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Apprendistato: la strada corretta per abbattere il costo del lavoro. Perché?

Nonostante gli incentivi normativi, economici e fiscali che dovrebbero renderlo particolarmente appetibile, l’apprendistato è, ancora oggi, poco utilizzato dalle imprese. I dati parlano chiaro. Nel 2018, sono stati stipulati, infatti, solo 320.239 contratti di apprendistato rispetto ai 3.367.489 contratti a tempo determinato e 1.229.950 contratti a tempo indeterminato. Diventa, pertanto, necessario dimostrare l’infondatezza di alcuni pregiudizi e sbarrare la strada alla disinformazione, evidenziando, in trasparenza, i reali costi e benefici. Eloquenti sono i risultati che emergono dal confronto tra il costo di un contratto d’apprendistato professionalizzante con quello di un contratto a tempo determinato. Cosa dicono?

L’apprendistato gode di incentivi normativi, economici e fiscali che dovrebbero renderlo particolarmente appetibile per i datori di lavoro. Questo trattamento di favore è dovuto alla convinzione che l’apprendistato sia il più efficace strumento per favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, attraverso un percorso formativo di qualità e la stabilità di un rapporto che, fin dal suo nascere, è a tempo indeterminato.

I dati più recenti sulla diffusione dell’istituto ci consegnano però un panorama ben diverso da quello che ci si sarebbe aspettati, date le premesse sopra richiamate. Nel 2018 (ultimo dato disponibile, fornito dall’INPS), i contratti d’apprendistato stipulati sono stati 320.239, mentre quelli a tempo indeterminato 1.229.950 e quelli a tempo determinato 3.367.489. Inoltre, più del 90% di questi contratti sono professionalizzanti (il c.d. secondo livello), una tipologia di apprendistato anomala, con ridotta componente formativa, erede delle finalità più occupazionali che di crescita del vecchio “contratto di formazione e lavoro” (trasformato in “contratto di inserimento” nel 2003 e abrogato dal nostro ordinamento nel 2012). In Europa tale dispositivo non sarebbe definito apprenticeship, come invece vengono identificate la prima e terza tipologia, quelle scolastica e di alta formazione.

I dati ci dimostrano, dunque, che l’incentivo economico, da solo, non basta. La storia recente delle riforme di questo istituto, dal Testo Unico del 2011 in poi, rende inoltre evidente che neanche il continuo intervento normativo è la strada per incoraggiarne la diffusione. Restano quindi da muovere le leve culturali e quelle informative. È necessario che l’apprendistato sia conosciuto dagli imprenditori e riconosciuto in trasparenza nei suoi costi così come nei suoi benefici.

Secondo un recente studio curato dalla società di consulenza Noviter, l'86% dei datori di lavoro non conosce la normativa dell’apprendistato, il 70% non ne vuole affrontarne gli oneri burocratici e il 68% dei consulenti del lavoro e dei commercialisti non lo consigliano. Inoltre, a una scarsa conoscenza dell’istituto si associa il pregiudizio per il quale l’apprendistato sia destinato solamente a operai o, comunque, a basse qualifiche. Questo equivoco impedisce la sottoscrizione di contratti d’apprendistato anche per figure impiegatizie e per profili professionali medio-alti, che pure avrebbero assai bisogno di formazione per competere nella “società della conoscenza” e del continuo cambiamento tecnologico.

Abbiamo deciso di dimostrare l’infondatezza di questi ultimi nodi, quello informativo e il pregiudizio relativo alle alte qualifiche, mediante un confronto tra il costo di un contratto d’apprendistato professionalizzante con quello di un contratto a tempo determinato, ancora oggi utilizzato (e consigliato) in alternativa al primo, come ci hanno testimoniato molti imprenditori in questi mesi. Tale operazione è da compiersi anche rispetto all’altra principale alternativa all’apprendistato, ovvero il tirocinio extracurriculare, sul quale ci concentreremo prossimamente.

È conseguenza nota che il meccanismo di sotto-inquadramento e di percentualizzazione della retribuzione comporti una minore retribuzione all’apprendista, e quindi un minor costo del lavoro. Con l’apprendistato, tramite questo meccanismo previsto dalla norma vigente, l’impresa ottiene un risparmio di almeno il 20% del costo del lavoro. È tuttavia assai frequente che l’imprenditore in cerca di figure di difficile reperimento non abbia alcun interesse ad offrire ai candidati una retribuzione sotto la media per quella mansione, per quanto questo sia assolutamente legittimo con il contratto di apprendistato. Il sottoinquadramento, in svariati casi, se inteso come obbligatorio, diventa un limite e non una opportunità, un elemento che fa propendere i candidati più validi verso soluzioni più redditizie non in apprendistato; solitamente si tratta di contratti a tempo determinato di acausali di un anno, diretti o mediante somministrazione.

Immaginiamo che il datore di lavoro voglia retribuire l’apprendistato senza applicare il meccanismo del sotto-inquadramento (è possibile!) riconoscendogli lo stesso stipendio “netto lavoratore” che gli avrebbe garantito in caso di assunzione a tempo determinato. Quali differenze e quali convenienze?

Abbiamo fatto alcune simulazioni considerando due diverse figure impiegatizie, inserite in due diversi CCNL: Metalmeccanica Federmeccanica e Terziario Confcommercio. Il confronto è tra il costo “lordo impresa” di un apprendistato e di un contratto a tempo determinato, mantenendo come riferimento lo stesso profilo professionale, in questa sede volontariamente attribuito a una figura di alto livello, in coerenza con la convinzione che l’apprendistato non sia una tipologia contrattuale destinata esclusivamente alle basse qualifiche. Considerando quindi la retribuzione mensile, e applicando il meccanismo del sottoinquadramento per il contratto d’apprendistato, un primo risultato ottenuto è quello contenuto nel seguente grafico:

Fonte: Costo del lavoro - Wolters Kluwer Italia

Si assiste quindi, in tutti e due i casi, ad un risparmio sul costo mensile del lavoratore mediamente del 25% (23% nel settore metalmeccanica az. industriali, 29% nel terziario).

Abbiamo però ricordato come, nel caso di determinate figure professionali, la minore retribuzione dell’apprendista possa essere un disincentivo all’assunzione, in quanto il giovane cercherà una migliore offerta di lavoro, soprattutto se non correttamente informato (come purtroppo accade) del potenziale valore aggiunto per la crescita professionale della formazione contenuta nell’esecuzione dell’apprendistato. Ricostruiamo quindi il grafico precedente, mantenendo però la stessa retribuzione (diretta, indiretta, differita) sia per l’apprendistato che per il contratto a tempo determinato. Questo il risultato:

Fonte: Costo del lavoro - Wolters Kluwer Italia

Com’è facile notare, lo specifico meccanismo previdenziale applicato nel caso dell’apprendistato lo rende, anche a parità di retribuzione corrisposta all’apprendista, più conveniente rispetto al contratto a tempo determinato. Approfondendo infatti i parametri di calcolo dei contributi previdenziali, si osserva che le voci che compongo i parametri di calcolo ai fini previdenziali variano sensibilmente: l’IVS a carico del datore di lavoro passa da 23,81 nel caso del contratto a tempo determinato, a 9,01 dell’apprendistato, ma anche l’IVS del lavoratore passa dal 9,19 nel contratto a tempo determinato a 5,84. Nello specifico, il risparmio complessivo è del 12% sia nel caso del settore metalmeccanico, che del terziario. Risparmio che pesa sullo Stato e non sul dipendente e sulla sua pensione, essendo comunque garantiti dallo Stato i contributi non versati (contribuzione figurativa). Nel caso dell’apprendistato professionalizzante, inoltre, non pesano i costi del contributo introdotto dalla legge Fornero (1,40%), incrementato dal c.d. decreto dignità dell’0,5% per ogni rinnovo (contributo restituito in caso di trasformazione a tempo indeterminato). È invece da aggiungersi in entrambi i casi l’1,61% già previsto a finanziamento della NASpI e della formazione, per qualsiasi tipologia contrattuale.

È quindi possibile assumere un giovane con contratto d’apprendistato senza decurtarne la retribuzione, ottenendo comunque un significativo abbattimento del costo del lavoro. Inoltre, la specifica natura formativa del contratto d’apprendistato lo rende un utile strumento per colmare quel gap tante volte lamentato tra le competenze che i giovani possiedono in uscita dai percorsi di studio e quelle richieste dal mercato del lavoro. E questo ragionamento vale non solo, com’è tradizionalmente stato, per alcuni settori produttivi e alcune qualifiche, ma per tutti i settori e per tutte le qualifiche: che siano operai o impiegati, qualsiasi sia il contratto collettivo applicato. Anzi, a maggior ragione proprio per le figure professionali e per i settori dov’è meno diffuso, è possibile vedere esaltata la sua natura di efficace strumento di placement, attraverso la costruzione di percorsi formativi in grado di soddisfare le richieste del datore di lavoro e capaci di accompagnare l’inserimento e la crescita del giovane nel mercato del lavoro, a un costo inferiore rispetto ad altri istituti contrattuali.

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Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/05/03/apprendistato-strada-corretta-abbattere-costo-lavoro-perche

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