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Archivio newsFondo di tesoreria INPS: cala l’avanzo di gestione. Quali scenari per imprese e lavoratori?
Il Governo ha aperto un dossier per valutare l’ipotesi di costituire presso l’INPS un Fondo di previdenza complementare pubblico. In attesa di conoscere gli esiti dell’approfondimento può essere utile, però, valutare le performances del Fondo di tesoreria per l’erogazione del TFR ai dipendenti delle imprese con almeno 50 dipendenti, gestito dall’INPS. Nonostante la differenza tra le entrate (costituite dai versamenti dei datori di lavoro privati del TFR dei dipendenti) e le uscite (le prestazioni pagate dal fondo) restituisca un saldo positivo, l’avanzo di gestione risulta in costante diminuzione (alla fine del 2018 ammontava a circa 1,5 miliardi). Quali sono i rischi per imprese e lavoratori?
In un momento nel quale il Governo sta studiando l’ipotesi di attivare un Fondo di previdenza complementare pubblico presso l’INPS, sembra opportuno puntare l’attenzione su come lo Stato gestisce, dal punto di vista economico-finanziario, il TFR dei lavoratori privati.
L’analisi consentirà anche di valutare se la costituzione di un nuovo fondo di previdenza complementare pubblico possa apparire la soluzione giusta per una maggiore efficienza ed efficacia della gestione, o se, invece, prima di attivarne di nuovi, sarebbe più opportuno concentrarsi sui fondi pubblici già attivi.
I risultati riportati nei bilanci INPS, sembrano far propendere per la seconda opzione.
La normativa istitutiva della previdenza complementare (D. Lgs. 252/05 e successive modifiche ed integrazioni) ha dato ai lavoratori il diritto di scegliere la destinazione del proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR).
La legge Finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), ha disposto che - a partire dal 1° gennaio 2007 - i lavoratori dipendenti del settore privato debbano scegliere se “gestire” il proprio TFR, alternativamente:
- lasciandolo in azienda, secondo quanto declinato dall’articolo 2220 del codice civile;
- affidandolo ad un fondo pensione o di previdenza complementare.
La normativa distingue l’iter, a seconda del fatto che il datore di lavoro abbia un organico inferiore a 50 dipendenti:
Per i datori di lavoro con organico inferiore ai 50 dipendenti, il TFR resta “concretamente” in azienda (come prima della innovazione normativa).
Qualora l’organico aziendale sia almeno pari a 50 dipendenti, il TFR maturando deve essere trasferito al Fondo per l’erogazione del TFR ai dipendenti del settore privato gestito dall’INPS.
In questa sede, approfondiamo la sorte del TFR in questo ultimo ambito.
Le somme accantonate dai datori di lavoro con organico uguale o superiore ai 50 dipendenti sono gestite dall’INPS, per conto dello Stato, su uno specifico conto aperto presso la Tesoreria dello Stato.
Ogni datore di lavoro interessato provvede, mensilmente, al versamento di quanto dovuto e, alla cessazione di ciascun rapporto di lavoro, l’azienda versa direttamente al proprio (ex) dipendente, il TFR maturato, trattenendo – successivamente – in compensazione i versamenti da effettuare in favore dell’INPS.
Dal 2007 (quindi, da 12 anni) l’INPS gestisce questo Fondo che – nei fatti – rappresenta anche una fondamentale fonte di “stabilità” finanziaria per le imprese che, periodicamente, fanno fronte alle importanti “uscite” rappresentate non solo dal pagamento del TFR ai dipendenti cessati, ma anche – è importante rammentarlo – alle richieste di anticipazione delle quote di TFR ai dipendenti in servizio, nei casi e con i limiti previsti dalla legislazione vigente.
Da quanto appena indicato, deriva una riflessione sulla fondamentale importanza di una corretta, efficiente ed “economica” gestione del Fondo in questione. Questo, in particolare, perché la norma che lo ha istituito ha disposto, anche, che, “al netto delle prestazioni erogate” (TFR e sue anticipazioni) le somme che affluiscono al Fondo sono destinate anche al finanziamento di molteplici interventi di finanza pubblica nei settori più disparati, che vanno dall’autotrasporto, all’Alta Velocità, agli interventi nel settore dell’energia, tutti analiticamente indicati in uno specifico elenco allegato alla Legge Finanziaria per il 2007.
Ma in che stato di salute sono i conti del Fondo?
Per valutarlo, prendiamo anche spunto dal Rendiconto Generale dell’INPS. A fine 2018 le entrate del Fondo provenivano dagli accantonamenti - riferiti a circa 3,3 milioni di lavoratori - rivalutati al tasso dell'1,5% composto, maggiorato del 75% dell'aumento dell'indice ISTAT dei prezzi.
A fronte di questa massa economica, la rivalutazione appena indicata è costantemente inferiore – secondo i dati della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP) – ai rendimenti dei fondi pensione: sia anno per anno che – per quel che più conta, vista la prospettiva temporale di lungo periodo che sottostà al TFR - in termini cumulativi.
Nei (quasi) 12 anni trascorsi dall’avvio del Fondo, i datori di lavoro hanno trasferito all’INPS alcune decine di miliardi di euro. A fronte di tali trasferimenti, queste risorse “di garanzia” verso i datori di lavoro, sono state utilizzate, nel tempo, per far fronte alle molteplici esigenze del Bilancio dello Stato, in termini di risorse per investimenti e/o copertura di spese.
Ciò posto, se a tutt’oggi (dato consuntivo 2018) la differenza tra entrate e prestazioni è sempre rimasta in saldo positivo, deve essere evidenziato che l’avanzo di gestione è in costante diminuzione e, alla fine dello scorso anno risulta ridotto a ca. 1,5 miliardi.
Questa dinamica non è irreversibile e, evidentemente, ha scontato, nel tempo, la lunga crisi economica che – con l’aumento della disoccupazione – ha comportato la riduzione della massa economica degli accantonamenti, posto che il Fondo opera con il sistema “a ripartizione”, in virtù del quale i pagamenti annuali sono operati attraverso le entrate del medesimo periodo.
E’ evidente che se le dinamiche economiche ed occupazionali non miglioreranno nel breve-medio periodo, tra qualche anno si potranno verificare due solo scenari: o lo Stato non avrà più margini per destinare le risorse del Fondo alle molteplici finalità “extraprevidenziali” sinora perseguite, e dovrà, pertanto, individuare nuove e diverse fonti di finanziamento a tal fine. Oppure il Fondo potrebbe avviarsi ad una situazione di squilibrio.
Non è però il caso, per i lavoratori o le imprese, di temere il peggio. Infatti, se e quando si dovesse registrare uno squilibrio “importante”, non si arriverà al fallimento delle imprese o alla mancata erogazione del TFR ai dipendenti, ma – più “semplicemente” – il Bilancio dello Stato sarà chiamato a far fronte al differenziale. Ma è altrettanto evidente, che l’individuazione di nuove risorse da destinare a tal fine non potrebbe risolversi che in un “taglio” di altre voci del Bilancio stesso.
Da questa sintetica disamina emergono alcuni punti salienti che il Governo ed il Parlamento dovranno porre al centro delle proprie riflessioni strategiche: ossia di quelle riflessioni che un Paese deve fare non già nell’ottica del “day by day” ma con lungimiranza e traguardando il futuro e le prossime generazioni.
Dal punto di vista delle aspettative previdenziali, al netto dei timori diffusi verso i fondi pensione e, più in generale, gli investimenti finanziari, le serie storiche dimostrano che l’investimento del TFR nei Fondi è stato costantemente più remunerativo rispetto a quello derivato dall’accantonamento in azienda.
Dal punto di vista sociale e di tecnica previdenziale, va sempre tenuto presente che le gestioni che utilizzano il meccanismo “a ripartizione” scontano tempi non necessariamente lunghi di maturazione delle prestazioni. Con la conseguenza che gli elementi esogeni derivanti dalle “tempeste economiche internazionali” o anche, solamente, dal rallentamento del mercato del lavoro o da un suo non adeguato stimolo, sono in grado di restringere rapidamente e sensibilmente le prospettive di un Fondo.
In conclusione, se quelle appena illustrate sono le performance del gestore pubblico (ovviamente intendendosi per tale lo Stato e non l’INPS in quanto suo “agente tecnico”), prima di attivare un Fondo pubblico di previdenza complementare che darà i suoi frutti in lassi temporali medio-lunghi, sarebbe forse il caso di riflettere, e lasciare il campo ai gestori privati in modo che questi “tecnici” possano fare il mestiere loro proprio assicurando la solidità e i risultati che hanno dimostrato, nel tempo, di sapere garantire.