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Archivio newsInsider trading: è legittima la confisca del solo profitto
E’ costituzionalmente illegittima la confisca amministrativa dell’intero “prodotto” di operazioni finanziarie illecite e dei beni utilizzati per commetterle, anziché del solo “profitto” ricavato da queste operazioni. Così ha dichiarato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 112 del 10 maggio 2019 chiarendo che, mentre la confisca del “profitto” ha natura meramente ripristinatoria, e come tale rappresenta la naturale e legittima reazione dell’ordinamento all’illecito arricchimento realizzato dal soggetto, la confisca del “prodotto” e dei beni utilizzati per commettere l’illecito hanno invece natura propriamente punitiva e, cumulandosi con le già severe sanzioni pecuniarie del Testo unico, portano a risultati sanzionatori sproporzionati.
La Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 187-sexies del D.Lgs. n. 58 del 1998, nel testo originariamente introdotto dall’art. 9, comma 2, lettera a), della l. n. 62/2005 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), nella parte in cui esso assoggetta a confisca per equivalente non soltanto il profitto dell’illecito ma anche i mezzi impiegati per commetterlo, ossia l’intero prodotto dell’illecito.
In particolare, viene considerata incostituzionale l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste che importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e al comma 2 che qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente.
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 112 del 10 maggio 2019, rileva che le particolari forme di confisca previste dall’articolo in parola, combinate con le elevatissime sanzioni pecuniarie previste dal Testo unico della finanza, conducono a risultati punitivi in contrasto con il principio della necessaria proporzionalità della sanzione, che la Corte ha ritenuto applicabile anche agli illeciti amministrativi di carattere “punitivo”.
La fattispecie riguarda l’acquisto di 30.000 azioni della società al prezzo complessivo di circa 123.000 euro, da parte dell’amministratore che era in possesso di un’informazione riservata sull’imminente lancio di un’offerta pubblica di acquisto. Al momento del lancio dell’OPA, il valore complessivo delle azioni acquistate era salito a circa 150.000 euro, con una plusvalenza, dunque, di circa 27.000 euro.
La CONSOB, avendo accertato la responsabilità per l’illecito amministrativo di insider trading, gli aveva inflitto una sanzione di 200.000 euro e, in aggiunta, gli aveva confiscato beni per circa 150.000 euro, pari all’intero valore delle azioni acquistate, che costituiva il “prodotto” dell’illecito.
La Corte ha già, in numerose occasioni, invocato il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito a fondamento di dichiarazioni di illegittimità costituzionale di automatismi sanzionatori, ritenuti non conformi al principio in questione proprio perché esso postula “l’adeguatezza della sanzione al caso concreto”; adeguatezza che “non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito”.
La sentenza chiarisce che il prodotto di un illecito come l’abuso di informazioni privilegiate, che consiste, nel suo nucleo essenziale, nel compimento di operazioni di compravendita di strumenti finanziari da parte di chi possieda un’informazione ancora riservata, la cui successiva diffusione al pubblico potrebbe determinare una variazione del prezzo di tali strumenti, non può che essere rappresentato dall’insieme degli strumenti acquistati, ovvero dall’intera somma ricavata dalla loro vendita.
Il profitto è, invece, l’utilità economica conseguita mediante la commissione dell’illecito. Nelle ipotesi di acquisto di strumenti finanziari, il profitto consiste dunque nel risultato economico dell’operazione valutato nel momento in cui l’informazione privilegiata della quale l’agente disponeva diviene pubblica, calcolato più in particolare sottraendo al valore degli strumenti finanziari acquistati il costo effettivamente sostenuto dall’autore per compiere l’operazione, così da quantificare l’effettivo “guadagno” (in termini finanziari, la “plusvalenza”) ovvero, come nel caso di specie, il “risparmio di spesa” che l’agente abbia tratto dall’operazione.
Alla luce di quanto chiarito, mentre la confisca del “profitto” ha natura meramente “ripristinatoria”, e come tale rappresenta la naturale e legittima reazione dell’ordinamento all’illecito arricchimento realizzato dal soggetto, la confisca del “prodotto” e dei “beni utilizzati” per commettere l’illecito hanno invece natura propriamente “punitiva” e, cumulandosi con le già severe sanzioni pecuniarie del Testo unico, portano a risultati sanzionatori sproporzionati.
Per questo motivo la Corte dichiara costituzionalmente illegittima la confisca amministrativa dell’intero prodotto di operazioni finanziarie illecite e dei beni utilizzati per commetterle, anziché del solo profitto ricavato da queste operazioni.
Corte Costituzionale, sentenza 10/05/2019, n. 112/2019