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Archivio newsDal contratto di espansione l’occasione per il ricambio generazionale in azienda?
La finalità del contratto di espansione: essere per l’azienda propulsore di crescita e strumento di competitività. La spinta alla crescita trova espressione nella necessità di inserire nel contratto sia la programmazione dell’assunzione di nuove professionalità, sia un progetto formativo e di riqualificazione del personale già in forza. Sulla carta, quindi, uno strumento giuridico dotato di effettive potenzialità per assicurare non solo il ricambio generazionale, ma soprattutto l’effettivo accompagnamento al futuro della nuova organizzazione del lavoro nelle imprese. Compito del professionista? Assistere il management nello sviluppo e valorizzazione degli aspetti umani, culturali e relazionali indispensabili per dare stabilità nel tempo al rinnovamento in atto, garantendo, pertanto, anche il progressivo ricambio generazionale.
La recente introduzione nel nostro ordinamento giuridico ad opera del decreto Crescita dello strumento negoziale del contratto di espansione porta con sé alcune riflessioni in merito alle effettive potenzialità di tale nuova fattispecie giuridica per operare - tra le altre iniziative - quel ricambio generazionale necessario ad attivare meccanismi virtuosi di rinnovamento della nostra organizzazione del lavoro.
La nuova disciplina prevede che, in via sperimentale per gli anni 2019 e 2020, nell’ambito dei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione delle imprese con un organico superiore a 1.000 unità lavorative, è possibile avviare una procedura di consultazione sindacale, finalizzata alla conclusione in sede governativa di un accordo gestionale, volto ad accompagnare la strutturale modifica dei processi aziendali finalizzati, tra l’altro, allo sviluppo tecnologico dell’attività, comprendendo anche i processi di accompagnamento alla modifica delle competenze professionali in organico sia mediante un più razionale impiego del personale, sia mediante l’assunzione di nuove professionalità.
L’impresa che sottoscrive il contratto di espansione per adeguare il proprio personale ai processi aziendali indirizzati al progresso e allo sviluppo tecnologico dell’attività potrà chiedere il trattamento di integrazione salariale straordinario per i lavoratori sospesi o coinvolti dalle riduzioni orarie per un periodo massimo di 18 mesi, anche non continuativi.
La novità è al momento limitata agli anni 2019 e 2020, con estensione quindi dei suoi effetti fino a tutto il 2021, ferma restando la durata massima dell’intervento pari a 18 mesi (cfr. Circolare Ministero Lavoro n. 16/2019).
Inoltre, il contratto di espansione ha natura gestionale e deve contenere:
a) il numero dei lavoratori da assumere e l’indicazione dei relativi profili professionali compatibili con i piani di reindustrializzazione o riorganizzazione;
b) la programmazione temporale delle assunzioni;
c) l’indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro, compreso il contratto di apprendistato professionalizzante;
d) relativamente alle professionalità in organico, la riduzione complessiva media dell’orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati, nonché il numero dei lavoratori che possono accedere al trattamento indennitario specificatamente previsto dalla norma e connesso alle uscite anticipate con accompagnamento alla pensione (scivolo pensionistico) previste dall’accordo.
La finalità del contratto: essere per l’azienda all’interno propulsore di crescita e all’esterno strumento di competitività. Tale spinta alla crescita trova espressione nella necessità, per le imprese richiedenti, di inserire nel contratto di espansione sia la programmazione dell’assunzione di nuove professionalità, sia un progetto formativo e di riqualificazione del personale già in forza, al fine di modificare e aggiornare le competenze professionali possedute anche mediante un più razionale impiego delle risorse disponibili. Il progetto di formazione e riqualificazione del personale deve essere certificato, è parte integrante del contratto di espansione ed è rivolto a quel personale che, a causa della modifica dei processi aziendali, del progresso e dello sviluppo tecnologico dell’attività produttiva svolta dall’impresa, risulti in possesso di conoscenze ed abilità operative (know-how) non più adeguate per svolgere una determinata attività lavorativa.
Sulla carta, quindi, si tratta di uno strumento giuridico dotato di effettive potenzialità sia in termini di accompagnamento dei processi di reindustrializzazione, sia soprattutto in termini di riqualificazione professionale e di acquisizione di quelle nuove professionalità essenziali per assicurare non solo il ricambio generazionale, ma soprattutto l’effettivo accompagnamento al futuro della nuova organizzazione del lavoro nelle imprese di grandi dimensioni.
A patto di poter trovare le professionalità necessarie e, soprattutto a patto di poter effettivamente contare sull’efficacia dei processi di riqualificazione. Con riguardo al primo ambito, i dati non sono confortanti. Cresce infatti nel nostro Paese la domanda di figure manageriali, ma vi è un importante divario tra domanda e offerta di competenze (si vedano i dati dell’Osservatorio 4.Manager). D’altra parte la necessità di colmare il gap di competenze costituisce anche il presupposto fondante dei processi di reindustrializzazione guidati dalla tecnologia.
E qui veniamo all’aspetto più critico delle trasformazioni in atto.
Riprendendo, infatti, quanto già da me affermato su IPSOA Quotidiano, la riflessione sulla effettiva efficacia di alcuni strumenti giuridici quale quello appena introdotto - l’ennesimo - diviene necessaria.
E ciò proprio nell’ottica di una possibile interpretazione giuridica del processo di transizione che sta interessando l’organizzazione del lavoro, grazie o per colpa della tecnologia. La concreta possibilità di misurare anche il lavoro subordinato in termini di “obiettivi” e di “risultato” costituisce oggi il presupposto fondamentale per accompagnare anche in ottica di formazione specialistica l’evoluzione (e rivoluzione) in atto nel mondo dell’impresa e del lavoro che in essa trova la sua espressione. Questo è possibile farlo avendo ben presenti, da un lato, i valori umani e lo specifico potenziale culturale ed esperienziale presente all’interno di ciascuna impresa e, dall’altro, l’importanza che la tecnologia ha e avrà nel governo e nella pianificazione delle strategie di riorganizzazione dei processi interni.
Se da più parti viene da tempo sottolineata l’importanza di un ingresso più incisivo della psicologia delle organizzazioni nella gestione dei processi di reindustrializzazione in atto è segno che proprio grazie all’approfondimento dei suoi diversi ambiti che possiamo oggi identificare alcune delle direttrici verso cui tendono le scienze organizzative nella interpretazione del nuovo modo di fare impresa imposto dalla tecnologia.
Compito del professionista, in questo scenario, è proprio quello di assistere la direzione aziendale in questo processo di transizione, in cui accanto alla valutazione degli aspetti di gestione più tradizionali - legati al contesto normativo, economico, produttivo, territoriale in cui opera l’impresa - diviene essenziale l’accompagnamento del management nello sviluppo e valorizzazione degli aspetti umani, culturali e relazionali indispensabili per dare stabilità nel tempo al rinnovamento in atto, garantendo, pertanto, anche il progressivo ricambio generazionale.
La tecnologia si dice, che abiliti. Abilita certamente nuovi comportamenti e con questi nuove forme di organizzazione della produzione, dell’attività e del lavoro. E’ un fattore che non possiamo più trascurare. Pertanto, nella progettazione dei piani di formazione necessari ad accompagnare i processi di reindustrializzazione in atto non si potrà prescindere dalla necessaria collaborazione tra l’uomo e la macchina in un’ottica di supporto, accelerazione e facilitazione di attività che rimangono, nella maggior parte dei casi sempre e comunque in capo all’uomo.
L’ingresso dell’intelligenza artificiale nei processi industriali e la necessità di riconvertire e di riqualificare il personale al fine di accompagnare questa importante transizione verso la nuova organizzazione del lavoro comporta, altresì, un cambio di prospettiva nella relazione tra uomo e macchina. I nuovi modelli organizzativi - e con essi i processi di formazione e di riqualificazione del personale - dovranno tener conto della necessità che l’uomo non si limiti più ad utilizzare le macchine, ma che si spinga fino a collaborare con esse in modo sempre più incisivo. In questo processo, l’enfasi che potrà essere data nell’ambito di tali percorsi ai fattori umani quali, la fiducia, la collaborazione, la responsabilità, l’autonomia - solo per citarne alcuni - sarà il presupposto per acquisire dall’esterno e per far crescere dall’interno quelle competenze necessarie a fronteggiare la quarta rivoluzione industriale.