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Residenza fiscale: come risolvere il conflitto tra interessi familiari ed economici

Nella valutazione della residenza fiscale delle persone fisiche prevalgono gli interessi personali su quelli patrimoniali. E’ questa la conclusione a cui sembra giungere la risposta ad interpello n. 294/2019 dell’Agenzia delle Entrate, nel caso di un contribuente dipendente di un’azienda in Svizzera (e ivi residente) che vuole trasferirsi con la famiglia in Italia. Il documento si limita, però, a riepilogare la normativa di riferimento senza fornire una risposta puntuale. La mancata indicazione di criteri oggettivi che consentano di verificare la sussistenza dei requisiti per la residenza fiscale non può che ingenerare incertezze applicative sugli indicatori da tenere in considerazione.

L’Agenzia delle Entrate torna ad occuparsi della residenza fiscale delle persone fisiche con la risposta ad interpello n. 294/2019 che, tuttavia, lungi dall’esprimere posizioni innovative, si limita a riepilogare la normativa (interna ed internazionale) di riferimento. Ad ogni modo, si ritiene che, ancorché non venga fornita una risposta puntuale da parte delle Entrate, il provvedimento di prassi possa fornire lo spunto per alcuni commenti sull’istituto della residenza fiscale anche alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.

L’Amministrazione risponde all’istanza di un contribuente che rappresenta di essere residente in Svizzera e di volersi trasferire con la famiglia, di cui fanno parte la moglie e tre figli, nella sua casa per le vacanze situata in Italia. Il contribuente, evidenzia che la moglie e i figli intendono trasferire la residenza in Italia, con l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente e che nei prossimi anni i figli dovrebbero frequentare l’asilo in Italia e che la moglie non intende lavorare per i prossimi due o tre anni.

A fronte di ciò, l’istante precisa che resterà in Svizzera come dipendente di un’azienda ivi stabilita e soggiornerà tre giorni lavorativi a settimana (dal mercoledì al venerdì) in Svizzera per motivi di lavoro e di studio. Il contribuente dichiara che il suo datore di lavoro svizzero gli consentirà di lavorare a distanza da casa. In sintesi, pertanto, il lavoratore rimarrà dal sabato al martedì in Italia con la famiglia, ma non vi soggiornerà per almeno 183 giorni l’anno.

Definito il caso concreto, viene chiesto un parere all’Agenzia delle Entrate in merito allo status di residenza fiscale.

L’Agenzia delle Entrate in primo luogo ricorda che la residenza non può essere definita in sede di interpello in quanto l’interpello qualificatorio, al pari dell’interpello ordinario, non può avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico per i quali rileva il mero appuramento del fatto.

Tanto premesso, vengono poi fornite alcune linee guida di carattere generale che, in realtà, non presentano particolari novità.

In primo luogo, l’Amministrazione riporta le condizioni fissate dall’art. 2 del TUIR ricordando che indipendentemente dalla iscrizione nella anagrafe della popolazione residente, assume fondamentale importanza, ai fini della qualificazione fiscale di un soggetto come residente in Italia, la verifica della sussistenza di almeno uno dei restanti requisiti (residenza e domicilio).

Al riguardo, la residenza è definita dal codice civile come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.

Il domicilio di una persona, invece, coincide con “la sede principale dei suoi affari ed interessi” a prescindere dalla presenza effettiva in tale luogo. La locuzione in esame deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari (cfr. Circ. 26 ottobre 1968, n. 3586; Circ. 12 febbraio 1973, n. 435). In merito ai citati requisiti si rammenta che la giurisprudenza italiana ha inteso dare particolare rilievo, quale criterio di individuazione della residenza fiscale di una persona fisica, al luogo nel quale sono prioritariamente localizzati gli interessi economici ed affettivi della persona, partendo dalla sfera delle relazioni personali, intese come vincoli familiari.

Da ultimo la risposta ad interpello in commento si sofferma sulle previsioni della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Svizzera fornendo, però, una mera descrizione delle disposizioni ivi previste per risolvere conflitti di residenza fiscale e senza entrare nel dettaglio di come applicare le stesse. Sul punto, l’art. 4, par. 2 della Convenzione dispone che qualora una persona fisica risulti residente in entrambi gli Stati, la stessa è considerata, innanzitutto, residente nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente e, in subordine (laddove disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati), la residenza è determinata secondo i seguenti criteri residuali disposti in ordine decrescente:

(i) ubicazione del centro degli interessi vitali,

(ii) dimora abituale,

(iii) soggiorno abituale,

(iv) nazionalità

(v) comune accordo tra i Paesi.

I temi che sicuramente sono più attuali nelle discussioni in merito all’istituto della residenza fiscale sono i rapporti tra normativa domestica ed internazionale nel caso in cui un contribuente rimanga iscritto nella anagrafe della popolazione residente durante il periodo di permanenza all’estero e le modalità di individuazione della residenza nel caso di conflitto tra interessi di natura familiare e di carattere patrimoniale.

Quanto al primo aspetto è pacifico che la normativa convenzionale prevalga su quella interna e che, pertanto, ancorché non iscritto all’AIRE, un contribuente possa essere considerato fiscalmente non residente secondo le previsioni dei trattati bilaterali. Tale conclusione ha trovato conferma (ma non poteva essere altrimenti) anche nella recente risposta ad interpello n. 273 del 2019. D’altra parte, le recentissime modifiche apportate dal Decreto Crescita all’incentivo per i c.d. lavoratori impatriati (vale a dire la possibilità di applicare l’agevolazione anche ai cittadini italiani che durante il periodo di permanenza all’estero non si sono iscritti all’AIRE, ma che possono qualificarsi residenti fiscali esteri su base convenzionale) manifestano il principio di cui sopra.

In merito alla seconda tematica, va rilevato che uno dei principi consolidati che sembravano accomunare sia la prassi amministrativa che la giurisprudenza era l’assoluta prevalenza, in caso di conflitto, dei legami personali su quelli economici. Sintetizzando, la presenza della famiglia in Italia opera una attrazione della residenza fiscale nel nostro Paese anche del contribuente iscritto AIRE e che stabilmente soggiorna all’estero.

Ciò detto, si deve dare conto di un orientamento della Cassazione che sembra superare quanto appena evidenziato. In particolare, con la sentenza n. 6501 del 31 marzo 2015 i giudici di legittimità hanno chiarito che le relazioni affettive e familiari, la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia delle entrate, non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri, idoneamente presi in considerazione nel caso in esame, che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento.

Inoltre, con l’ordinanza n. 32992 del 20 dicembre 2018 la Cassazione, dopo aver affermato che l’orientamento sulla prevalenza dei legami familiari attualmente appare recessivo ha concluso, citando puntualmente la pronuncia n. 6501 del 2015, nel senso che le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento.

Chiaramente i citati pronunciamenti devono essere analizzati nel contesto complessivo e alla luce delle singole caratteristiche del caso di volta in volta affrontato.

Il problema di fondo, ad avviso di chi scrive, risiede proprio nell’impossibilità (ricordata anche dal provvedimento in commento) dell’Agenzia delle Entrate di fornire una valutazione preventiva della residenza fiscale; ciò non può che ingenerare incertezze applicative sugli indicatori da tenere in considerazione per individuare il Paese di residenza soprattutto per quelli che non sono connotati da una, per così dire, sola valenza “materiale” (si pensi all’iscrizione anagrafica o alla presenza fisica) ma, come nel caso del domicilio, da un coacervo di differenti elementi.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/sostituto-dimposta/quotidiano/2019/08/10/residenza-fiscale-risolvere-conflitto-interessi-familiari-economici

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