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Archivio newsIncentivi contributivi all’assunzione: perché le indicazioni INL rischiano di non essere applicabili
Gli ispettori per verificare se il datore di lavoro possa o meno fruire dei benefici di natura contributiva per l’assunzione di nuovo personale devono accertare se il trattamento economico e normativo riconosciuti siano equivalenti o superiori al trattamento determinato dalla contrattazione collettiva sottoscritta dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. E’ quanto fa presente l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 7 del 2019. Quanto affermato suscita perplessità. Come effettuare una valutazione di equivalenza senza fornire agli ispettori del lavoro una griglia di valori e di situazioni sulla cui base operare? Se la disposizione amministrativa resterà così rischia di rimanere solo sulla carta.
Rispetto dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale: c’è qualcosa di nuovo?
La strada della fruizione degli incentivi di natura contributiva legati alla assunzione di nuovo personale, è stata da sempre, nel nostro ordinamento, “abbastanza accidentata”: alla cogente normativa prevista dalla normativa italiana (è sufficiente pensare all’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 ed all’art. 31 del decreto legislativo n. 150/2015) e dai regolamenti comunitari sul “de minimis” e sugli incrementi occupazionali, si sono aggiunte, spesso, interpretazioni amministrative o passaggi “obbligati” che hanno reso le norme ancora più “burocratizzate”.
Questa breve premessa si è resa necessaria per comprendere il significato dell’ultima nota emanata dall’INL.
L’attenzione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro si è, da ultimo, focalizzata, attraverso la circolare n. 7 del 6 maggio 2019, sulla condizione legata al “rispetto degli accordi e dei contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.
Per completezza di informazione, va ricordato che per gli accordi aziendali, il Legislatore (art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015), legittima quali firmatari le RSA emanazione delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o le RSU.
La condizione appena richiamata è una di quelle previste dal citato comma 1175 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 che richiede, peraltro, altre specifiche condizioni: la regolarità contributiva ed il rispetto degli altri obblighi di legge tra i quali, particolarmente importanti, sono quelli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro le cui violazioni, in casi particolarmente gravi, riportati nell’allegato al D.M. del 2015 sul DURC, comportano la sospensione temporanea dello stesso documento.
Con la nota sopra citata l’INL invita le proprie articolazioni periferiche (ma, in un certo senso, ai fini di una auspicabile uniformità di comportamento, la circolare viene indirizzata anche agli Istituti previdenziali) a verificare, nel corso degli accertamenti, che il rispetto di quanto previsto dalla norma non sia soltanto formale ma di verificare (soprattutto se ad essere applicati sono accordi collettivi, stipulati da altre associazioni) se il trattamento economico corrisposto e quello normativo riconosciuto siano equivalenti o superiori a quello determinato dalla contrattazione collettiva, anche di secondo livello, sottoscritta dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
L’esame di equivalenza, rispetto al quale mi riservo di fare alcune considerazioni, non può tenere conto dei trattamenti corrisposti a seguito di misure correlate alla produttività ed al miglioramento delle “performance” nelle quali, a seguito di accordi sindacali o piani di welfare, si ottengono benefici di natura fiscale o contributiva. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, che il mancato rispetto dei contratti collettivi sopra evidenziati (a meno che i nuovi non prevedano un trattamento economico-normativo che, sotto il piano dell’equivalenza, sia uguale o superiore) comporta la perdita di fidi normativi e contributivi già fruiti.
Quanto affermato dall’organo nazionale di vigilanza suscita alcune perplessità che, a mio avviso, faticano a diradarsi.
Si parla, infatti, di una valutazione di equivalenza senza fornire agli ispettori del lavoro, abituati ad operare seguendo quanto scritto nelle norme e nelle circolari amministrative, una griglia di valori e di situazioni sulla cui base possono operare.
Ciò, quantomeno, potrebbe portare a valutazioni difformi sul territorio nazionale, essendo il tutto rimesso alla valutazione discrezionale alla capacità del singolo funzionario ispettivo a districarsi (cosa non facile) all’interno di complessi istituti contrattuali non solo economici, ma anche normativi. Il problema resta anche nella ipotesi in cui, nel silenzio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro vengano forniti, a livello interregionale dai Dirigenti preposti, canoni indicativi a cui riferirsi.
La valutazione deve essere complessiva e, se necessario, deve fornire un “valore ponderato” a situazioni diverse come, ad esempio, un trattamento economico complessivo inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva applicata alla maggior parte dei lavoratori di quel settore, accompagnata, però da istituti normativi migliori per certi aspetti che possono riguardare sia la generalità dei lavoratori (ad esempio, ferie, termini più lunghi nella procedura disciplinare con ulteriori garanzie per i dipendenti, riduzione delle sanzioni attraverso una apposita norma contrattuale) che una parte di essi (maggiori permessi legati alla maternità, o al diritto allo studio).
Come va valutato, ad esempio, un trattamento economico maggiore per lavoro straordinario? Si tratta di una ipotesi che non necessariamente riguarda tutti i lavoratori e, soprattutto, se presso quella azienda si fa poco ricorso alle “prestazioni extra orario” se ne deve tenere in debito conto e, in caso positivo, quale è il “valore ponderale”?
Altre riflessioni si potrebbero effettuare, ma esse rimarrebbero senza risposta.
Da ciò, a mio avviso, discendono alcune considerazioni.
Se la disposizione amministrativa resterà così, nel senso che non giungeranno ulteriori chiarimenti amministrativi finalizzati ad indirizzare, concretamente, l’attività di vigilanza (per uniformità, la questione dovrebbe interessare sia gli ispettori degli Istituti previdenziali che, negli indirizzi, dovrebbero essere coordinati dagli Ispettorati Territoriali del Lavoro, che le competenti Direzioni centrali dell’INPS e dell’INAIL), probabilmente, la direttiva rimarrà soltanto sulla carta mancando gli strumenti minimi per poter, concretamente, operare.
La seconda riflessione riguarda la normativa, tutta da attuare sotto l’aspetto legale, relativa alla rappresentanza ora affidata soltanto ad accordi interconfederali di settore: finché non si arriverà ad una determinazione sull’argomento, ogni comparazione, finalizzata a ritenere, al di là del mero dato terminologico, applicabili anche altri contratti collettivi senza fornire agli organi di vigilanza una “griglia” minima di dati e riferimenti rispetto ai quali operare, rimarrà un “pio desiderio”.