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Archivio newsCrisi d’impresa: bene i debiti fiscali negli indici di allerta. Ma con cautela
Entra nel vivo il dibattito circa la futura operatività degli indici di allerta previsti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ai quali, nella filosofia della riforma, è rimesso il compito di assicurare l’anticipata (e, auspicabilmente, virtuosa) gestione delle condizioni di deterioramento degli equilibri aziendali. In questo contesto, assume una specifica rilevanza la valutazione dell’ammontare dei debiti fiscali che, notoriamente, si accumulano rapidamente in corrispondenza con la mancanza di liquidità. È corretto aver ritenuto i debiti fiscali un importante elemento da considerare, ma occorre anche ricordare che l’ordinamento favorisce, con sempre maggiore frequenza, forme di rateizzazione di tali importi, la cui operatività dovrà, dunque, essere considerata nel momento in cui si giudichi l’effettiva sostenibilità prognostica dell’indebitamento.
Con la pubblicazione da parte del CNDCEC il 26 ottobre scorso del comunicato con il quale viene dato conto dello “stato di avanzamento dei lavori”, entra nel vivo la discussione sulla operatività degli indicatori della crisi previsti dall’art. 13, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.
Tali indicatori devono esprimere la condizione di squilibrio reddituale, patrimoniale o finanziario dell’impresa da rilevarsi attraverso appositi indici la cui elaborazione è normativamente rimessa allo stesso CNDCEC.
Gli indici in questione, secondo la precisa indicazione normativa, devono dare evidenza tanto della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi, quanto della concreta possibilità che risulti assicurata la continuità aziendale.
Per questo, il CNDCEC ha annunciato di aver sin qui condotto un lavoro di puntuale applicazione dei principi e delle regole operative che permettano una osservazione della condizione effettiva in cui versi la singola impresa, specie nella (difficoltosa) prospettiva prognostica che il Legislatore impone espressamente debba guidare questa delicata valutazione.
Anche dalla lettura del comunicato emerge come, in questo contesto, assuma un ruolo particolare la valutazione della consistenza e della sostenibilità dell’indebitamento tributario (e previdenziale) al quale è, invero, lo stesso Legislatore a dedicare una specifica attenzione.
Segnatamente:
a) per un verso, l’art. 15 del decreto individua espressamente nei debiti tributari di importo rilevante, scaduti e non versati, uno degli elementi segnaletici qualificati diretti a sollecitare le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, che l’Amministrazione finanziaria viene onerata di gestire con particolare attenzione, essendo prevista, in caso di inerzia alla dovuta segnalazione, la perdita delle condizioni di vantaggio che sono tipicamente riservate alla posizione della stessa nella fase di soddisfazione delle proprie ragioni creditorie e,
b) per l’altro, il rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e il totale dell’attivo patrimoniale è compreso nel c.d. “albero di rilevazione” (così lo definisce il CNDCEC nel comunicato del 26 ottobre) rappresentativo dei 5 indici da valutare ai fini dell’iter diagnostico della condizione di deterioramento degli equilibri gestionali che impone una delle azioni individuate nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
L’aver dato questa centralità alla presenza di un significativo indebitamento con l’Erario è senza dubbio corretto, oltre che comprensibile. È noto, infatti, che l’impresa in crisi è tipicamente portata a finanziarsi attraverso l’inadempimento delle obbligazioni fiscali, lette come “meno impellenti” rispetto a quelle nei confronti di soggetti (in particolare, banche e fornitori) che possono impedire, con il loro atteggiamento ostile, la stessa operatività corrente.
Deve però anche rilevarsi la pericolosità di ancorare una procedura di allerta che può condurre a risultati irreversibili ad un apprezzamento “superficiale” (o, comunque, poco meditato e “asettico”) dell’indebitamento fiscale dell’impresa.
Non si può, infatti, dimenticare che nel corso degli ultimi anni è stato proprio il Legislatore tributario, consapevole delle difficoltà presenti nel nostro sistema economico, ad introdurre tanto norme dirette a favorire il c.d. adempimento “spontaneo” o “collaborativo” del contribuente attraverso forme di ravvedimento o di definizione degli illeciti, quanto - e soprattutto per quanto qui interessa - meccanismi di dilazionato pagamento dei debiti accumulati, anche attraverso successive remissioni in termini di coloro che, per inadempimento, erano decaduti dal beneficio della rateizzazione originariamente intrapresa.
In questa prospettiva, va quindi salutata con favore la scelta legislativa di legare a parametri oggettivi (art. 15, commi 1 e 2) la definizione del concetto di “importo rilevante” del debito che onera l’Amministrazione finanziaria ad effettuare la segnalazione della condizione di allerta. E ancor più opportuno è l’aver fatto a tal fine riferimento al concetto di debiti scaduti e non versati che, invero, sterilizza, la considerazione di un ricorso al “finanziamento da rateizzazione” di cui si è detto in precedenza.
Nel caso degli indici - almeno dalla prima lettura dei documenti disponibili - l’approccio è diverso da quello appena considerato, perché il riferimento al riguardo è quello ai debiti tributari complessivi (anche non scaduti).
Si tratta di una soluzione comprensibile e prima facie corretta, visto che essi (indici) devono misurare, in via prognostica, la sostenibilità dell’indebitamento totale dell’impresa in relazione alle risorse finanziarie delle quali potrà disporre.
Il mero rapporto tra quanto l’impresa stessa deve per tributi e contributi e l’attivo patrimoniale rischia però di fornire una indicazione falsata dell’effettiva sostenibilità di simili obbligazioni, nella misura in cui, come detto, il loro adempimento possa essere assicurato attraverso l’accesso a forme di (normativamente prevista) rateizzazione dei relativi importi.
Sarà quindi opportuno che, in sede di elaborazione conclusiva delle modalità di definizione e di valutazione degli indici stessi, vengano individuati appositi “correttivi” diretti a valutare la sussistenza di questa condizione che, evidentemente, incide in maniera significativa proprio sulla considerazione della possibilità di gestire i debiti accumulati. Il che, se non si tradurrà (o non potrà tradursi) in un procedimento “matematico” di misurazione, dovrà comunque rappresentare una considerazione rimessa a coloro ai quali che saranno chiamati a considerare il valore segnaletico degli indici stessi per l’adozione delle misure indicate dal Codice.