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Lavoratori impatriati: il decreto Crescita estende gli incentivi fiscali

Il decreto Crescita per i lavoratori impatriati prevede l’estensione della durata temporale degli incentivi fiscali e il loro rafforzamento. La percentuale di esenzione per il reddito prodotto in Italia, attualmente fissata al 50%, viene portata al 70%, a vantaggio dei contribuenti ammessi all’agevolazione. Rispetto alla durata del benefico, fissata in 5 anni, vengono, inoltre, previste alcune ipotesi di estensione, che consentiranno di applicare il regime agevolato per ulteriori 5 anni, se il lavoratore ha un figlio minorenne o se acquista un immobile residenziale dopo il trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti il trasferimento stesso.

Il decreto Crescita prevede importanti misure sul regime fiscale applicabile ai lavoratori impatriati introdotto dall’art 16 del D.Lgs. n. 147/2015 che consente di detassare il 50% del reddito di lavoro prodotto in Italia per un periodo di 5 anni per tutti i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

Secondo la versione attualmente vigente del citato art. 16 il regime di favore si rende applicabile a due differenti categorie di contribuenti; in particolare ai sensi del primo comma del citato art. 16 possono accedere all’agevolazione i lavoratori che rispettano le seguenti condizioni:

a) non siano stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento e si impegnino a permanere in Italia per almeno due anni;

b) svolgano la propria attività prevalentemente nel territorio italiano presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società del gruppo;

c) rivestano ruoli direttivi ovvero siano in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Il successivo comma 2 dell’art. 16, poi, estende i medesimi benefici fiscali ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, della l. n. 238/2010, ovvero ai cittadini dell’Unione Europea, che abbiano risieduto continuativamente per almeno 24 mesi in Italia e che, sebbene residenti nel proprio Paese di origine:

- siano in possesso di un titolo di laurea, abbiano svolto continuativamente un’attività di lavoro, dipendente o autonomo, o un’attività di impresa fuori dal proprio Paese di origine e dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;

- abbiano svolto continuativamente un’attività di studio fuori del proprio Paese di origine e dell’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

La modifica normativa introdotta dal decreto Crescita interviene sull’impianto normativo come sopra descritto apportando modifiche finalizzate a rafforzare e semplificare l’agevolazione.

In primo luogo, la percentuale di esenzione per il reddito prodotto in Italia attualmente fissata al 50% viene portata al 70% con un indubbio vantaggio per i contribuenti che potranno aderire al regime di favore. Inoltre, detta percentuale è innalzata al 90% per chi trasferisce la residenza nelle regioni di Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.

Rispetto alla durata del benefico (fissata in 5 anni) vengono previste alcune ipotesi di estensione dello stesso. Ci si riferisce, in particolare alla possibilità di applicare l’agevolazione per ulteriori 5 anni:

- se il lavoratore ha un figlio minorenne o a carico anche in affido preadottivo;

- se il lavoratore acquista un immobile residenziale dopo il trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti lo stesso (l’abitazione può essere acquistata direttamente dal lavoratore o dal coniuge o dai figli o dal convivente anche in comproprietà).

In queste ipotesi per gli ulteriori 5 anni i redditi concorrono a formare l’imponibile per il 50% del loro ammontare. Se il lavoratore ha almeno tre figli nelle condizioni di cui sopra la percentuale di tassazione è fissata al 10.

Infine, il nuovo regime di rende applicabile ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal 1° gennaio 2020.

Il decreto, poi, semplifica notevolmente l’ambito soggettivo di applicazione che, come noto, aveva generato notevoli problemi interpretativi (si pensi, ad esempio, al caso del lavoratore rientrato in Italia dopo un distacco all’estero, fattispecie che ha formato oggetto di svariati interventi della prassi amministrativa).

Al riguardo, l’agevolazione si rende applicabile ai contribuenti che trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’art 2 del TUIR e che:

- non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti al trasferimento e che si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni, e;

- svolgano attività lavorativa prevalentemente in territorio italiano.

Viene specificato che possono godere del beneficio i lavoratori dipendenti, gli autonomi e i titolari di redditi assimilati al lavoro dipendente (categoria già in precedenza inclusa dalla prassi amministrativa) e la nuova formulazione del comma 1-bis dell’art. 16 estende, a far data dal 1° gennaio 2020, il regime ai soggetti di cui al comma 1 e al comma 2 dell’art. 16 che avviano un’attività d’impresa in Italia.

Ciò premesso, vale notare come la semplificazione non sia stata estrema in quanto non è stato superato il comma 2 all’inizio riportato; ci si chiede, tuttavia, che valenza abbia oggi questa previsione alla luce della dizione del comma 1, notevolmente più ampia rispetto al passato, prevista dalla bozza di decreto

L’Agenzia delle Entrate ha da sempre ritenuto che la mancata iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) per il periodo di permanenza all’estero non consentisse l’utilizzo dell’agevolazione in commento. Molti lavoratori italiani, pertanto, pur essendo effettivamente fiscalmente non residenti in Italia non hanno potuto, una volta rientrati, trarre vantaggio del beneficio proprio a fronte di tale requisito formale.

Il decreto crescita sembra risolvere tale problematica. In primo luogo, viene specificato che i lavoratori rientrati dopo il 1° gennaio 2020 possono accedere al regime di favore anche in caso di mancata iscrizione all’AIRE a condizione che siano fiscalmente residenti in un Paese estero ai sensi della relativa convenzione contro le doppie imposizioni.

Inoltre, per i periodi di imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio, nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono ancora decorsi i termini di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/73, ai lavoratori impatriati non iscritti AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali nel testo dell’art. 16 alla data del 31 dicembre 2018 a condizione che abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi della convenzione internazionale.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/04/15/lavoratori-impatriati-decreto-crescita-estende-incentivi-fiscali

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