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Archivio newsVideosorveglianza dei dipendenti: basta il loro consenso
Il datore di lavoro può liberamente installare impianti audiovisivi per controllare i comportamenti dei suoi dipendenti con il semplice consenso dei diretti interessati, a nulla rilevando la presenza o meno dell’accordo, pur previsto dal legislatore, con le rappresentanza sindacali aziendali.
Lo ha stabilito la terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22611 depositata il 6 giugno 2012. Nel caso di specie una imprenditrice ha deciso di installare quattro telecamere all’interno del proprio negozio, orientandone due in direzione delle postazioni di lavoro dei suoi dipendenti. Tappezzare il negozio di cartelli con i quali si segnalava ai frequentatori la presenza delle videocamere, ottenendo al contempo il consenso dei dipendenti all’installazione delle medesime non è bastato all’imprenditrice per svincolarsi da un’imputazione per violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, il quale, nel disciplinare detta fattispecie, stabilisce il divieto dell'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, salvo che detti impianti siano autorizzati dalle rappresentanze sindacali aziendali o da altri soggetti all’uopo indicati (commissione interna o, in subordine, ispettorato del lavoro). In primo grado l’imprenditrice è stata condannata, nonostante il pubblico ministero avesse chiesto l’assoluzione. La severa decisione, secondo il giudice di merito, sarebbe discesa dalla precisa dizione del legislatore utilizzata per indicare i soli soggetti abilitati ad accordarsi con il datore sull’installazione di videocamere sul posto di lavoro. Il consenso dei dipendenti, secondo tale ricostruzione, non avrebbe peso alcuno nonostante siano i diretti interessati. Sulla vicenda si è pronunciata anche la Corte di cassazione sollecitata sul punto dalla Corte territoriale, avendo quest’ultima convertito l’atto di appello in ricorso una volta esser stata adita in sede di gravame. Ai giudici di legittimità è stato chiesto di riconsiderare la vicenda sottolineando i punti deboli della intervenuta condanna a carico della imprenditrice. In particolare la difesa dell’imputata ha richiamato l’attenzione della Corte sul difetto di tipicità oggettiva della fattispecie e sulla completa assenza dell’elemento soggettivo del reato, poiché l’installazione delle telecamere (delle quali viene contestato anche l’effettivo funzionamento) era stata preceduta dal rilascio delle liberatorie dei dipendenti, concordi nell’ammettere che il datore potesse filmare i loro comportamenti mentre lavoravano. La Corte di cassazione, nell’apprezzare le argomentazioni della difesa dell’imprenditrice per l’effetto annullando la sentenza impugnata, ha precisato le linee guida che devono ispirare l’interpretazione della norma della quale si è lamentata la violazione. Nel corpo della sentenza, infatti, si riflette sulla possibilità che il consenso prestato dallo stesso dipendente (indiscusso nel caso di specie) possa effettivamente dirsi una valida alternativa alla disciplina dell’accordo sull’installazione delle telecamere prevista dal legislatore. Ebbene, la conclusione raggiunta è di segno positivo, e ciò sull’assunto per il quale, non risultando esservi disposizioni di alcun tipo che disciplinino l'acquisizione del consenso, relegare la contrattazione del medesimo alle sole figure indicate dalla legge comporterebbe una lettura della norma estremamente formale, del tutto contrastante con la logica. In altri termini, l'esistenza del consenso validamente prestato da parte di chi sia il diretto interessato e destinatario della tutela del bene giuridico non può mai essere tralasciato, dovendo invece prevalere sulla parola (o sul silenzio) dei suoi rappresentanti. Copyright © - Riproduzione riservata
Cassazione Civile, Sentenza 11/6/2012, n. 22611