deviazione dalla causale legale. La Corte di Cassazione ricorda che l’unico caso per il quale la norma prevede la conversione in contratto a tempo pieno e indeterminato è quelle legato al superamento delle 400 giornate nel triennio solare (con l’eccezione di alcuni settori) previsto dal comma 3 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/04/10/contratto-lavoro-intermittente-regole-utilizzare-evitare-sanzioni

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