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Archivio newsSanzioni disciplinari per il lavoratore: quando la lettera di contestazione è legittima
Forma scritta, specificità, immediatezza e immutabilità sono i requisiti minimi che un provvedimento disciplinare, emesso a carico del lavoratore, deve possedere per essere considerato legittimo. Inoltre, nella lettera di contestazione al lavoratore possono essere presenti due ulteriori elementi. Si tratta della recidiva, se il lavoratore ha ricevuto altri provvedimenti disciplinari nell’ultimo biennio, e della sospensione cautelare dal servizio in presenza di gravi motivi e per il periodo strettamente necessario all’accertamento delle responsabilità disciplinari. Come preparare una lettera di contestazione limitando i rischi di contenzioso?
Per emettere un provvedimento disciplinare che risponda ai dettami previsti dal legislatore e che sia considerato legittimo da un punto di vista formale, è di particolare importanza la redazione, da parte del datore di lavoro, di una contestazione rispettosa di alcuni requisiti minimi che possiamo così sintetizzare:
- forma scritta;
- specificità;
- immediatezza;
- immutabilità;
Vediamo, sinteticamente, quali sono le caratteristiche che devono essere presenti nei requisiti evidenziati e le criticità in caso di loro mancanza. Inoltre, esaminiamo ulteriori due elementi che potrebbero essere presenti nella contestazione: la recidiva e la sospensione cautelare.
Il tema affrontato nell’articolo sarà oggetto di approfondimento e discussione in aula nel quinto incontro dell’edizione 2018/2019, dedicato a “Strumenti per affrontare e risolvere il contenzioso con il lavoratore ”.
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Il suo obiettivo è quello di assicurare l’immutabilità della contestazione e dare così la possibilità al lavoratore di conoscere, in maniera compiuta, quelli che, ad avviso dell’azienda, sono gli inadempimenti evidenziati a suo carico.
La contestazione scritta potrà essere consegnata al lavoratore brevi manu, oppure inviata per raccomandata con ricevuta di ritorno.
La contestazione non è altro che la trasposizione, su carta, di tutti gli elementi descrittivi del fatto. In particolare, l’esposizione deve essere analitica, chiara, precisa ed obiettiva. Su detta produzione, il lavoratore, ed eventualmente il giudice in caso di ricorso, porrà la massima attenzione per valutare l’esistenza e la congruità del successivo provvedimento disciplinare emesso.
Non è necessario inserire prove documentali o testimoniali che avvalorino l’autenticità della contestazione, ma può essere il caso di evidenziarne la sola presenza, al fine di confermare l’esistenza, da parte di un terzo, di un inadempimento alle regole aziendali.
È l’arco temporale tra l’evento (o la sua conoscenza da parte del datore di lavoro) e l’avvio del procedimento disciplinare.
Detto periodo non è regolato dalla legge ma va adeguato ad alcuni parametri soggettivi. Infatti, così come più volte specificato dalla Corte di Cassazione, il concetto di immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo e non assoluto.
Innanzitutto, la tempestività parte dal momento in cui l’azienda è venuta a conoscenza di quello che, a suo avviso, è l’illecito comportamento del lavoratore. Ciò è dovuto al fatto che solo nel momento in cui viene a sapere della violazione, il datore di lavoro può effettuare le sue valutazioni circa l’apertura di un procedimento disciplinare e quindi ricevere formalmente le difese da parte del lavoratore.
Altri parametri che attengono all’adeguatezza circa la tempistica per l’emissione della contestazione disciplinare, sono: la grandezza dell’azienda (es. la presenza di più unità produttive) e la complessità dell’evento oggetto della contestazione.
I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come i tempi tra il fatto commesso e l’esercizio del potere disciplinare (la contestazione) possano essere dilatati, soprattutto in presenza di un’organizzazione aziendale complessa e dalla necessità di completare le indagini ispettive.
Il principio della tempestività dell’azione disciplinare deve essere rapportato al tempo necessario, al datore di lavoro, per acquisire una compiuta e meditata conoscenza dei fatti oggetto di addebito, nonché della loro riconducibilità al lavoratore, oggetto del provvedimento stesso.
Va da sé che il comportamento dilatorio del datore di lavoro non può essere sempre giustificato e va verificato caso per caso, per ravvisare la presenza di elementi che possono rimandare l’emissione della contestazione pur nel rispetto del principio di immediatezza e tempestività, prescritti per l’esercizio del potere disciplinare.
Il datore di lavoro non può sanzionare il dipendente per fatti diversi da quelli contestati. In pratica, vi deve essere una uguaglianza tra le informazioni contenute nella contestazione e quelle incluse nel provvedimento disciplinare. Ciò anche al fine di rispettare il principio della proporzionalità della sanzione rispetto agli elementi scaturiti dalla contestazione disciplinare ed alla successiva difesa del lavoratore.
Tra gli elementi da prevedere nella contestazione (qualora presente) c’è la “recidiva” e cioè l’evidenza che il lavoratore ha ricevuto altri provvedimenti disciplinari a suo carico, nell’ultimo biennio.
La presenza, nella lettera di contestazione, dell’indicazione esplicita di una eventuale recidiva, permette una diversa graduazione della sanzione, andando anche contro il principio della proporzionalità, in quanto il datore di lavoro può emanare il provvedimento disciplinare tenendo presente non solo il caso specifico ma anche la reiterazione, da parte del lavoratore, del comportamento illecito e delle violazioni alle regole disciplinari.
Ricordo che possono essere previste, quale recidive, soltanto le sanzioni effettivamente applicate e non quelle che, pur commesse e conosciute, non sono state sanzionate. Mentre è di più complessa evidenza la verifica se la recidiva, da indicare, sia unicamente quella relativa a fatti analoghi (recidiva specifica) ovvero possa riguardare anche fattispecie differenti (recidiva generica), comminate dall’azienda nei due anni precedenti.
La soluzione è all’interno del contratto collettivo applicato dall’azienda. Negli articoli che si riferiscono al procedimento disciplinare, va verificato se la recidiva da considerare sia solo quella specifica o anche quella generica e ciò riguardante qualsiasi ulteriore provvedimento emanato nei due anni precedenti avverso comportamenti irregolari del lavoratore.
Non costituiscono recidiva le sanzioni che sono state successivamente annullate, anche per mero vizio procedurale, e quelle impugnate dinanzi al collegio arbitrale e sottoposte ancora al suo esame.
Qualora, pur in presenza di una recidiva, l’azienda non provveda a contestarla nella lettera di avvio del procedimento disciplinare, essa non potrà essere addotta nel provvedimento finale.
Un altro elemento, che potrà essere inserito nella contestazione, è la sospensione cautelare. Detta eventualità porta il datore di lavoro, esclusivamente qualora ritenga che vi siano gravi motivi, a sospendere il lavoratore dal servizio, per il periodo strettamente necessario all’accertamento di sue eventuali responsabilità disciplinari.
Sicuramente la sospensione cautelare dovrà essere utilizzata esclusivamente nel caso in cui il datore abbia elementi chiari e circostanziati, così da ritenere che la violazione comminata dal lavoratore sia di tale gravità da portare al licenziamento e che quest’ultimo non possa riprendere l’attività lavorativa in quanto ciò potrebbe costituire un pericolo per gli altri lavoratori, per la sicurezza degli impianti o per l’inquinamento delle prove.
Si fa presente che la sospensione cautelare non sostituisce una sanzione disciplinare, tant’è che durante tale periodo il lavoratore dovrà ricevere l’intera retribuzione.
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