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Archivio newsNegli appalti pubblici prevale la tutela della concorrenza
Le disposizioni del codice dei contratti pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza e vanno ascritte all’area delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. Da quanto rilevato emerge chiaramente che, una Regione, nell’esercizio della propria competenza residuale, non può derogare a tassative e ineludibili disposizioni riconducibili a competenze esclusive statali.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 34, 37, 39 e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione. Le disposizioni regolano, rispettivamente, il responsabile unico del procedimento, l’albo telematico dei commissari di gara, le linee guida e il codice regionale di buone pratiche, e la qualificazione delle stazioni appaltanti. Secondo il ricorrente tali disposizioni non sarebbero riconducibili alla materia dei lavori pubblici di esclusivo interesse regionale, di competenza primaria della Regione Sardegna ma alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato.
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 166/2019 del 9 luglio 2019, rileva che l’art. 3, lettera e), dello statuto della Regione Sardegna, nel prevedere la competenza regionale primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale, l’assoggetta ai limiti derivanti dalla Costituzione, dai principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, dagli obblighi internazionali, dagli interessi nazionali e dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
Le disposizioni del codice dei contratti pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza; esse inoltre vanno ascritte all’area delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. Le disposizioni dello stesso codice che regolano gli aspetti privatistici della conclusione ed esecuzione del contratto sono riconducibili all’ordinamento civile e recano princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica.
Da quanto rilevato emerge chiaramente che, una Regione, nell’esercizio della propria competenza residuale, non può derogare a tassative e ineludibili disposizioni riconducibili a competenze esclusive statali.
Pertanto la Corte Costituzionale dichiara:
- che l’unicità del centro di responsabilità procedimentale è garantita dal «responsabile di progetto», il quale «coordina l’azione dei responsabili per fasi, anche con funzione di supervisione e controllo». La disposizione impugnata non è, dunque, in contrasto con il principio di responsabilità unica, posto dall’invocato art. 31, comma 1, del nuovo codice dei contratti a tutela di unitarie esigenze di trasparenza e funzionalità della procedura di gara, preordinata alla corretta formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione, e di accentramento del regime della responsabilità dei funzionari;
- che il nuovo codice dei contratti pubblici, nell’operare la drastica scelta di sottrarre la nomina dei commissari di gara alle stazioni appaltanti, ha previsto l’istituzione e la gestione, a cura dell’ANAC, di un unico «Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici», dal quale, sulla base del principio di rotazione, l’Autorità estrae «una lista di candidati costituita da un numero di nominativi almeno doppio rispetto a quello dei componenti da nominare», che comunica alla stazione appaltante, la quale, a sua volta, procede alla loro individuazione «mediante pubblico sorteggio». La sottrazione della scelta dei commissari di gara alle stazioni appaltanti rappresenta una radicale innovazione del nuovo codice dei contratti chiaramente ispirata a finalità di trasparenza, imparzialità, tutela della concorrenza e prevenzione di reati;
- l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale che, nel regolare alcuni aspetti della nomina delle commissioni giudicatrici, si riferisce all’albo telematico regionale e ne presuppone l’operatività, così palesando la stretta connessione e l’inscindibile legame funzionale con la disposizione impugnata. Il codice regionale di buone pratiche, «costituisce parte integrante del contratto d’appalto» ed è «rivolto a facilitare l’accesso delle micro e piccole e medie imprese agli appalti pubblici». Tale codice si pone dunque in contrasto con la disposizione del codice dei contratti pubblici che, nell’attribuire all’ANAC la regolazione dei medesimi aspetti della procedura pubblica e della fase negoziale ed esecutiva, è esplicazione della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile. Il rapporto tra le funzioni dell’Autorità di vigilanza nell’approvazione dei bandi-tipo e l’obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti risponderebbe ad esigenze unitarie, che escludono margini di intervento del legislatore regionale.
Corte Costituzionale, sentenza 09/07/2019, n. 166/2019