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Archivio newsCongedo di maternità pre-parto: e se la lavoratrice si ammala?
La lavoratrice gestante può astenersi dal lavoro dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale (o con esso convenzionato) e il medico competente attestino l’assenza di un pregiudizio alla salute della lavoratrice e del figlio. La lavoratrice può, inoltre, rinunciare al congedo di maternità ante-partum ed assentarsi nei cinque mesi successivi al parto. In tale ultimo caso, cosa succede se nel periodo pre-parto dovesse intervenire una malattia?
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Rinuncia al congedo pre-parto e malattia
Ai sensi dell’art. 20, Testo unico sulla maternità e paternità nonché del comma 1.1, art. 16, medesimo T.U., come modificato dalla legge di bilancio 2019, la lavoratrice gestante può, ad alcune condizioni, optare per lo slittamento dell’inizio del congedo di maternità ante-partum o anche per la sua rinuncia, usufruendo nel post-partum del periodo di congedo non goduto.
Tuttavia qualora durante il periodo pre-parto dovesse intervenire la malattia vi sono conseguenze sulla scelta della donna che si vanno ad analizzare nel presente contributo che non può non partire dall’analisi del congedo di maternità.
Stante l’art. 16, D.Lgs. n. 151/2001, la gestante è tenuta a fruire del congedo di maternità c.d. “ordinario”:
1) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo l’istituto della flessibilità di cui si parlerà più avanti;
2) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
3) durante i tre mesi dopo il parto, salvo la flessibilità;
4) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui al punto 1) e 3) superi il limite complessivo di cinque mesi.
La legge di bilancio 2019 all’art. 1, comma 485, ha inserito nell’art. 16 il comma 1.1. in forza del quale, in alternativa alla fruizione del c.d. “congedo ordinario” è riconosciuta alle lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Relativamente al calcolo del congedo pre-parto, si precisa che i due mesi di congedo anticipato si calcolano a ritroso dalla data presunta del parto risultante dal certificato di gravidanza.
A tal proposito si rammenta che il certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, dall’agosto 2017, va inviato all’Istituto nazionale della previdenza sociale esclusivamente per via telematica direttamente dal medico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato.
I datori di lavoro previa autenticazione con Pin o Cns, ed esclusivamente previo inserimento del codice fiscale della lavoratrice e del numero di protocollo del certificato fornito dalla stessa, potranno accedere in consultazione agli attestati attraverso un’apposita applicazione presente sul sito dell’Istituto.
L’Inps con circolare n. 231 del 28 dicembre 1999, ha chiarito che qualora la lavoratrice, a causa dell’anticipazione del parto, non abbia potuto presentare il certificato medico di gravidanza, la data presunta deve essere determinata “a posteriori” da parte del medico della Sede, sulla scorta dei dati contenuti nella cartella clinica relativa al parto.
Quanto poi al giorno del parto, la Cassazione con sentenza n. 1401 dell’8 febbraio 2000, ha stabilito che questo è sicuramente compreso nella tutela, ma costituisce il dies a quo per calcolare a ritroso i due mesi precedenti il parto e quindi anche i tre successivi; di conseguenza anche nel caso in cui la data effettiva del parto coincida con quella presunta, il congedo di maternità è minimo pari a cinque mesi ed un giorno.
A tale sentenza si è adeguato l’Inps che, con messaggio n. 18311 del 12 luglio 2007, ha modificato il proprio orientamento espresso nella circolare n. 134382 del 26 gennaio 1982 - sulla scorta della precedente pronuncia della Cassazione n. 187 del 14 gennaio 1978 - che riteneva il giorno del parto compreso nei due mesi precedenti il parto stesso.
La madre è comunque tenuta, ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 151/2001, a presentare il certificato di nascita del proprio bambino o a rilasciare una dichiarazione sostitutiva entro trenta giorni.
Il termine suddetto ha carattere ordinatorio ed il mancato rispetto dello stesso non è sanzionabile e di conseguenza non fa venir meno il diritto alla prestazione di maternità.
Il D.Lgs. n. 80/2015 ha riconosciuto il diritto della madre di chiedere la sospensione del congedo di maternità post-partum, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, e di godere del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino.
Si rammenta che tale diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio ed è subordinato alla produzione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa.
Altro diritto al rinvio è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale, con sentenza 4-7 aprile 2011, n. 116, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, lettera c), D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15, legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
Tale rinvio è quindi riconosciuto in caso di ricovero del neonato collegato alla sua prematurità e non in caso di parto a termine nonché nelle ipotesi di parto prematuro allorquando il ricovero del neonato non sia conseguenza della prematurità della nascita, ma sia dovuto ad altri motivi, così come specificato dall’Inps con messaggio n. 14448 dell’11 luglio 2011.
Ai fini del differimento del congedo di maternità la lavoratrice ha, nel caso di specie, l’onere di acquisire la certificazione medica dalla quale possa rilevarsi il rapporto causa-effetto esistente tra la nascita prematura del neonato e l’immediato ricovero dello stesso.
Tale certificazione va rilasciata dalla struttura ospedaliera, pubblica o privata, presso la quale il neonato è ricoverato la quale provvederà ad attestare anche la data di dimissioni del bambino.
Inoltre, poiché il differimento del congedo è possibile compatibilmente con le condizioni di salute della lavoratrice, l’Inps ha chiarito che l’interessata, prima di riprendere l’attività lavorativa nel periodo di prevista astensione, ha l’onere di acquisire le certificazioni mediche attestanti la compatibilità delle proprie condizioni di salute con la ripresa del lavoro e che, in assenza di specifiche disposizioni, trovano applicazione per analogia le norme previste in caso di flessibilità (vedi più avanti).
Quindi in questo caso l’idoneità della lavoratrice ad effettuare l’attività lavorativa nel periodo di prevista astensione dal lavoro, è attestata dal medico specialista del Ssn (o con esso convenzionato) e dal medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, ove previsto.
La flessibilità del congedo di maternità è un istituto previsto dalla legge n. 53/2000 e recepito nel D.Lgs. n. 151/2001 che all’art. 20 prevede la possibilità per le lavoratrici in gravidanza, fermo restando la durata complessiva del congedo di maternità, di posticipare l’inizio del congedo stesso ad un mese prima della data presunta del parto, facendone automaticamente slittarne la fine a quattro mesi dopo il parto.
Tuttavia per poter posticipare l’inizio del congedo è necessaria la presenza della certificazione attestante che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro rilasciata da parte:
1) del medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato;
2) del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.
Il comma 2 del citato art. 20 dispone che, con successivo Decreto interministeriale, debbano essere individuati i lavori per i quali è escluso l’esercizio della flessibilità, tuttavia, il Ministero del lavoro con circolare n. 43 del 7 luglio 2000, ha ritenuto - d’intesa con il Ministero della sanità e con il Dipartimento per gli Affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri - che, nelle more dell’emanazione di detto Decreto, il ricorso all’opzione per la flessibilità in questione sia immediatamente esercitabile in presenza dei seguenti presupposti:
• assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta;
• assenza di un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte del competente Ispettorato Territoriale del Lavoro;
• venir meno delle cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di gravidanza;
• assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o dall’’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non può comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;
• assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del posto di lavoro.
Come chiarito nella circolare ministeriale, in pratica la lavoratrice interessata è tenuta a richiedere la certificazione del medico specialista (ginecologo) del Servizio sanitario nazionale, o con esso convenzionato, e solo nel caso in cui sussista l’obbligo di sorveglianza sanitaria, l’opzione è esercitabile qualora entrambe le attestazioni mediche (quella del ginecologo e quella del medico competente) indichino l’assenza di controindicazioni per il lavoro da svolgere.
Nell’ipotesi di assenza dell’obbligo di sorveglianza sanitaria sul lavoro, il predetto medico specialista, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice sull’attività svolta, è tenuto ad esprimere, altresì, una valutazione circa la compatibilità delle mansioni e delle relative modalità di svolgimento ai fini della tutela della salute della gestante e del nascituro.
La lavoratrice che vuole, quindi, posticipare il congedo di maternità è tenuta a presentare apposita domanda al datore di lavoro ed all’ente erogatore dell’indennità di maternità, corredata della, o delle, certificazioni sanitarie suddette, acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza.
Poiché, come chiarito dall’Inps con circolare n. 152 del 4 settembre 2000, la facoltà di flessibilità è concessa dal mese precedente la data presunta del parto, il periodo di “flessibilità” dell’astensione obbligatoria può andare da un minimo di un giorno ad un massimo di un mese ed anche nel caso in cui la flessibilità sia stata accordata, il periodo può essere successivamente ridotto (ampliando il periodo di astensione ante-partum inizialmente richiesto) su istanza della lavoratrice o implicitamente per fatti sopravvenuti.
Con messaggio n. 13279 del 25 maggio 2007, l’Istituto ha chiarito che “a partire dall’8° mese di gravidanza, la lavoratrice ha il diritto/dovere di astenersi dall’attività lavorativa, salvo che la stessa non abbia esercitato l’opzione per la flessibilità , comprovando tempestivamente (cioè sempre entro la fine del 7° mese), con onere a suo carico, sia al datore di lavoro, ai fini del differimento dell’astensione, sia all’Inps, ai fini del correlativo diritto all’indennità, che, sulla base delle specifiche certificazioni sanitarie di cui al citato art. 20, la prosecuzione dell’attività nell’8° mese è compatibile con l’avanzato stato di gravidanza.
D’altronde, com’è noto, nell’ipotesi in cui la predetta compatibilità non fosse tempestivamente e sufficientemente provata per carenza di documentazione oppure per tardiva esibizione della stessa, il datore di lavoro che consentisse, comunque, la prosecuzione dell’attività da parte dell’interessata durante l’8° mese, incorrerebbe nella violazione di cui all’art. 16, T.U. e, conseguentemente, nell’applicazione della sanzione di cui al successivo art. 18 (arresto fino a sei mesi)”.
Stante quanto sopra, in pratica, possono essere accolte, ai fini del diritto all’indennità, le sole domande di flessibilità alle quali siano allegate le certificazioni sanitarie che rechino una data non successiva alla fine del settimo mese ed attestino la compatibilità dell’avanzato stato di gravidanza con la permanenza al lavoro fin dal primo giorno dell’ottavo mese.
Come già anticipato, il periodo di flessibilità accordato può essere successivamente ridotto anche per fatti sopravvenuti e tale ultima ipotesi - come emerge dalla citata circolare Inps n. 152/2000 - può verificarsi con l’insorgere di un periodo di malattia, in quanto ogni processo morboso in tale periodo comporterebbe, per l’Istituto, un “rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro” e supererebbe, di fatto, il giudizio medico precedentemente espresso nella certificazione del ginecologo ed, eventualmente, in quella del medico competente.
Quindi, in caso di insorgenza di malattia durante l’8° mese di gravidanza in cui la gestante stia fruendo dell’istituto della flessibilità, ci sarà un differimento al periodo successivo al parto, non del mese intero, ma di una frazione dello stesso e cioè delle giornate di congedo di maternità non godute prima della data presunta del parto, che sono state considerate oggetto di flessibilità (vale a dire quelle di effettiva prestazione di attività lavorativa nel periodo relativo, comprese le festività cadenti nello stesso).
Quanto sopra, vale per le lavoratrici del settore privato ma non per la pubblica amministrazione in quanto l’Aran, nell’orientamento applicativo RAL_874 ha evidenziato che l’articolo 20, D.Lgs. n. 151/2001, nel consentire alla lavoratrice, sussistendone i presupposti ivi indicati, di astenersi dal lavoro anche solo a partire dal mese precedente la data presunta del parto, in nessun modo stabilisce che, ove la stessa si sia avvalsa di tale facoltà, in presenza di una malattia sopraggiunta nel periodo antecedente (di flessibilità, cioè l’ottavo mese), debba necessariamente utilizzare il congedo di maternità o che, automaticamente, comunque si determini l’anticipo della decorrenza della c.d. astensione obbligatoria.
In pratica, per l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni non è detto che l’insorgere di malattia durante l’8° mese di gravidanza comporti un “rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro” ma va fatta una verifica caso per caso.
Ai sensi del comma 1.1, art. 16, D.Lgs. n. 151/2001, dal 1° gennaio 2019 le gestanti possono rinunciare al congedo di maternità ante-partum ed astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso.
Analogamente all’istituto della flessibilità tale opzione è ammessa a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Proprio il fatto che la previsione legislativa sia la medesima dell’art. 20, T.U. sulla maternità e paternità porta - a parere di chi scrive - a ritenere l’applicabilità al caso di specie della circolare del Ministero del lavoro n. 43/200, per cui la lavoratrice interessata sarebbe tenuta a richiedere la certificazione del medico specialista (ginecologo) del Servizio sanitario nazionale, o con esso convenzionato, e solo nel caso in cui sussista l’obbligo di sorveglianza sanitaria, l’opzione della rinuncia al congedo pre-partum sarebbe esercitabile qualora entrambe le attestazioni mediche (quella del ginecologo e quella del medico competente) indichino l’assenza di controindicazioni per il lavoro da svolgere.
In caso di assenza dell’obbligo di sorveglianza sanitaria sul lavoro, il medico specialista, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice sull’attività svolta, dovrebbe esprimere altresì una valutazione circa la compatibilità delle mansioni e delle relative modalità di svolgimento ai fini della tutela della salute della gestante e del nascituro.
Sempre in analogia alla flessibilità si ritiene che sia possibile rinunciare al congedo ante-partum in presenza dei seguenti presupposti:
• assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta;
• assenza di un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte del competente Ispettorato Territoriale del Lavoro;
• venir meno delle cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di gravidanza;
• assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o dall’’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non può comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;
• assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del posto di lavoro.
Anche a seguito della rinuncia totale del congedo ante-partum è possibile che il periodo dei due mesi di lavoro possa essere successivamente ridotto, ampliando il periodo di astensione ante-partum inizialmente richiesto, su istanza della lavoratrice o implicitamente per fatti sopravvenuti.
Nonostante l’Inps non si sia ancora pronunciato chi scrive ritiene che, in analogia alla flessibilità e dato l’orientamento già analizzato dell’Istituto, l’insorgere di un periodo di malattia quando la donna abbia rinunciato del tutto al congedo pre-parto, dovrebbe comportare l’obbligo per la gestante di interrompere la prestazione lavorativa per fruire del congedo di maternità in quanto non sarebbe logico che tale situazione si verifichi solo qualora la gestante abbia rinunciato ad un solo mese di congedo pre-parto e non già a due.
Quindi anche in questo caso si dovrebbe ritenere valido l’analizzato orientamento dell’Istituto secondo il quale ogni processo morboso nel periodo pre-parto, comporta un “rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro” che supera, di fatto, il giudizio medico precedentemente espresso nella certificazione del ginecologo ed, eventualmente, in quella del medico competente.
Scarica il pdf dell'articolo tratto dalla rivista Diritto & Pratica del lavoro n. 21/2019