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Archivio newsOfferta di lavoro congrua. Una scommessa troppo difficile da vincere?
Il disoccupato che rifiuta una proposta di occupazione con una retribuzione inferiore a 858 euro potrà continuare a beneficiare del reddito di cittadinanza, in quanto l’offerta di lavoro non è definibile congrua. Stessa sorte tocca a chi non accetta una proposta di lavoro, anche a tempo indeterminato, perché non rispetta i requisiti di distanza dal luogo di residenza. Inoltre, presentare un’offerta congrua presuppone che il Centro per l’Impiego svolga un’attività (che non gli è propria) di ricerca e selezione del personale e non più di semplice intermediazione. Il reddito di cittadinanza sarà davvero in grado di rilanciare l’occupazione?
Uno dei problemi cruciali del reddito di cittadinanza è definire quando un’offerta di lavoro è da considerare congrua e quindi meritevole di essere presa in considerazione dal beneficiario del reddito di cittadinanza, poiché condizione indispensabile e dunque tassello fondamentale per il suo funzionamento. Infatti, così come per il ReI, anche per beneficiare del reddito di cittadinanza bisogna partecipare ad un piano di reinserimento nel mondo del lavoro. Nel dettaglio, entro 30 giorni dalla data di accesso al RdC bisogna sottoscrivere il Patto per il lavoro presso il Centro per l’impiego. Questo patto consiste nel registrarsi al Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro e consultare giornalmente l’apposita piattaforma per ricercare attivamente una nuova occupazione; accettare di prendere parte a corsi di formazione e di riqualificazione professionale; sostenere colloqui psico-attitudinali ed eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione; accettare almeno una delle tre offerte congrue.
I beneficiari del RdC da oltre 12 mesi devono accettare la prima offerta utile di lavoro congrua; rendersi disponibili per progetti del Comune utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, formativo, ambientale.
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L’offerta di lavoro è congrua quando sussistono contestualmente i seguenti requisiti: si riferisce a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato oppure determinato o di somministrazione di durata non inferiore a 3 mesi; si riferisce a un rapporto di lavoro a tempo pieno o con un orario di lavoro non inferiore all’80% di quello dell’ultimo contratto di lavoro; prevede una retribuzione non inferiore ai minimi salariali dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015. L’offerta di lavoro inoltre deve contenere, al momento della sua presentazione, le seguenti informazioni minime: la qualifica da ricoprire e le mansioni; i requisiti richiesti; il luogo e l’orario di lavoro; la tipologia contrattuale; la durata del contratto di lavoro; la retribuzione prevista o i riferimenti al contratto collettivo nazionale applicato.
Per estrema sintesi perciò, sulla base della definizione di “congruità dell’offerta di lavoro”, i percettori di RdC possono rifiutare le proposte di lavoro, in quanto non ritenute valide o conformi alle indicazioni del decreto legge n. 4 del 2019. Come ad esempio, in caso di offerta di lavori stagionali, part-time, di apprendistato o di lavoro a chiamata.
Ed ancora. È rifiutabile l’offerta si svolgere mansione di commesso di negozio a part-time 50% perché il CCNL Commercio-Confcommercio (livello 4) per 20 ore settimanali prevede una retribuzione mensile di 808,34 euro. Altro lavoro che si può rifiutare è l’aiuto cuoco: il CCNL Pubblici Esercizi, livello 6 super, 24 ore settimanali, prevede una retribuzione di 819,93 euro. E l’apprendista parrucchiere: il CCNL Acconciatori estetisti e barbieri, livello finale 2, 40 ore settimanali, prevede una retribuzione mensile di 828,92 euro. Sono lavori che prevedono tutti un importo inferiore al tetto minimo di retribuzione mensile, che è pari a 858 euro.
Inoltre, il percettore del reddito di cittadinanza da meno di 12 mesi è tenuto ad accettare la prima offerta entro 100 chilometri dalla residenza o raggiungibile in 100 minuti; la seconda offerta deve essere accettata in un raggio di 250 chilometri; la terza può essere proposta ovunque nel territorio nazionale. Nel caso di percettore da più di 12 mesi, la prima e la seconda offerta sono congrue quando collocate in un raggio di 250 chilometri, mentre la terza lo è ovunque sul territorio italiano.
Condizione indispensabile per sviluppare virtuosamente il percorso tra domanda e offerta è che tra Centro per l’impiego o agenzia privata per il lavoro proponenti l’offerta di lavoro al percettore del RDC e l’impresa potenzialmente interessata all’assunzione sia già incardinata e funzionante una relazione molto stretta, un concreto e attivo accordo, sula base del quale l’azienda demandi al Centro per l’impiego o all’agenzia di lavoro il compito di reperire uno specifico profilo coniugando l’impegno formale dell’azienda ad assumere il disoccupato sulla base dei parametri che costituiscono i requisiti indefettibili dell’offerta di lavoro. E dare mandato al soggetto pubblico o privato di reperire un lavoratore (titolare di RdC) a monte implica una specifica attività di selezione a favore dell’impresa che il nostro ordinamento non prevede tra i compiti dei soggetti chiamati a mediare tra domanda e offerta.
Dunque, presentare un’offerta congrua presuppone un sistema più simile a quello della “ricerca e selezione del personale”, rispetto a quello dell'”intermediazione”. Sulla base dell’incarico ricevuto dall’azienda, il mediatore elabora il profilo e le competenze richieste dall’azienda e successivamente sollecita i lavoratori scelti, con la sicurezza che l’azienda è intenzionata ad effettuare l’assunzione.
L’offerta congrua diventa credibile solo quando il titolare del reddito di cittadinanza, dopo essere stato sottoposto ad una selezione e inserito in una rosa di candidati, sia effettivamente scelto.
Ma sappiamo bene che il sistema della selezione del personale funziona soprattutto per la ricerca di competenze e profili piuttosto alti. Attività che i Centri per l’impiego non hanno ad oggi sviluppato per mancanza (spesso) di competenze degli operatori e per l’impossibilità di dialogare con la banca dati dell’offerta e della domanda di lavoro delle altre agenzie accreditate. Per questo l’attività di vera ricerca e selezione prevista dal decreto su reddito di cittadinanza sarà molto complicata.
La parte più incerta del decreto è data dalla mancata presa in carico della sottoscrizione del contratto di lavoro dopo l’accettazione dell’offerta: bisogna capire per quali ragioni il contratto non sia stato stipulato e se è stato un problema dell’azienda o del percettore del RdC.
Infine, perché questo nuovo strumento di politica attiva del lavoro funzioni è necessario formare e riqualificare i beneficiari del RdC poichè vi è l’obbligo di partecipare a corsi di formazione e di riqualificazione professionale (sempre secondo le modalità stabilite nel Patto per il lavoro). A tal fine sarà fondamentale il ruolo delle Regioni che dovranno svolgere e gestire iniziative di formazione volte a promuovere l’occupazione, prevedendo misure personalizzate per i disoccupati e per i lavoratori beneficiari di ammortizzatori sociali (cassa integrazione ordinaria, straordinaria o in deroga, mobilità e lavoratori in solidarietà, ecc.).
Attività di formazione intensiva che consiste in corsi specifici interdisciplinari svolti da persone competenti e preparate per il ricollocamento di soggetti disoccupati tramite ricerca attiva di occupazione, rielaborazione di curriculum vitae, bilanci di competenze, simulazioni di colloquio. E per la riqualificazione professionale: corsi di formazione di media/lunga durata finalizzati all’acquisizione di nuove competenze, in vista dell’inserimento della risorsa in un settore professionale diverso da quello originario. Infine, per l’aggiornamento professionale: corsi destinati a soggetti disoccupati, con finalità di aggiornamento delle competenze teorico-pratiche proprie dell’ambito lavorativo al quale appartengono. E per l’orientamento: attività di supporto motivazionale e di guida finalizzata all’individuazione di un percorso professionale e al ricollocamento della risorsa.
Le istituzioni regionali hanno precise competenze legislative in materia di politiche attive per il lavoro e sono pronte a fare la loro parte in un’ottica di collaborazione istituzionale. Ma occorre che ci sia un’interlocuzione continua e costante che accompagni la fase attuativa. Visto che la strategia ipotizzata dal Governo non prefigura una misura meramente assistenziale e punta sul rafforzamento dei Centri per l’impiego (CpI) che oggi fanno capo alle Regioni, questa collaborazione è indispensabile. Rispetto ai CpI urge la predisposizione di un piano nazionale per lo sviluppo dei servizi per il lavoro a cui facciano da contraltare specifici piani regionali.
Occorre poi che i finanziamenti destinati al rafforzamento di tali centri siano strutturali, prevedendo uno specifico capitolo di spesa nel bilancio del Ministero del Lavoro e una procedura d’urgenza per l’assunzione delle 3.000 unità previste denominate navigator le cui competenze riguarderebbero anche le politiche attive per il lavoro la cui titolarità istituzionale è incontestabilmente regionale. E va chiarito bene il loro rapporto di lavoro e quali relazioni dovranno avere con i dipendenti dei CpI e l’organizzazione anche perché si prevede il coinvolgimento di diversi soggetti: INPS, Comuni, CpI, Agenzia nazionale per le politiche attive lavoro (ANPAL), Agenzie per il Lavoro (ApL), i servizi per il sociale, gli Enti di formazione e le imprese. Soggetti che dovranno dialogare per cui sarà fondamentale una governance condivisa. Soprattutto andrà chiarito il rapporto tra il “Patto per il lavoro” e il “Patto di servizio personalizzato”.
E, in buona sostanza, resta la problematica di fondo delle infrastrutture tecnologiche ed informatiche su cui è richiamata la massima attenzione del Governo. Serve un forte e congruo coinvolgimento delle Regioni per predisporre un piano tecnico di attivazione e interoperabilità e servono tempi che consentano davvero l’implementazione dei sistemi informativi a livello nazionale e regionale e garanzie sul fatto che le nuove piattaforme nazionali dialoghino con i sistemi regionali.
Ad oggi, sono pervenute all’INPS 800.000 domande e ne hanno lavorate (accolto, perché ne avevano i requisiti) 480 000. Ai cittadini è già pervenuta la carta bancomat per riscuotere gli importi assegnati.