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Lavoro irregolare e sommerso: cosa rischia l'azienda?

La legge di Bilancio 2019 ha inasprito le sanzioni per le imprese che compiono illeciti in materia di lavoro. L’obiettivo del legislatore è contrastare il lavoro sommerso e favorire la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. A tal fine si prevede l’aumento del 20% delle sanzioni per l’impiego di lavoratori senza la preventiva comunicazione al Centro per l’impiego, per la mancata comunicazione del distacco transnazionale, per la somministrazione irregolare di lavoro e in caso di inosservanza delle norme sull’orario di lavoro. Le maggiorazioni sono raddoppiate se, nei 3 anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti. Rafforzata, inoltre, l’attività di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

INL: aumentano le sanzioni e gli ispettori

Il comma 445, art. 1, legge 30 dicembre 2018, ha trattato una serie di disposizioni finalizzate, da un lato a rafforzare l’attività di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e delle sue articolazioni periferiche e, dall’altro, ad aumentare gli importi relativi a sanzioni per taluni comportamenti elusivi che, frequentemente, gli ispettori del lavoro si trovano ad affrontare nel corso della loro quotidiana attività.

Il comma 445, art. 1, legge 30 dicembre 2018, ha trattato una serie di disposizioni finalizzate, da un lato a rafforzare l’attività di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e delle sue articolazioni periferiche e, dall’altro, ad aumentare gli importi relativi a sanzioni per taluni comportamenti elusivi che, frequentemente, gli ispettori del lavoro si trovano ad affrontare nel corso della loro quotidiana attività.

Con la circolare n. 2 del 14 gennaio 2017 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alle proprie articolazioni periferiche le prime indicazioni relative alla applicazione delle sanzioni maggiorate laddove, come vedremo tra breve, il legislatore è intervenuto: ad essa si è fatto seguito con la nota n. 1148 del 5 febbraio 2019 con la quale vengono chiariti alcuni dubbi relativi al raddoppio della maggiorazione a fronte di comportamenti recidivanti.

Per quel che concerne, invece, la struttura burocratica i cui cambiamenti saranno trattati nella seconda parte della presente riflessione, ci si trova di fronte ad un primo intervento legislativo successivo alle disposizioni che hanno portato alla nascita dell’INL il quale, per varie ragioni che andrebbero esaminate in maniera approfondita, non è riuscito a costruire quel qualcosa di completamente nuovo che era negli intendimenti del legislatore dell’epoca: la fusione “a freddo” con il personale ispettivo degli Istituti previdenziali, e la mancata condivisione delle banche-dati non hanno portato a risultati positivi e, sovente, l’attività di vigilanza e di coordinamento si è risolta in un forte “appesantimento” delle procedure che poco hanno a che fare con la capacità di intervento su obiettivi mirati e condivisi. A ciò si aggiunga che, spesso, anche perché sollecitati da “esigenze reportistiche” delle strutture centrali, il personale ispettivo periferico, già fortemente sotto organico, è stato, pesantemente, coinvolto in statistiche e relazioni che, nella maggior parte dei casi, sono fini a se stesse e, così facendo, lo si è distolto dai compiti operativi per i quali è stato assunto.

Su quali sanzioni è intervenuto il legislatore?

A partire dal 1° gennaio 2019 vengono aumentati del 20%:

a) gli importi dovuti per violazioni in materia di lavoro nero stabiliti dall’art. 3, D.L. n. 12/2002 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 73/2002 peraltro, oggetto di integrazioni, con provvedimenti successivi. La sanzione trova applicazione nel caso in cui si ravvisi l’impiego di lavoratori subordinati in assenza della preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione di quello domestico. Si ricorda che le sanzioni amministrative sono previste per “fasce”, a seconda della durata della violazione. Alla luce delle maggiorazioni introdotte le somme previste da 1.500 a 9.000 euro per ciascun lavoratore irregolare sino a 30 giorni di lavoro effettivo, salgono, rispettivamente, a 1.800 ed a 10.800, che il quantum per lavoro nero da 31 e fino a 60 giorni di lavoro effettivo è compreso tra 3.600 euro e 21.600 euro (prima era, rispettivamente, di 3.000 e di 18.000) e che il lavoro nero oltre tale ultima soglia viene sanzionato da 7.200 euro a 43.200 euro (prima era da 6.000 a 36.000 euro): resta salvo il principio secondo il quale, in presenza di lavoratori stranieri irregolari o di minori non in attività lavorativa le sanzioni subiscono un ulteriore aumento del 20%. Si tratta di un comportamento illecito continuato che cessa nel momento in cui viene meno la violazione: tutto questo ha una diretta conseguenza sulle violazioni “a cavallo di anno”, nel senso che se il comportamento omissivo è iniziato nel corso del 2018 e si è protratto, per un certo periodo, nel 2019, trovano applicazione le sanzioni maggiorate;

b) gli importi dovuti per le violazioni sanzionate dall’art. 18, D.Lgs. n. 276/2003 (qui ci si riferisce sia alla somministrazione che, soprattutto, agli appalti privi dei requisiti ex art. 29, comma 1 ed ai distacchi illeciti ex art. 30 ove le sanzioni sono le stesse della somministrazione illecita). I destinatari della sanzione amministrativa sono sia il c.d. “pseudo-committente che lo pseudo-appaltatore” (ma anche i falsi somministratori e l’effettivo utilizzatore, il distaccante ed il distaccatario che hanno operato in modo non conforme). La somministrazione abusiva e la utilizzazione illecita di manodopera, nonché l’appalto privo dei requisiti ex comma 1, art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 vengono puniti (non si tratta più di ammenda, dopo la depenalizzazione, fatta eccezione della utilizzazione dei minori in età non lavorativa, con sfruttamento accertato, ove è previsto l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda aumentata fino al sestuplo) per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata lavorativa con 60 euro (prima erano 50). Stesso discorso per il c.d. “distacco illecito”, privo dei requisiti stabiliti dall’art. 30, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003. C’è, poi, l’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione: se non c’è stato fine di lucro l’originaria sanzione amministrativa compresa tra 5.000 e 10.000 euro, per effetto delle maggiorazioni, sale, rispettivamente, a 6.000 e 12.000 euro. Se, invece, come avviene nella maggior parte dei casi, si accerta che la condotta illecita è stata posta in essere con finalità di lucro, resta la contravvenzione e si applica la pena congiunta dell’arresto fino a 6 mesi e l’ammenda maggiorata compresa tra 1.800 e 9.000 euro. Nel caso in cui venga accertato l’esercizio non autorizzato delle attività di ricerca e selezione e di supporto alla ricollocazione professionale le nuove sanzioni amministrative sono comprese tra 6.000 e 12.000 euro (prima i valori erano compresi tra 5.000 e 10.000 euro). Alle sanzioni amministrative sopra elencate non è applicabile l’istituto della diffida ma l’aver elevato gli importi sanzionatori senza aver detto nulla circa il tetto dei 50.000 euro effetto della depenalizzazione (con la possibilità di pagare 1/3 in misura ridotta entro i 60 giorni successivi all’emanazione del verbale) riduce, di molto, la portata dell’innovazione legislativa. Infatti, molti datori di lavoro, tra cui rientrano, a pieno titolo, le c.d. “cooperative spurie” che fanno ampio ricorso a forme di appalto “non genuino” con un numero di soggetti coinvolti abbastanza alto e per periodi lunghi, qualora superino la soglia massima dei 50.000 euro (nonostante gli aumenti del 20%), potranno pagare, sempre, 1/3, ossia una cifra che non raggiunge i 17.000 euro;

c) gli importi dovuti per le violazioni ex art. 12, D.Lgs. n. 136/2016. Qui il legislatore ha rivolto le proprie attenzioni al c.d. “distacco transnazionale” portando la sanzione amministrativa ad un importo compreso tra 1.200 e 12.000 per chi circola, su strada, senza la documentazione richiesta dai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dell’art. 10 o, comunque, non conforme (ad esempio, contratto di lavoro, prospetto paga, quietanze della retribuzione, Mod. A1, ecc.). La sanzione è per ogni lavoratore interessato e non può superare i 150.000 euro. In questo caso si applica l’art. 207, Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992) con il potere sanzionatorio affidato agli organi di polizia vigilanti sulle strade. Viene maggiorata anche la sanzione relativa alle ipotesi relative alla conservazione della documentazione ed alla nomina del referente incaricato di ricevere ed inviare documenti e quello con poteri di rappresentanza finalizzata ai rapporti con le parti sociali (art. 10, comma 3 e 4): gli importi, ora, vanno da 2.400 a 7.200 euro;

d) gli importi dovuti per le violazioni colpite dai commi 3 e 4, art. 18-bis, D.Lgs. n. 66/2003. Qui, il legislatore, dopo aver scelto il sistema delle sanzioni “a fasce”, rapportato al numero dei lavoratori coinvolti ed al numero delle violazioni, ha puntato l’attenzione sulla durata massima dell’orario di lavoro settimanale (48 ore, intese come media, comprensive dello straordinario) e sui riposi settimanali (intesi come media in un periodo di 14 giorni). Gli importi erano già raddoppiati dal 1° gennaio 2014 per effetto dell’art. 14, legge n. 9/2014 che aveva convertito il D.L. n. 145/2013. Gli importi ora sono compresi tra 240 e 1.800 euro. Se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori o si è verificata in almeno 3 periodi di riferimento la sanzione sale ad un importo compreso tra 960 e 3.800 euro. Se la violazione riguarda più di 10 lavoratori o si è verificata in almeno 5 periodi di riferimento gli importi, senza la possibilità del pagamento in misura ridotta, salgono, rispettivamente, a 2.400 e 12.000 euro. Il mancato rispetto del riposo giornaliero (almeno 11 ore tra una prestazione lavorativa e l’altra, con eccezione della c.d. “reperibilità” e delle prestazioni con orario spezzato) è punito con una sanzione tra 240 e 1.800 euro. Se riguarda più di 5 lavoratori o si è verificata in almeno 3 periodi di 24 ore, va da 960 a 3.600 euro. Se, invece, riguarda più di 10 lavoratori e si è verificata in almeno 5 periodi di riferimento i nuovi importi sono compresi tra 2.400 e 12.000, con esclusione del pagamento in misura ridotta. La violazione del precetto relativo alle ferie annuali (art. 10, comma 1) viene punita con un importo compreso tra 120 e 720 euro. Anche qui ci sono maggiorazioni se la questione riguarda più di 5 lavoratori e si è verificata in 2 anni (da 480 a 1.800 euro) o a più di 10 dipendenti o si è verificata in almeno 4 anni (da 960 a 5.400 euro, senza sanzione ridotta).

Sempre, a partire dalla stessa data, aumentano del 10%:

a) gli importi dovuti per tutte le violazioni sanzionate in via amministrativa o penale dal D.Lgs. n. 81/2008. Qui il legislatore non ha fatto alcuna eccezione: detto questo, però, ritengo che l’aumento non si applichi alla somma aggiuntiva di 2.000 o di 3.200 euro (a seconda delle ipotesi) prevista dall’art. 14, comma 2, lettera c), in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale, in quanto, come chiarito più volte dallo stesso Ministero del lavoro, non si tratta di una sanzione amministrativa.

Una breve riflessione appare necessaria.

La legge n. 145/2018 ha provveduto ad aumentare le sanzioni del D.Lgs. n. 81/2008 i cui importi, rispetto al valore originario, avevano già subito un adeguamento nel 2013 e nel 2018 ma ha dimenticato altri comportamenti da sanzionare, particolarmente importanti anche per la salute e la sicurezza che sono contenuti in altri provvedimenti come, ad esempio, quelli sulle radiazioni ionizzanti, di cui tratta il D.Lgs. n. 187/2000.

L’aumento degli importi nella misura del 20% è, altresì, previsto:

a) per le violazioni di altre disposizioni in materia di lavoro e di legislazione sociale, individuate dal Ministro del Lavoro, con proprio Decreto. Ovviamente, si ha motivo di ritenere che per tali sanzioni l’aumento non scatti dal 1° gennaio 2019, ma da quando il provvedimento amministrativo sarà emanato.

Le maggiorazioni sono raddoppiate se, nei 3 anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti. Qui il legislatore, che ha usato un termine “atecnico”, non sembra riferirsi, direttamente, alla previsione dell’art. 8-bis della legge n. 689/1981 in tema di recidiva, accontentandosi soltanto di richiamare il fatto che, nel triennio antecedente, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative, senza specificare (come sarebbe stato giusto ed opportuno) che la maggiorazione scatta in presenza di una avvenuta definizione delle stesse in via amministrativa o giudiziaria.

Con la nota n. 1148 del 5 febbraio 2019, integrativa dei primi chiarimenti intervenuti con la circolare n. 2, l’Ispettorato Nazionale ha dato una lettura in adesione al predetto art. 8-bis e, in via amministrativa. ha precisato la diretta correlazione, in caso di comportamenti recidivanti, sia con la legge n. 689/1981 che con il D.Lgs. n. 81/2008.

Da ciò discende che per il concetto di recidiva ci si deve trovare di fronte ad una definizione di accertamenti che ricorrono allorquando:

a) sia stato superato il termine per impugnare l’ordinanza-ingiunzione;

b) sia stata pagata la sanzione;

c) ci si trovi di fronte ad una sentenza passata in giudicato, a fronte di una impugnazione dell’ordinanza-ingiunzione.

La nota chiarisce che i tre anni da calcolare “a ritroso” vanno presi in considerazione dal momento in cui l’illecito amministrativo è divenuto definitivo e non da quanto è stato commesso.

Il raddoppio della maggiorazione non si applica, tuttavia, laddove:

a) il pagamento sia avvenuto in misura ridotta secondo la previsione dell’art. 16, legge n. 689/1981;

b) il pagamento sia avvenuto nella misura di ¼ in caso di importo fisso secondo la previsione dell’art. 13, D.Lgs. n. 124/2004;

c) il pagamento sia stato eseguito per una somma pari ad ¼ del massimo dell’ammenda secondo la previsione sia dell’art. 21, D.Lgs. n. 758/1994 che dell’art. 15, D.Lgs. n. 124/2004.

Ai fini della identificazione del soggetto al quale inviare il provvedimento del raddoppio delle maggiorazioni, la nota n. 1148/2019 precisa che si tratta del soggetto che, nell’ambito della medesima impresa ha rivestito il ruolo di:

a) trasgressore, in caso di violazioni amministrative;

b) datore di lavoro in caso di violazioni punite attraverso il richiamo al D.Lgs. n. 81/2008, come affermato dall’art. 2, comma 1, lettera b).

Da ultimo, l’INL afferma, richiamando la sentenza della IV sezione penale della Cassazione n. 15913/2013 che gli illeciti antecedenti possono riferirsi anche a periodi anteriori all’entrata in vigore della legge, con un periodo di osservazione che può estendersi al triennio precedente.

La nota n. 1148/2019 nulla dice, però, su un altro aspetto che, ad avviso di chi scrive, appare fondamentale in considerazione del fatto che le violazioni possono essere accertate da vari organi come gli ispettori del lavoro e quelli degli istituti previdenziali, ma anche dalla Guardia di finanza, dall’Asl, dalla Polizia della strada, ecc.). Come si farà ad accertare la recidiva specifica in mancanza di una interconnessione tra le banche-dati?

Dove andranno a finire gli importi delle sanzioni maggiorate?

Con la sola eccezione di quelli irrogati dalle Asl in via amministrativa (art. 13, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008), essi sono convogliati verso l’erario per essere, poi, destinati, dopo una serie di passaggi, all’incremento del Fondo risorse decentrate dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro per la valorizzazione del personale secondo criteri da definire in sede di contrattazione collettiva. Esse serviranno anche ad incentivare l’attività di rappresentanza in giudizio dello stresso Ispettorato. Le risorse che affluiranno al Fondo non potranno superare il tetto dei 15 milioni di euro annui. A tal proposito, l’Agenzia delle entrate, con risoluzione n. 7/E del 22 gennaio 2019 ha individuato il Codice Tributo VAET (già preannunciato nella circolare n. 2, INL), con l’indicazione di quest’ultimo nel campo 11 all’interno del Modello F23 e con una serie di altri elementi da immettere all’atto del pagamento.

Fin qui la parte relativa all’apparato sanzionatorio ma, come detto, il comma 445 si preoccupa anche della struttura burocratica prevedendo, complessivamente, l’immissione in ruolo, attraverso procedure concorsuali, di 930 unità, prevalentemente, ispettive nell’arco di 3 anni (300, rispettivamente, nel 2019 e nel 2020 e 330 nel 2021): il legislatore ha usato l’avverbio “prevalentemente” in quanto è consapevole della necessità di rimpinguare gli organici amministrativi, particolarmente carenti in molte strutture territoriali: essi saranno destinati allo svolgimento di compiti di notevole importanza come, ad esempio, la conciliazione delle controversie di lavoro, o l’emanazione dei provvedimenti amministrativi per la tutela della maternità o la stessa gestione burocratica della struttura.

A livello centrale, poi, raddoppia il numero dei Dirigenti generali che da 2, passano a 4 ed, inoltre, quello dei Dirigenti non generali (ad esempio, i “Capi” delle strutture territoriali) passa da 88 a 94 (probabilmente, i nuovi Dirigenti generali avranno bisogno, per le loro strutture, di 6 unità - 3 per ciascuno di loro -). Contemporaneamente, il progressivo pensionamento per raggiunti limiti di età di Dirigenti periferici (attualmente, ve ne sono molti, in servizio, che hanno la responsabilità di 2 o 3 strutture territoriali) ha spinto il legislatore a prevedere l’inserimento negli organici di 12 nuove unità anche attingendo alla graduatoria degli idonei di un concorso bandito ed espletato alcuni anni or sono. L’aver inserito la congiunzione “anche” offrirà la possibilità di reperire il personale dirigenziale non soltanto tra gli idonei ancora disponibili del concorso, ma anche attraverso forme di “comando” o con contratti di diritto privato, qualora sussistano le percentuali previste dalla legge.

Da ultimo, una norma che tende a favorire, in tempi brevi, il distacco da altre amministrazioni: tale disposizione afferma che, al fine di consentire la piena operatività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l’art. 17, comma 14, legge n. 127/1997 in materia di “comandi”, limitatamente alla previsione contenuta nell’art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, si applica al personale di detta struttura.

Scarica il pdf dell'articolo tratto dalla rivista Diritto & Pratica del Lavoro n. 8/2019

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/03/29/lavoro-irregolare-sommerso-cosa-rischia-azienda

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