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L’addio dei leader europei a Draghi e la staffetta con Lagarde

Lunedì e venerdì sono le giornate chiave per la Bce, con Mario Draghi che passa il testimone a Christine Lagarde. Mentre mercoledì l’Istat prenderà il polso sulla fiducia in Italia e giovedì 30 la scadenza fissata per la Brexit sarà ancora una volta disattesa.

Quel che è sicuro, per ora, è che il dialogo non c’è. Leonardo Del Vecchio continua ad aumentare la sua quota in Mediobanca e a ribadire le sue critiche alla strategia di Alberto Nagel: “Mi aspetto un piano industriale che non basi i risultati solo su Generali e Compass, ma progetti un futuro da banca d’investimenti”. Il numero uno di Piazzetta Cuccia, da parte sua, prosegue dritto per la propria strada, e delle richieste del fondatore di Luxottica si limita a dire: “E’ nostra consuetudine confrontarci con gli azionisti, ci interfacceremo anche con Delfin per discutere di eventuali loro proposte o suggerimenti”. Il fatto che abbia declinato il verbo al futuro conferma che i due non si sono ancora parlati. Non direttamente. Potrebbe non accadere nemmeno oggi, all’assemblea di bilancio 2018-2019: sarà la prima volta che Del Vecchio si farà sentire in modo ufficiale ma, dicono, forse solo con il possibile aggiornamento della sua quota di partecipazione (il 7% emerso a sorpresa a settembre dovrebbe essere già salito almeno all’8). Un chiaro messaggio, comunque, in vista del piano industriale la cui presentazione è dietro l’angolo: 12 novembre.

È sceso in Germania (Berlino lo ha appena confermato), sarebbe strano se salisse in Italia. L’indice del clima di fiducia dei consumatori era, da noi, leggermente aumentato in settembre (da 111,9 a 112,2), ma il dato di ottobre che l’Istat comunicherà oggi potrebbe invertire di nuovo la rotta. Un peggioramento che è dato quasi per scontato, invece, sul fronte delle imprese. Il calo apparentemente minimo dell’indice di settembre - da 98,8 a 98,5 – mascherava picchi allarmanti soprattutto nel manifatturiero. L’industria italiana, con la sua forte vocazione all’export, risentiva già della stagnazione tedesca. E già anticipava, di fatto, l’allarme lanciato nei giorni scorsi dalla Bundesbank: quando arriveranno i dati definitivi sul Pil del terzo trimestre, la locomotiva d’Europa potrebbe essere costretta a constatare la scivolata dal ristagno alla recessione tecnica. Sarà un’altra botta, anche per noi.

L’ultima telefonata ufficiale sull’asse Londra-Bruxelles è di mercoledì 23. Boris Johnson ha preso il cellulare e rassicurato (o ha tentato di farlo) Donald Tusk sulle date della Brexit. Il premier britannico non solo ha ribadito al presidente del Consiglio Ue di non volere un nuovo rinvio: si è detto anche assolutamente convinto che ce la farà, a far passare in Parlamento l’accordo raggiunto con l’Unione europea e, dunque, a rispettare la scadenza del 31 ottobre. Non è chiaro se ci credesse davvero. Non c’erano già più nemmeno i tempi tecnici. E infatti il giorno dopo, giovedì 24, in patria, lo stesso Johnson ha preso carta e penna per proporre al leader laburista James Corbyn il seguente accordo: noi diamo a voi, l’opposizione, più tempo (fino al 6 novembre) per discutere e approvare l’intesa sulla Brexit, voi date a noi le elezioni anticipate (il premier le vorrebbe il 12 dicembre). Sorvoliamo su quanto l’offerta sia apparsa bizzarra, perché chiaramente destinata a un rifiuto. Conta che, per la prima volta, l’inquilino di Downing Street ha pubblicamente ammesso l’impossibilità di rispettare la dead line così cocciutamente promessa. A Bruxelles nessuno c’era del resto cascato. Tusk, subito dopo la telefonata di mercoledì, aveva così sintetizzato (su Twitter) la sua risposta a Johnson: “Gli ho spiegato i motivi per cui sto raccomandando all'Ue a 27 di accettare la richiesta del Regno Unito di prorogare” l’uscita. A Londra, oggi, i pro Brexit potranno festeggiare soltanto Halloween.

Benvenuta a madame Christine Lagarde. Finiti celebrazioni e festeggiamenti, al suo predecessore Mario Draghi e a lei che si avviava a prenderne il posto, da oggi per l’avvocato francese in arrivo dal Fondo Monetario Internazionale comincia il lavoro. Non sarà facile, perché continuano a non esserlo i tempi, ma il passaggio delle consegne è stato curato nei dettagli dai due protagonisti. L’ormai ex presidente ha lasciato una strada ben disegnata, la nuova numero uno l’ha condivisa, lo staff della Bce sa che non avrà scossoni. Diverso il discorso a livello di board: i tedeschi, e con loro il plotoncino di falchi austro-olandesi, continueranno probabilmente a non condividere la linea tracciata da Draghi e che Lagarde proseguirà. Consapevole di dover tirar fuori, subito e soprattutto, anche ogni minima dote di leadership.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/finanza/quotidiano/2019/10/26/addio-leader-europei-draghi-staffetta-lagarde

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