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Archivio newsDetenuti minorenni: la mancata collaborazione non li esclude dai benefici penitenziari
I detenuti minorenni e i giovani adulti, condannati per uno dei cosiddetti reati ostativi, possono accedere ai benefici penitenziari (misure penali di comunità, permessi premio e lavoro esterno) anche se, dopo la condanna, non hanno collaborato con la giustizia. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 263/2019, la prima sul nuovo Ordinamento penitenziario minorile, che ha dichiarato illegittima la disposizione dell’articolo 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 121 del 2018. Al tribunale di sorveglianza compete la valutazione caso per caso dell’idoneità e della meritevolezza delle misure extramurarie, secondo il progetto educativo costruito sulle esigenze del singolo.
Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in funzione di tribunale di sorveglianza, ha sollevato, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, recante «Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, nella parte in cui prevede che, ai fini della concessione delle misure penali di comunità e dei permessi premio e per l’assegnazione al lavoro esterno, si applica la disposizione che consente la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per taluni delitti, espressamente indicati, solo nei casi in cui gli stessi collaborino con la giustizia. Nell’estendere ai minorenni e giovani adulti preclusioni analoghe a quelle previste per gli adulti, la disposizione censurata violerebbe:
- l’art. 76 Cost. in quanto l’esclusione dei benefici penitenziari si porrebbe in contrasto con i principi che prevedono l’ampliamento dei criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione e l’eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei benefici penitenziari;
- gli artt. 2, 3, 27 e 31 Cost., perché siffatto automatismo, che si fonda su una presunzione di pericolosità basata solo sul titolo di reato commesso, impedirebbe una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione che debbono presiedere all’esecuzione penale minorile;
- l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali. La direttiva UE (artt. 7, 10 e 11 della direttiva 2016/800/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2016) prevede il diritto del minore ad una valutazione individuale e la necessità di ricorrere, ogni qualvolta sia possibile, a misure alternative alla detenzione.
La norma censurata non sarebbe inoltre coerente con l’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, il quale stabilisce il principio di proporzionalità delle pene inflitte rispetto al reato.
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 63/2019 del 6 dicembre 2019, ha accolto la questione di legittimità costituzionale, relativa all’applicazione nei confronti dei condannati minorenni e giovani adulti del meccanismo “ostativo” previsto dall’articolo 4-bis, commi 1 e 1-bis, dell’Ordinamento penitenziario, secondo cui i condannati per uno dei reati in esso indicati, che non collaborano con la giustizia, non possono accedere ai benefici penitenziari previsti per la generalità dei detenuti. Con riferimento ai condannati minorenni, questo meccanismo preclusivo è stato ritenuto in contrasto:
- con i principi della legge delega n. 103 del 2017, di riforma dell’ordinamento penitenziario, che imponeva di ampliare i criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione e di eliminare qualsiasi automatismo nella concessione dei benefici penitenziari ai detenuti minorenni;
- con gli articoli 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, perché l’automatismo legislativo si basa su una presunzione assoluta di pericolosità che si fonda soltanto sul titolo di reato commesso e impedisce perciò alla magistratura di sorveglianza una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione, che devono presiedere all’esecuzione penale minorile.
La Corte Costituzionale ritiene che al tribunale di sorveglianza compete la valutazione caso per caso dell’idoneità e della meritevolezza delle misure extramurarie, secondo il progetto educativo costruito sulle esigenze del singolo. Solo attraverso il necessario vaglio giudiziale è possibile tenere conto, ai fini dell’applicazione dei benefici penitenziari, delle ragioni della mancata collaborazione, delle condotte concretamente riparative e dei progressi compiuti nell’ambito del percorso riabilitativo.
Corte Costituzionale, sentenza 06/12/2019, n. 263/2019