Non mediare può costare caro

La mediazione da strumento alternativo di risoluzione delle controversie a strumento sanzionatorio. Non accettare la proposta del mediatore può comportare l’esclusione dal diritto all’equa riparazione per la irragionevole durata del processo.

Nel Decreto Legge 26 giugno 2012 n. 83 il legislatore ha previsto alcune misure in tema di giustizia, in particolare intervenendo sulla possibilità di proporre appello, nonché in tema di equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi ed ha, infine, ampliato la sfera di applicazione dell’art. 13 del D.Lgs 28/10 che prevede particolari conseguenze per la parte che non accetti la proposta del mediatore. In particolare, il novellato art. 2 è stato previsto che prevede un’equa riparazione per i soggetti danneggiati dall’eccessiva durata dei processi, per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo viene riscritto ridefinendo i termini ragionevoli del giudizio nella misura di: a) 3 anni per il primo grado: b) 2 anni per il secondo grado; c) 1 anno per il giudizio di legittimità. Quanto al giudizio di esecuzione, poi, il termine ragionevole viene fissato in 3 anni, mentre per la procedura concorsuale il termine è di 6 anni. In ogni caso si riterrà rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in maniera irrevocabile nel termine di 6 anni. Per ciò che qui interessa, tuttavia, l’art. 2, come novellato, elenca espressamente alcune ipotesi in cui le diposizioni inerenti i nuovi termini non trovano applicazione tra le quali, appunto, quella di cui alla all’art. 2 c. 2 quinquies ai sensi del quale: “…non e' riconosciuto alcun indennizzo:….c) nel caso di cui all’articolo 13, primo comma, primo periodo, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Tale disposizione prevede, tra l’altro, che quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Con la modifica dell’art. 2 della Legge Pinto, in definitiva, la parte che non accetta la proposta formulata dal mediatore corre il rischio di pagare tre volte: Mediante esclusione dalla ripetizione delle spese sostenute riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa se, pur vincitrice, ha rifiutato la proposta; In tal caso viene altresì condannata al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo; e, con la modifica alla legge Pinto; Viene esclusa la possibilità di accedere all’equo indennizzo per la irragionevole durata del processo. Tale ultima previsione, tuttavia, non sembra favorire lo sviluppo consapevole della cultura mediazione quale forma, volontaria e/o in parte obbligatoria, alternativa di risoluzione delle controversie. In tal modo, infatti, non può che svilupparsi un atteggiamento di sicura avversione verso la mediazione non solo da parte delle categorie professionali, avvocati su tutti, ma anche da parte dei cittadini che vedranno nella mediazione finalizzata alla conciliazione più una coercizione utile allo Stato a non offrire il servizio Giustizia, piuttosto che, ripetesi, un serio e utile strumento di risoluzione alternativa delle controversie. Il generale riassetto del sistema della giustizia civile in Italia, determinato dai processi di possibile liberalizzazione di ampi spazi di settori precedentemente occupati dalle professioni intellettuali, nonché dalla probabile nuova geografia degli uffici giudiziari, avrebbe dovuto indurre il legislatore ad una seria e attenta analisi delle opportunità offerte dall’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione. Il legislatore, al contrario, nel tentativo di impedire che le polemiche dei professionisti potessero vanificare gli intenti dell’istituto è intervenuta più volte sull’impianto normativo con un inasprimento delle sanzioni e delle conseguenze processuali in caso di mancata e non giustificata partecipazione all’incontro di mediazione, come nel caso in esame. Per i prossimi anni, tuttavia, è condivisibile l’opinione di alcuni che auspicherebbero che la cultura della mediazione si diffonda a tal punto da abrogarne l’obbligatorietà (oggi, viceversa, opportuna ed anzi necessaria alla luce del contesto) diventando un’alternativa seria e consapevole alla giurisdizione. Tale sviluppo non potrà né essere immediato né, soprattutto, avvenire senza un miglioramento dell’efficienza degli strumenti processuali volti alla tutela dei diritti. E ciò per evitare che la mediazione rappresenti soltanto una conciliazione estorta alla parte che non può confidare nella tutela del suo diritto. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2012/06/28/non-mediare-puo-costare-caro

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