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Smart working: a che punto siamo?

Smart working: si è ritornati alla disciplina regolata dalla legge n. 81/2017. Dalla fase dell’emergenza si è passati, dal 1° aprile, alla fase del rientro. Una domanda è d’obbligo: in un contesto in continua evoluzione, quale dovrebbe essere la sua prospettiva evolutiva? Si è discusso e si continua a discutere della necessità di un restyling della legge del 2017. E’ anche necessario un cambio di approccio che riguardi l’adattamento dell’organizzazione aziendale allo smart working. Ma il punto di partenza dovrebbe essere il ripensamento del modus operandi della subordinazione, che, sempre più, deve tendere a rinsaldare il legame tra il modo di rendere la prestazione ed i risultati attesi dall’imprenditore. Collegamento già insito nella stessa natura dello smart working! La strada è tracciata.

Dal 1° aprile sono venute meno tutte le disposizioni che avevano caratterizzato l’istituto dello smart working nella fase pandemica e post pandemica. Si ritorna alla disciplina dello smart working regolata dalla legge n. 81/2017.Ascolta il podcast di Paolo SternSmart working: nessuna fine, nessuno “far west” privo di regole. Tanti vantaggi (anche in chiave ESG) Il tema oggi, però, non può essere solo quello di definire quale sia la disciplina applicabile, ma più in generale analizzare ciò che è accaduto nel breve volgere di alcuni anni non solo e non tanto nel contesto normativo, quanto piuttosto in quello sociale ed organizzativo. Per un’analisi sul futuro dello smart working, ci si deve muovere dalla ricostruzione di ciò che è stato il suo processo di sviluppo sotto il profilo dell’utilizzo, non tanto della disciplina positiva. Cosa era lo smart working al momento dell’entrata in vigore della disciplina del 2017 o immediatamente prima? Lo smart working nasceva perché si voleva rendere la prestazione lavorativa più flessibile rispetto ai paradigmi della subordinazione “classica”, legata al tempo ed allo spazio della prestazione di lavoro. Nella sua formulazione era uno strumento funzionale ad un ammodernamento “in parallelo” delle organizzazioni produttive e della prestazione lavorativa, ma si è rivelato, quantomeno nei primi due anni di applicazione, un fenomeno “di nicchia”, adottato per lo più da grandi imprese multinazionali, incluse grandi imprese italiane multinazionali o a vocazione internazionale, con numeri non particolarmente significativi nel mercato. Nello stesso solco si erano collocati anche gli accordi collettivi che avevano anticipato l’entrata in vigore della disciplina legale. In questo contesto, anche le criticità della norma del 2017 erano in parte superate o sottovalutate dai numeri della sua applicazione: si trattava di una “disciplina di frontiera” riservata ad un numero estremamente limitato di lavoratori che trovava nell’esiguità dell’applicazione gli “anticorpi” per superare le eventuali criticità applicative. Occorre ulteriormente porre in evidenza che, anche dal punto di vista sociale, il contemperamento fra esigenze di vita e di lavoro non aveva ancora assunto le dimensioni del periodo post pandemico ed il bisogno veniva, in larghissima parte, soddisfatto con il ricorso al contratto a tempo parziale. Il Covid è intervenuto cambiando l’essenza delle “regole del gioco” rispetto a questo istituto, intervenendo in certa misura sul suo “corredo genetico” originario. La pandemia ha, infatti, “portato” un utilizzo massivo dello strumento, che dall’innovazione organizzativa è migrato verso una finalità emergenziale, con 2 effetti di sistema: da un lato sganciando lo smart working dalla prerogativa propriamente imprenditoriale ed organizzativa a favore del soddisfacimento dell’esigenza contingente; ma dall’altro, rendendo evidente la sua ampia utilizzabilità ed i possibili suoi benefici anche sul piano sociale. La pandemia non ha, però, fatto superare i dubbi circa la prevalenza delle opportunità rispetto alle criticità dello smart working. Questo tema è, rimane e, probabilmente rimarrà ancora in discussione per lungo tempo anche in ragione di quel mutato assetto valoriale determinato, per un verso, dal cambiamento delle esigenze dei lavoratori, e per altro verso dal cambiamento dell’organizzazione delle imprese. Alla fase dell’emergenza è seguita quella che si potrebbe definire la fase del rientro. Ad una prima fase di iniziale scetticismo da parte delle imprese, ha fatto seguito una fase di ottimismo talvolta eccessivo, che ha per certi aspetti sottovalutato la necessità di coniugare lo smart working con lo “stile organizzativo” delle imprese. Si è discusso e si continua a discutere anche della necessità di un restyling normativo della legge del 2017. La domanda da porsi è se, invece di un intervento sulle norme, non sia più impellente un cambio di approccio che riguardi l’adattamento dell’organizzazione aziendale allo smart working. In altre parole, occorre chiedersi quanto siano smart le organizzazioni aziendali per ricevere una prestazione che possa definirsi davvero smart e non esclusivamente delocalizzata nell’esecuzione della prestazione. Allo stesso tempo, da quel mutamento valoriale di cui si è detto, figlio dell’esperienza pandemica, è emersa con prepotenza una istanza sociale, vedendosi nello smart working uno strumento assai efficace di conciliazione dei tempi di lavoro, di cura e di vita, che si spinge fino a invocare un “diritto” allo smart working. In questo contesto in continua evoluzione, quale dovrebbe essere la prospettiva evolutiva dell’istituto dello smart working e non solo? Il punto di partenza per una analisi matura del fenomeno dovrebbe essere il ripensamento del modus operandi della subordinazione, che, sempre più, deve tendere a rinsaldare il legame tra il modo di rendere la prestazione ed i risultati attesi dall’imprenditore. A ben vedere, questo collegamento è insito nella stessa natura dello smart working, come lavoro non misurabile in base al solo tempo della prestazione, con sottoposizione a controlli sul luogo di lavoro, ma anche e soprattutto in base ai risultati prodotti. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/04/13/smart-working-punto-siamo

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