• Home
  • News
  • La solitudine dell’art. 1 della Costituzione. Servono le relazioni industriali

La solitudine dell’art. 1 della Costituzione. Servono le relazioni industriali

L’articolo 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Il messaggio dei padri costituenti è chiarissimo: elevare il lavoro a fondamento del loro progetto politico. A settant’anni di distanza sembra che la nostra società abbia abdicato a questo principio. È sufficiente, infatti, l’osservazione della realtà, del mercato del lavoro, dell’occupazione per rendersi conto che il “lavoro” non è al “centro”, non è “fondante”, ma sottomesso alle regole e leggi “finanziarie”. Il lavoro si governa attraverso le politiche del lavoro, ma se si crea attraverso l’economia, sarà sempre l’economia a guidarlo. Questa è la “destrutturazione” delle relazioni industriali: cosa fare per arginarla?

“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Insieme coi primi versi della Divina Commedia, de “L’infinito” di Leopardi e di “San Martino” di Pascoli è l’incipit di un testo che tutti gli italiani conoscono a memoria. Perché è il principio fondante di tutta la nostra Suprema Carta: qualsiasi proposizione dei 138 articoli successivi rimanda e dipende dal comma d’apertura del primo articolo. Il professor Gustavo Zagrebelsky, in un suo saggio straordinario per lucidità ed agilità, ha analizzato come il diritto al lavoro sia l’unico esplicitamente enunciato tra i principî fondamentali della Costituzione, “primario tra i beni primari” (G. Zagrebelsky, Fondata sul lavoro. La solitudine dell’articolo 1, Einaudi, 2013).

Il messaggio dei padri costituenti è chiarissimo, hanno elevato il lavoro a fondamento del loro progetto politico. A settant’anni di distanza dobbiamo a malincuore constatare come la nostra società abbia abdicato a questo principio. È sufficiente infatti l’osservazione della realtà, del mercato del lavoro, dell’occupazione, delle politiche attive per rendersi conto che il “lavoro” non è al “centro”, non è “fondante” bensì sottomesso alle regole e leggi “finanziarie”. Un’analisi approfondita del concetto di lavoro nella nostra società, da un punto di vista culturale e sociologico, mette brutalmente in evidenza come quel meraviglioso principio costituzionale sia rimasto teorico. A più di settant’anni dalla promulgazione della Costituzione il lavoro è rimasto fondamentale in Italia, ma per chi non ce l’ha.

Le realtà nazionali di disoccupazione e precarietà, di mancanza di possibilità di realizzazione per i giovani e di perdita di certezze per i meno giovani sono i sintomi del malessere di cui soffre l’articolo 1. La causa della sua “solitudine”, del suo essere destinato a non trovare una definitiva e totale applicazione pratica applicazione nella realtà italiana, è da rintracciarsi nella natura stessa dell’articolo 1.

Nel primo articolo della nostra Suprema Carta trova compimento il lungo cammino della dottrina costituzionalista che sdogana il lavoro. Con le costituzioni del ‘900 si compie un incredibile rovesciamento del concetto di lavoro che passa dall’essere esclusivo ad essere inclusivo per la cittadinanza. Prima essere lavoratori escludeva dalla vita politica, in quel momento, affermando che la Repubblica si fonda sul lavoro, diviene quasi una “condizione” per essere considerati cittadini. Il riconoscimento del lavoro come fondamento della Repubblica non costituisce una “rivoluzione”, un ribaltamento dei rapporti di classe, ma un’evoluzione che persegue l’inclusione del lavoratore nella sfera politica. A questa logica sono molto attenti i padri costituzionali che non lasciano spazi a “strappi”. Con grande concretezza mediarono l’istanza comunista che prevedeva la dicitura “L’Italia è una repubblica democratica dei lavoratori” il che aveva chiaramente un senso per quella parte ideologica ma sarebbe stata un’affermazione molto pericolosa.

La Costituzione è stata approvata col 90% dei voti, non è dunque faziosa né obliqua, ma trasversale e aperta. Nel momento in cui una Assemblea Costituente (con ideologie così differenti al suo interno) approva un testo quasi all’unanimità, quel testo non va bene a nessuno, ed allora va bene a tutti. Più è aperta, più è evidentemente facile raggiungere un compromesso. Il più grande dei quali è nell’articolo 1 che è politicamente perfetto, in virtù della natura compromissoria che ha portato alla sua unanime accettazione, ma non lo è tecnicamente.

Dove è situata la pietra d’inciampo in questo bellissimo testo? Nel fatto che la costituzione sia neutrale: recita dei principi, ma non prevede le sanzioni e non chiarisce le esecuzioni di quei principi. Viene demandato alle future entità politiche, che nel 1948 nessuno sapeva quali avrebbero potuto essere, la possibilità di ribadire i contenuti di quei principi così importanti. È evidente che la possibilità di legiferare deriva dalla assenza nella nostra Costituzione di principi vincolanti in maniera chiara. La Costituzione è un bellissimo testo umanistico, ma non è in grado di essere coercitivo in ottemperanza a quei principi che lì vengono così ben elencati.

L’articolo 1 non è un diritto perfetto: non permette al cittadino di utilizzarlo in tribunale. È perciò condannato ad essere disatteso. Lo stesso destino tocca ai suoi epigoni che all’interno del dettame costituzionale cercano vanamente di dare esecuzione all’articolo 1: l’art. 3 che elenca tra i compiti della Repubblica la rimozione degli ostacoli al diritto al lavoro; il 4 che lo riconosce a tutti i cittadini e ne promuove le condizioni. Addirittura, nella costituzione viene affermato che il lavoratore è colui che è in grado di dare con la possibilità di rendere una vita libera e dignitosa a sé ed alla sua famiglia. L’articolo 36 afferma come dovrebbe essere sufficiente il lavoro di un solo membro della famiglia, per l’esistenza libera e dignitosa dell’intero nucleo.

Dal 1948 in poi l’articolo 1 non ha mai trovato concreta realizzazione. Il lavoro non è mai stato protagonista ma sempre gestito come conseguenza di una politica del mercato. Una totale inversione rispetto al paradigma iniziale. Questo è la triste realtà della solitudine dell’articolo 1. In un contesto in cui abbiamo abdicato dall’economia reale alla finanza, il comma iniziale della nostra Costituzione non può che rimanere prigioniero nella torre eburnea del suo elevato (e ahinoi) inapplicabile valore teorico.

È necessario allinearsi agli sforzi compiuti da altri Stati negli anni passati (si vedano la Germania dai tempi di Schoreder e le Loi Travail dell’ultimo decennio in Francia) per cercare di immaginare il futuro del mondo del lavoro. Il mondo è cambiato rispetto al 1948, non solo per una questione temporale ma soprattutto sociologica: non c’è più quella generazione sopravvissuta a due guerre mondiali che vedeva, attraverso il lavoro, un futuro differente. Il progresso è inarrestabile, lo dice la storia, bisogna cercare di governarlo, di renderlo utile alle future generazioni. Questo è il compito del legislatore che dovrebbe essere espressione della maggioranza, in una repubblica democratica.

Stiamo sempre più constatando come l’articolo 1 sia solitario, irrealizzabile. Il lavoro si governa attraverso le politiche del lavoro ma se si crea attraverso il mercato, sarà sempre il mercato a guidarlo: questa è la “destrutturazione” delle relazioni industriali, ovvero dei due principi guida dell’unitarietà e della generalità.

Di fronte a queste “destrutturazioni” come reagire? Per Zagrebelsky il nodo resta l’equilibrio da ripristinare tra economia, politica e cultura. In questo senso, forse, certi stravolgimenti avvenuti in questi anni non sono “inevitabili” ma, anzi, possono essere cambiati con un nuovo protagonismo sociale e politico.

Chiuderei con il pensiero di Rousseau sulla mente umana: “non è vero che l’uomo è di indole cattiva, lo diventa quando si raduna in gruppi, la Società corrompe e perverte l’uomo, più si radunano…più si corrompono”. Ciò vuol dire che occorre una “morale” che governi l’uomo sociale e che non sia scindibile dalla “politica”.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/contrattazione-collettiva/quotidiano/2019/06/15/solitudine-art-1-costituzione-servono-relazioni-industriali

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble