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Archivio newsImprese. Ritorno al dialogo sociale per vincere le nuove sfide economiche?
La pubblicazione negli Stati Uniti di un documento redatto dalla Business Roundtable, la Tavola Rotonda delle Imprese, fornisce lo spunto per alcune riflessioni. Il documento, che contiene le linee guida alla base della prossima “rivoluzione copernicana” per le imprese americane, elenca quattro principi. Tra questi, il principio del profitto (“Generare valore a lungo termine per gli azionisti…”) sceso al quarto posto, dopo il principio della responsabilità nei confronti degli stakeholder. E’ forse il segnale di un cambio di rotta generale per l’avvio di una nuova fase di dialogo sociale tra lavoro, imprese, professioni e cittadinanza?
Il 20 agosto - e nei giorni seguenti - le pagine economiche hanno raccontato una notizia proveniente dagli Stati Uniti. Si tratta della pubblicazione, avvenuta il 19 agosto, di un documento redatto dalla Business Roundtable.
Cominciamo dal definire cosa sia quest’organo. La Business Roundtable, Tavola Rotonda delle Imprese - la cui sigla Brt è accompagnata dal claim “leadership in action” - è un’associazione di cui fanno parte 200 amministratori delegati di altrettante fra le principali imprese americane. La missione che si è assegnata l’associazione è la “promozione del fiorire dell’economia degli Stati Uniti e di maggiori opportunità per tutti gli americani attraverso solide politiche pubbliche”.
Ora, l’associazione pubblica un documento di nuove linee guida per le imprese americane presentate come una sorta di “rivoluzione copernicana”. Il documento è composto di due parti. La prima intitolata Our Commitment (Il nostro impegno), i primi due paragrafi della quale recitano: “il modello economico americano, che si basa sulla libertà e altri principi durevoli della nostra democrazia, ha innalzato gli standard di vita per generazioni, promuovendo al contempo la concorrenza, la scelta per i consumatori e l'innovazione. Le aziende americane sono state un motore fondamentale per il suo successo”.
“Eppure sappiamo che molti americani sono in difficoltà. Troppo spesso il duro lavoro non viene premiato e non è stato fatto abbastanza per consentire ai lavoratori di adattarsi al rapido ritmo dei cambiamenti nell’economia. Se le aziende non riconoscono che il successo del nostro sistema dipende da una crescita inclusiva di lungo termine, molti solleveranno domande legittime sul ruolo dei grandi datori di lavoro nella nostra società.”
“Con queste preoccupazioni in mente, Business Roundtable sta modernizzando i suoi principi sul tema del ruolo dell’impresa.” Il documento prosegue ricordando che fin dal 1978 l’associazione ha periodicamente pubblicato dei Principi sulla corporate governance che includono il linguaggio che determina i fini di un’impresa.
La questione del linguaggio - in definitiva, della comunicazione - viene dunque considerata centrale. Nel documento si afferma, ancora, che “la nuova dichiarazione supera le precedenti, riflettendo, in modo più accurato, l’impegno per un’economia fondata sul libero mercato che serva tutti gli americani”.
Qui, è il caso di fare un inciso in merito al tema del “libero mercato”. Concetto su cui, legittimamente ognuno ha diritto alla propria visione. Il tema dei mercati è al centro del dibattito politico globale. Le visioni più critiche puntano l’indice contro quarant’anni di neo-liberismo che ci hanno condotto al ritiro totale degli Stati occidentali da ogni aspetto dell’economia e alla sua deregolazione totale; la quale ha avuto conseguenze enormi proprio nel tempo della globalizzazione. Le visioni più apologetiche del neo-liberismo insistono invece sul valore, che si può definire fideistico, della libertà dei mercati. Ma è anche lecito interrogarsi su un punto che può essere dirimente: esiste ancora il libero mercato? Esiste la garanzia per tutti della libertà di competere, di battersi e creare ricchezza e posti di lavoro? Esiste ancora il libero mercato, così come lo intendiamo, in un tempo che ha condotto al sorgere di monopoli planetari, entità divenute quasi metafisiche nell’economia globalizzata che non consce né riconosce più alcun confine? Esiste il libero mercato al tempo di gigantesche rendite di natura quasi feudale che si autoalimentano fino a divenire non intaccabili e sono sempre meno tassate? Esiste il libero mercato al tempo delle guerre dei dazi e del protezionismo? Esiste il libero mercato laddove, come osservano molti economisti, le grandi corporation, non solo americane, si dedicano, più che alla creazione di valore attraverso la ricerca e lo sviluppo, alla sua sottrazione con la distribuzione di giganteschi dividendi? Ecco allora che ci si deve pur interrogare, solo per fare un esempio, su cosa pensino le corporation globali nel momento in cui sottoscrivono un tale documento. Insomma, se Adam Smith, considerato padre del classico liberismo economico, che si scagliò contro i monopoli, la rendita feudale e il protezionismo, vivesse nel mondo di oggi, cosa penserebbe di questa dichiarazione?
Ma torniamo al testo e alla sua seconda parte, intitolata “Dichiarazione sul fine di un’impresa”. Qui vengono elencati quattro nuovi principi:
“- Offrire valore ai nostri clienti. Continueremo a promuovere la tradizione delle imprese americane: soddisfare o superare le aspettative dei clienti.
- Investire nei nostri dipendenti. A partire dal compensarli in modo equo e assegnandogli benefici rilevanti. Questo include il supportarli attraverso la formazione e l’educazione, che aiutano a sviluppare nuove competenze per un mondo in rapido cambiamento. Promuoviamo la diversità e l’inclusione, la dignità e il rispetto.
- Trattare in modo equo ed etico con i nostri fornitori. Siamo impegnati ad essere dei buoni partner per le altre società, grandi e piccole, che ci aiutano a soddisfare le nostre mission. Supportare le comunità in cui lavoriamo. Rispettiamo le persone nelle nostre comunità e proteggiamo l’ambiente adottando pratiche sostenibili in tutte le nostre attività.
- Generare valore a lungo termine per gli azionisti, che forniscono il capitale che consente alle aziende di investire, crescere e innovare. Ci impegniamo alla trasparenza e a un coinvolgimento efficace con gli azionisti”.
Rispetto ai primi tre punti, è noto che, fin dagli anni 90, quello della responsabilità sociale - l’accountability, il dover rendere conto - è divenuto uno dei capitoli principali dell’attività di comunicazione delle imprese. A partire dallo sviluppo nella cittadinanza della coscienza ambientale, le imprese hanno via via riconosciuto e strutturato la necessità di dar conto del proprio coinvolgimento nelle questioni che toccano i propri stakeholder (portatori di interessi): cittadini e Istituzioni, fornitori, dipendenti. Siamo dunque a quello che può essere identificato come uno sviluppo di un processo che ha già una storia. Quello che viene annunciato come “rivoluzionario” è il quarto punto, inclusa la sua collocazione, appunto, in fondo alla lista. Nel 1997, infatti, le linee guida della Roundtable prendevano il via dalla filosofia del padre del neoliberismo, Milton Friedman, espressa negli anni 70. In poche parole, ciò che conta è “creare valore per gli azionisti”, punto. Ora, tra i valori indicati alle imprese americane, il profitto - punto di riferimento naturale dell’impresa privata - scende al quarto posto dopo la responsabilità nei confronti degli stakeholder. In quale modo questa nuova attitudine si tradurrà in realtà lo vedremo nel tempo. Come conclusione vorrei prendere avvio da un tweet di alcuni giorni fa di Oscar Giannino, giornalista - al mio opposto - di schietta matrice liberista: “sul ‘capitalismo etico’: non è un amministratore delegato a dover dirottare soldi dei soci a favore di una sua personale idea di comunità pubblica. Ad esempio, il welfare aziendale viene da leggi e contratti, non dall’antico ‘paternalismo illuminato’ che qualcuno vorrebbe rilanciare”. E io credo che - seppur da un punto di vista diverso dal mio - Giannino metta il dito sulla piaga. Perché ciò che è assolutamente necessario oggi è un ritorno della politica nell’economia. L’avvio di un consistente dialogo sociale di cui facciano parte a pieno titolo lavoro, imprese, professioni, cittadinanza. Che si esca dalla “gabbia” in cui ci ha chiuso il neo-liberismo nel quale l’impresa ha un primato assoluto e indiscutibile. Le sfide dell’oggi, dal collasso ambientale a quello sociale sono troppo grandi per le sole imprese. Che hanno senz’altro bisogno di sedere alla “tavola rotonda” con qualche Artù, qualche Merlino e qualche Ginevra provenienti dal resto della società umana per ristabilire un po’ di democrazia economica.