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Archivio newsRelazioni industriali = business. Un binomio che rischia di incrinarsi: perchè?
La contrattazione di secondo livello costituisce la fonte più autorevole delle regole del gioco in un contesto aziendale che vuole essere competitivo. Lo sviluppo di una solida rete di relazioni industriali decentralizzate costituisce, infatti, un prerequisito necessario per le realtà imprenditoriali che vogliono affrontare (con successo) le sfide della digitalizzazione e della robotizzazione. Stipulare un accordo di secondo livello significa porre le basi per garantirsi un vantaggio competitivo immediato nei confronti di chi non ha la possibilità negoziale di farlo; rinunciare a farlo, significa avviarsi su un binario morto. Un processo virtuoso che rischia di essere minato dai progetti di riforma sul salario minimo legale: perché?
Siamo dinanzi ad un trend che procede senza indugio da più di un lustro e che si caratterizza per la sempre maggiore centralità della contrattazione di secondo livello quale motore di competitività aziendale. Si tratta di un percorso in parte indotto dall’Unione Europea – basti ricordare la famosa lettera della BCE del 5 agosto 2011 e la conseguente riforma introduttiva della contrattazione di prossimità – in parte frutto della scelta del Legislatore italiano di demandare a questa forma di contrattazione il ruolo di piattaforma di accesso privilegiata al mondo delle agevolazioni fiscali e contributive.
Il diritto del lavoro, nel suo complesso, vive da quasi un decennio un periodo di continue e radicali riforme, nel corso del quale si è consolidato un approccio che demanda alla contrattazione collettiva di secondo livello il ruolo di definire intese cucite sulle esigenze di uno specifico contesto produttivo. Lo stesso Legislatore del decreto Dignità non ha ridotto minimamente le deleghe introdotte (o confermate) dal Jobs Act; può anzi dirsi che l’insieme delle limitazioni appena introdotte costituiscano benzina sul fuoco delle relazioni industriali, proprio perché si tratta di limitazioni che possono essere oggetto di ampia revisione da parte di un contratto collettivo aziendale o, per altro verso, di un contratto di prossimità.
La tematica della durata dei rapporti di lavoro flessibili, così come la definizione della c.d. “stagionalità”, la definizione dei limiti percentuali di impiego della somministrazione e del contratto a termine: si tratta di materie che possono essere definite in sede di contrattazione aziendale in modo da allinearsi quanto più possibile alle concrete esigenze di un particolare contesto aziendale. La stessa necessità di apporre causali al contratto a termine può essere sostanzialmente abrogata nell’ambito di un contratto di prossimità, a condizione che si rispettino i requisiti formali e sostanziali previsti dalla disciplina di questo fondamentale strumento di gestione dei contesti aziendali.
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L’introduzione di leve in grado di influenzare positivamente il conto economico aziendale, si pensi alla complessiva tematica delle retribuzioni premiali e dei connessi vantaggi di carattere fiscale e contributivo ai quali si può pervenire tramite l’impiego diffuso e massivo del welfare aziendale, presuppone, ancora una volta, la capacità di addivenire alla stipula di accordi aziendali se si vogliono cogliere appieno le potenzialità che il sistema offre alle aziende ed ai lavoratori.
Può, in sintesi, affermarsi senza timore di essere smentiti che la contrattazione di secondo livello costituisca, in questo particolare momento storico, la fonte più autorevole nel dettare le regole del gioco all’interno di in un contesto aziendale che non si voglia limitare ad una gestione passiva di strumenti di carattere generale ed astratto, identificati da un Legislatore necessariamente laico e lontano dalle concrete problematiche di chi ogni giorno è chiamato ad effettuare scelte in un contesto di variabilità assoluta. Alle parti delle relazioni industriali decentralizzate è oggi concretamente assegnata la possibilità di stipulare un contratto che davvero abbia forza di legge, una potestà normativa sostanzialmente soggetta al solo rispetto dei precetti costituzionali e comunitari, sconosciuta anche ai più alti livelli della contrattazione collettiva.
In questo contesto, gli attori delle relazioni industriali sono chiamati ad affrontare sfide epocali: la gestione della digitalizzazione e robotizzazione delle aziende è destinata ad accelerare sempre di più e questo comporterà la necessita di definire, a livello locale, percorsi concordati che sappiano mitigare gli impatti occupazionali di questi processi, supportare percorsi di riqualificazione professionale, immaginare nuovi modelli organizzativi. L’azienda che si destruttura come luogo fisico potrà essere tenuta insieme solo grazie ad una tela sempre più attenta e penetrante di rapporti digitali, il cui concreto sviluppo dovrà essere oggetto di quotidiano confronto tra i rappresentanti dei Lavoratori e dell’azienda. La globalizzazione, con le sue mille sfide, impone l’elaborazione e la manutenzione continua di modelli organizzativi, al servizio dei quali devono essere cuciti abiti normativi sempre più taylor made.
Queste poche righe bastano a rendere chiaro un dato di fatto incontrovertibile: lo sviluppo di una solida rete di relazioni industriali costituisce un prerequisito delle realtà aziendali che vogliano ambire a vivere in questo contesto. Sono tali e tante le leve di competitività che possono essere utilizzate solo se si dispone di questa rete, da non poter pensare che sia possibile farne a meno. Stipulare un accordo di secondo livello significa porre le basi per garantirsi un vantaggio competitivo immediato nei confronti di chi non ha la possibilità negoziale di farlo; rinunciare a farlo, significa avviarsi su un binario morto.
Ecco quindi che lo sviluppo di quella rete relazionale che costituisce l’antecedente logico necessario della stipula di un accordo di secondo livello, diventa oggi più che mai una parte fondamentale del business: l’azienda non può limitarsi ad investire in una nuova linea produttiva o in una nuova tecnologia. Deve allocare le proprie risorse anche in un percorso di crescita delle relazioni industriali perché solo in questo modo avrà la potenzialità di fruire dei vantaggi economici e normativi legati alla stipula di un accordo di secondo livello. Un accordo, grande o piccolo che sia, si firma solo tra parti che si fidano l’una dell’altra. L’esperienza sul campo insegna che solo in quei contesti maturi, fondati sulla reciproca fiducia ed autorevolezza delle parti sociali, è possibile aprire al massimo la leva delle relazioni industriali e fruire di questo vero e proprio boost capace di portare il motore aziendale a livelli di performance altrimenti inimmaginabili.
In questo senso le relazioni industriali costituiscono anche la vera chiave di volta della struttura aziendale, la “pietra” in grado di reggere e scaricare il peso delle sfide epocali che attendono i singoli contesti aziendali, impedendo loro di collassare su sé stessi. L’esistenza e la pratica quotidiana di questa relazione, la continua condivisione che genera fiducia, l’autorevolezza degli interpreti e la loro capacità di dar seguito agli impegni presi. Questo insieme di valori, che sintetizziamo nella locuzione “relazione industriale”, si traducono in una stanza di compensazione virtuale, grazie alla quale affrontare criticità e generare valore aggiunto per la propria realtà aziendale.
Questo processo virtuoso rischia di essere minato dalle fondamenta dai progetti di riforma che mirano ad introdurre il salario minimo per via legale e non più contrattuale, come è stato sinora. Un progetto sbagliato nel merito, perché i livelli retributivi, minimi o massimi che siano, devono essere ancorati alla produttività dei singoli settori produttivi, prima, e degli specifici contesti territoriali ed aziendali, poi. Un’idea ancora più sbagliata nelle intenzioni, perché pensare di sottrarre materie di contrattazione alle parti sociali, significa solo eliminare una condizione di competitività del sistema irrigidendo verso il basso il livello di produttività delle imprese.