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E’ la disponibilità della cosa che distingue il peculato dalla truffa

E’ ravvisabile il reato di peculato, e non quello di truffa aggravata, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio si appropri del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio.

La Cassazione puntualizza con chiarezza l’esatto discrimine tra il reato di peculato (articolo 314 c.p.) e quello di truffa (articolo 640 c.p.) aggravato ex articolo 61, n. 9, c.p. dall'abuso della qualifica soggettiva pubblica. E’ un tema delicato allorquando la condotta dell’agente sia caratterizza da un’attività fraudolenta, di cui, con attenzione, deve essere apprezzata la valenza: se, cioè, si sia trattato di un’attività strumentale all’acquisizione del possesso/disponibilità della cosa ovvero di un’attività solo finalizzata a celare la condotta appropriativa della cosa di cui l’agente aveva già la disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio. La Cassazione ha esattamente affermato, sul punto, che ricorre il reato di peculato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio si appropri del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio; versandosi sempre in tema di peculato quando l’agente ponga in essere anche una condotta fraudolenta che non incida, però, sul possesso del bene, nel senso di conseguirne la disponibilità, ma abbia la sola funzione di mascherare, almeno all’apparenza, la commissione del delitto. Ricorre, invece, la truffa aggravata ex articolo 61, numero 9, del Cp, secondo il giudice di legittimità, quando l’agente, non avendo il possesso del bene, se lo procuri fraudolentemente in funzione della contestuale o successiva condotta appropriativa. Da queste premesse, è stato ritenuto correttamente ravvisato il peculato, unitamente a quello di falsità materiale in atto pubblico aggravata dal nesso teleologico, in una vicenda in cui l’imputata, nella sua qualità di impiegata di una ASL addetta all’ufficio cassa, si era appropriata di somme di denaro di pertinenza dell’azienda e delle quali aveva la disponibilità, facendo risultare false pratiche di rimborso non per conseguire il possesso del denaro, ma per occultare l’illecita attività di appropriazione. La decisione è convincente. Infatti, l’elemento distintivo tra il peculato e la truffa aggravata ai sensi dell’articolo 61, numero 9, c.p. va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione. E’ ravvisabile, quindi, il peculato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio si appropri del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio; è ravvisabile, invece, la truffa aggravata qualora l’agente, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri, in funzione della condotta appropriativa del bene (di recente, Cassazione, Sezione VI, 29 febbraio 2012, Licci). Alla condotta di peculato può in effetti affiancarsi anche una condotta fraudolenta, finalizzata, però, non a conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile, ma ad occultare la commissione dell’illecito ovvero ad assicurarsi l’impunità: in tale ipotesi, deve ravvisarsi il peculato, nel quale – di norma- rimane assorbita la truffa aggravata, salva la possibilità, in relazione a specifici casi concreti, del concorso di reati, stante la diversa obiettività giuridica, la diversità dei soggetti passivi, il diverso profitto, il diverso momento consumativo (Cassazione, Sezione VI, 6 maggio 2008, Savorgnano). In questa prospettiva, è interessante anche il passaggio della motivazione in cui la Cassazione ha chiarito, ai fini della ravvisabilità del peculato, che la nozione di possesso/disponibilità ha un significato più ampio di quello civilistico e fa riferimento ad un potere di fatto o ad una disponibilità giuridica sul bene, con il necessario collegamento all’ufficio cui l’agente è preposto anche per effetto di semplice occasionalità o in dipendenza di una prassi più meno ortodossa o di una tollerata attività di fatto. Si tratta di affermazione ormai consolidata: ai fini della configurabilità del reato di peculato, si ritiene costantemente, il possesso qualificato dalla ragione di ufficio o di servizio non è solo quello che rientri nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio: infatti, le ragioni di ufficio o di servizio hanno come esclusivo riferimento l’esistenza di un rapporto – fondato anche sulla prassi o su consuetudini invalse in un ufficio determinato- che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o disponibilità materiale del bene, trovando nelle pubbliche funzioni o nel pubblico servizio l’occasione per un tale comportamento. Ciò valendo anche nel caso di esercizio di fatto o arbitrario delle funzioni e con la sola eccezione della situazione “meramente occasionale”, legata al caso o dipendente da caso fortuito (tra le alter, Cassazione, Sezione VI, 13 maggio 2009, PG in proc. Ingravalle). Copyright © - Riproduzione riservata

Cassazione Penale, Sentenza 15/6/2012 n. 23777

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2012/06/25/e-la-disponibilita-della-cosa-che-distingue-il-peculato-dalla-truffa

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