News
Archivio newsPignoramento illecito della PA, accertamento del reato al giudice civile
Nella sentenza n. 9445 del 2012, la Corte di Cassazione affronta alcune interessanti questioni connesse alla risarcibilità del danno da pignoramento illegittimo (azione di risarcimento del danno in caso di configurazione di reato, conseguenze del mancato accertamento della sussistenza del reato in sede penale, necessaria devoluzione dell'accertamento al giudice civile, astratta configurabilità del reato di omissione di atti d'ufficio).
Il casoNel febbraio 2001, il Tribunale dichiarava non dovute le sanzioni amministrative irrogate ad un professionista; la sentenza era notificata al Comune. Nell’ottobre dello stesso anno, il professionista, ricevuto un avviso di mora, inviava al Comune e all’Agente per la riscossione copia della pronuncia, chiedendo l’annullamento dell’avviso di mora e diffidando dal compimento di atti di esecuzione forzata; ciononostante gli enti non provvedevano in tal senso e, nel 2002, il professionista subiva pignoramento mobiliare. Il professionista conveniva in giudizio il Comune e l’Agente della riscossione per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale generato dalla mancata interruzione della procedura di riscossione a seguito della sentenza che aveva riconosciuto l’inesistenza del credito, portata a conoscenza di entrambi gli enti. La domanda era rigettata dal Giudice di pace, con sentenza confermata dalla Corte di appello.Il principio di dirittoNella sentenza n. 9445 del 2012, la Corte di Cassazione cassa con rinvio la pronuncia impugnata, enunciando il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità civile e di richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, quando è prospettato un illecito, astrattamente riconducibile a fattispecie penalmente rilevanti, […] per il quale la risarcibilità del danno non patrimoniale è espressamente prevista dalla legge, ai sensi degli artt. 2059 c.c. e art. 185 c.p., spetta al giudice accertare, incidenter tantum e secondo la legge penale, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, indipendentemente dalla norma penale cui l’attore riconduce la fattispecie; accertamento che è logicamente preliminare all’indagine sull’esistenza di un diritto leso di rilievo costituzionale (cui sia eventualmente ricollegabile il risarcimento del danno non patrimoniale, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità oramai consolidata) potendo quest’ultimo venire in rilievo solo dopo l’esclusione della configurabilità di un reato; accertamenti, entrambi, preliminari alla indagine in ordine alla sussistenza in concreto (alla prova) del pregiudizio patito dal titolare dell’interesse tutelato.”.Azione di risarcimento del danno non patrimoniale in caso di configurazione di reatoPoiché come causa dell’illecito civile è stato prospettato un fatto astrattamente riconducibile a fattispecie penalmente rilevanti, spetta al giudice accertare incidenter tantum l’astratta configurabilità di un reato, indipendentemente dalla norma penale cui l’attore riconduce la fattispecie. Tale accertamento, da condurre secondo la legge penale, deve avere ad oggetto l’esistenza del reato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, ivi comprese eventuali cause di giustificazione e l’eccesso colposo ad esse relativo (Cass., sez. III civ., 25 settembre 2009, n. 20684, in CED Cass., Rv. 609435), ed è logicamente preliminare alla indagine sulla sussistenza in concreto (alla prova) del danno lamentato. Ai fini del risarcimento del danno, l’inesistenza di una pronuncia del giudice penale, nei termini in cui ha efficacia di giudicato nel processo civile (artt. 651 e 652 c.p.p.), l’estinzione del reato (art. 198 c.p.), l’improponibilità o l’improcedibilità dell’azione penale non costituiscono impedimento all’accertamento da parte del giudice civile della sussistenza degli elementi costitutivi del reato.Omissione di atti di ufficioNel caso di specie, la Corte di Cassazione ritiene che la condotta sia sussumibile sotto il reato di omissione di atti di ufficio: l’art. 328, comma 2, c.p. punisce infatti il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse, non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo. Secondo la giurisprudenza di legittimità, questo reato si configura come: - plurioffensivo, ledendo oltre l’interesse pubblico al buon andamento della Pubblica Amministrazione, anche il concorrente interesse privato danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto dovuto - di mero pericolo- caratterizzato da due condotte omissive, consistenti nella mancata adozione dell’atto entro trenta giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e nella mancata risposta sulle ragioni del ritardo - caratterizzato, ai fini dell’elemento psicologico, dalla consapevolezza di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta all’intimazione del privato, senza che rilevi il fine specifico di violare i doveri imposti dal proprio ufficio. L’accertamento dovrà necessariamente tenere conto della eventuale diversa configurabilità del reato rispetto al Comune e all’Agente della riscossione Copyright © - Riproduzione riservata
Cassazione civile, Sentenza 11/6/2012, n. 9445