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Archivio newsRiforma del lavoro: quali impatti sulle verifiche ispettive?
Se è vero che uno degli obiettivi della L. n. 92/2012 è la lotta ad alcune pratiche datoriali scorrette o fraudolenti, la riforma non potrà non avere delle ripercussioni anche sull'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale.
Premessa generale A differenza degli ultimi due importanti interventi in materia (L.n. 30/2003 e L.n. 183/2010), la riforma del lavoro non prevede alcuna disposizione volta a rimodulare l'organizzazione o l'attività di vigilanza in sè considerata; tuttavia, visti gli obiettivi anti-frode che si propone, ha sicuramente spuntato gli artigli ai servizi ispettivi competenti in materia, ampliando, da un lato, la gamma delle ipotesi sanzionatorie e, dall'altro, riformulando i presupposti per l'utilizzo delle varie forme contrattuali flessibili, come noto, oggetto di accertamenti ispettivi. In particolare, sul versante della flessibilità in entrata, il legislatore è intervenuto non solo in materia di contratti intermittenti, introducendo una nuova comunicazione per la chiamata del lavoratore, ma anche in materia di contratti di tipo autonomo, prevedendo una serie di presunzioni (assolute e relative) di subordinazione al ricorrere di determinati presupposti; sul versante della flessibilità in uscita, invece, si è speso nella lotta contro la deprecabile pratica delle dimissioni in bianco, stabilendo sia una sanzione ad hoc che una procedura amministrativa per la convalida delle stesse. Lavoro intermittente e comunicazione preventiva di “chiamata” Una delle novità che maggiormente inciderà sull'attività di vigilanza è rappresentata dall'introduzione di un nuovo obbligo comunicativo a carico dell'impresa che utilizzi dei lavoratori intermittenti. Il legislatore, infatti, per dissuadere i datori dalla tentazione di registrare sul Libro unico del lavoro un numero di giorni/ore di lavoro inferiori a quelli realmente svolti, ha introdotto una nuova comunicazione, da trasmettere preventivamente rispetto alla singola chiamata ovvero rispetto ad un ciclo integrato di massimo 30 giornate lavorative. La comunicazione andrà inviata alternativamente on line, via fax, a mezzo posta elettronica o sms, agli indirizzi e secondo le modalità (in attesa del Decreto Ministeriale) previsti dalla nota prot. n. 39/0011779 del 9 agosto 2012 del Ministero del Lavoro, oppure agli indirizzi istituzionali delle competenti Direzioni Territoriali del lavoro, così come stabilito da una successiva nota n.12728 del 14 settembre 2012 del medesimo Dicastero. La mancata o tardiva comunicazione, da non confondere con quella d’assunzione da trasmettere ai Centri per l’Impiego, determinerà la contestazione, per ogni lavoratore, di una sanzione da 400 a 2.400 euro, a cui, tuttavia, non sarà applicabile il procedimento premiale della diffida obbligatoria, vista la espressa insanabilità della violazione. Nell’ipotesi di mancata risposta alla chiamata da parte del lavoratore, sarà possibile annullare o rettificare la comunicazione entro 48 ore dal giorno in cui la prestazione doveva esser resa. In assenza di questa successiva comunicazione, la circolare n. 20/2012 del Ministero del lavoro, stabilisce che la prestazione sarà considerata effettuata ai fini retributivi e contributivi. La L. n. 92/2012 ha riformulato anche l’ambito di applicazione del lavoro a chiamata attraverso: - l’abrogazione dell’art. 37 ( contratti a chiamata per week-end o periodi predeterminati dell’anno) demandando così alla contrattazione collettiva sia l’individuazione dei predetti periodi che delle mansioni discontinue che consentano l’accesso a tale fattispecie contrattuale. - la modifica dei requisiti anagrafici che “in ogni caso” e al di fuori delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva (ad oggi stabilite, in via sostitutiva, dal D.M. n. 23 ottobre 2004), potranno consentire l’utilizzo del lavoro intermittente: dai lavoratori con un età inferiore a 25 anni o superiore a 45 si passa a quelli che non hanno compiuto 24 anni o che abbiano almeno 55 anni. Appare evidente, anche in questo caso, il coinvolgimento dell’attività di vigilanza, se sol si pensi come il mancato rispetto dei suddetti presupposti (in vigore dal 18 luglio 2013 per i contratti stipulati ante-riforma) determini la trasformazione del rapporto in uno di tipo subordinato a tempo indeterminato, con le ben note conseguenze di carattere contributivo ed amministrativo. I contratti di tipo autonomo Come anticipato, la riforma ha cercato di contrastare l’utilizzo scorretto/fraudolento di tali fattispecie contrattuali, al fine di una migliore distribuzione delle tutele dell’impiego, ma anche di evitare fenomeni discorsivi della concorrenza tra le imprese, legati al "gioco al ribasso" del costo del lavoro. Per perseguire tale obiettivo, il legislatore non ha inasprito l’apparato sanzionatorio, bensì ha usato una strategia normativa volta a valorizzare gli elementi tipologici delle varie fattispecie contrattuali di tipo autonomo, attraverso la loro puntualizzazione e l’utilizzo della tecnica delle presunzioni (assolute e relative) di subordinazione. Appare, pertanto, evidente, che la preoccupazione del legislatore sia stata quella di semplificare, per quanto possibile, l’accertamento sul corretto utilizzo di tale categoria di lavoratori. Partendo dal lavoro a progetto, il legislatore ha espunto il vecchio ed equivoco riferimento al “programma o fase di esso”, contenuto nell’art. 61, D.lgs. n. 276/2003, ribadendo, a chiare lettere, che il progetto di lavoro non rappresenta una mera modalità esecutiva della prestazione, bensì l’oggetto di tale fattispecie contrattuale. La naturale conseguenza di tale impostazione, è la rilettura del vecchio art. 69 in termini di presunzione assoluta di subordinazione; il contratto di lavoro a progetto si presume subordinato a tempo indeterminato qualora il progetto sia carente, non contenga la caratteristica della specificità o risulti, nei fatti, disatteso. Per rispondere alle caratteristiche disegnate dal nuovo art. 61, il progetto dovrà, pertanto, contenere: 1) la descrizione dell’attività del collaboratore, che non potrà estrinsecarsi (almeno fino a quando i contratti collettivi non interverranno sul punto) in mansioni elementari e ripetitive, bensì dovrà essere caratterizzata da uno speciale apporto ideativo; 2) gli obiettivi e i risultati da raggiungere, i quali, non solo non dovranno sovrapporsi all’oggetto sociale della committenza, bensì, come dice da tempo la giurisprudenza, non dovranno coincidere con quelli routinariamente perseguiti dalla stessa. Fatta questa premessa, è evidente, come anche l’indagine ispettiva, da prevalentemente fattuale divenga preliminarmente oggettuale. Se non esiste l’oggetto del contratto (come detto il progetto specifico), la fattispecie contrattuale in esame non esiste e l’indagine sulle concrete modalità esecutive della prestazione diviene, non superflua, ma sicuramente secondaria. Proseguendo con le cc.dd. partite iva, il legislatore, introducendo il nuovo art. 69-bis nel D.Lgs. n. 276/2003, non ha fatto altro che ribadire il divieto di collaborazioni coordinate e continuative atipiche scandito dall’art. 61 del medesimo decreto. Anche qui ha disegnato un iter logico circa l’accertamento della reale genuinità della prestazione ex art. 2222 c.c. In altre parole, il disconoscimento in termini di subordinazione della prestazione (almeno sulla carta) autonoma, passerà attraverso l’individuazione delle caratteristiche della continuatività, coordinamento e soggezione economica, così come esemplificate dal comma 1, lett. a), b) e c) del nuovo art. 69-bis. Una volta riscontrate tali caratteristiche ed in virtù dell’applicazione degli artt. 61-69, D.lgs. n. 276/2003 alla fattispecie in analisi, l’indagine non potrà che soffermarsi sulla sussistenza di uno “specifico progetto”, la cui assenza farà scattare la presunzione assoluta di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Diversamente, ovvero nell’ipotesi di presenza del progetto, l’indagine ispettiva confluirà nella sola riconduzione della prestazione autonoma nell’alveo delle collaborazioni coordinate e continuative, con conseguenze sanzionatorie legate: 1) alla omessa comunicazione d’assunzione al Centro per l’Impiego 2) alle omesse registrazioni sul Libro unico del lavoro 3) al recupero dei premi Inail Concludendo con l’associazione in partecipazione, la riforma non si è limitata a normare gli ormai noti indizi di non genuinità del contratto, come la mancata partecipazione agli utili o l’assenza di rendicontazione degli stessi, combinandovi il consueto meccanismo di presunzione relativa di subordinazione, ma si è spinta a contingentare l’utilizzo di tale fattispecie contrattuale. Pertanto, in caso di assunzione, nella medesima attività, di un numero di associati superiori a tre, gli organi ispettivi non si limiteranno a disconoscere l’ultimo contratto stipulato in eccedenza, ma travolgeranno tutti i contratti stipulati ai sensi dell’art. 2549 c.c., sempre che uno di questi non sia stato concluso con un parente o affine dell’associante. Le dimissioni “in bianco” Al di là della procedura amministrativa di convalida che è condizione sospensiva dell’efficacia delle dimissioni, la L. n. 92/2012, al comma 23, prevede una nuova ipotesi d'illecito: l’utilizzo, rectius abuso, del datore di lavoro del foglio firmato in bianco dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto. Fermo restante la residualità di tale fattispecie illecita rispetto alla sussistenza di eventuali reati ( come ad es. la violenza privata, estorsione o truffa), il legislatore non ha inteso punire la mera pratica del foglio firmato in bianco, bensì il suo effettivo utilizzo da parte del datore di lavoro, che potrà concretarsi, a parere dello scrivente, con la conclusione del procedimento di convalida delle dimissioni o con la cessazione del rapporto lavorativo. A differenza della fattispecie illecita in materia di comunicazione dei lavoratori intermittenti, la riforma ha individuato le Direzioni Territoriali del Lavoro quale unico organo competente all’accertamento ed alla irrogazione della sanzione che va da 5.000 a 30.000 euro, con possibile riduzione a 10.000 euro, ai sensi dell’art. 14. L. n. 689/1981. Conclusioni Per completezza di trattazione, è bene precisare che la riforma contiene anche altre novità che direttamente o indirettamente avranno delle ripercussioni sull’attività ispettiva, come ad. es. la sanzione per la mancata erogazione di una adeguata indennità ai tirocinanti o le conseguenze legate al mancato rispetto delle clausole legali di stabilizzazione degli apprendisti. Tuttavia, mentre l’applicazione della prima sanzione presuppone la conclusione di un Accordo Stato-Regioni in punto di “congrua indennità”, la seconda non rappresenta una vera e propria novità, dal momento che già l’art. 2, comma 1, lett. i) del D.lgs. n. 197/2011 demandava alla contrattazione collettiva l’introduzione di” forme e modalità di conferma in servizio (…), al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato”.Copyright © - Riproduzione riservata