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Archivio newsResponsabilità solidale del committente: i contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni
In caso di appalto di opere e servizi, il committente è responsabile in solido con l’appaltatore e con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonchè i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. Il termine di decadenza di due anni dalla cessazione dell’appalto riguarda solo le rivendicazioni economiche o anche il recupero di quanto dovuto a titolo di contributi e premi assicurativi? L’Ispettorato Nazionale del Lavoro risponde al quesito con la nota n. 9943 del 2019.
La responsabilità di chi è a “capo della filiera produttiva” risulta essere sempre più al centro delle attenzioni sia del nostro Legislatore che, degli organi amministrativi che della stessa giurisprudenza: ne è, ad esempio, palese testimonianza l’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 che dal giorno della sua entrata in vigore (24 ottobre 2003) è stato oggetto di continui cambiamenti, talora in senso più restrittivo e, tal’altra, in senso più “aperturista”: a ciò ha contribuito, soprattutto, il nostro Parlamento ma anche le decisioni della Magistratura e gli indirizzi del Ministero del Lavoro e, ora, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ci hanno messo “del proprio”.
Sotto l’aspetto normativo, segno della particolare attenzione del Legislatore, risulta essere, da ultimo, l’art. 4 del D.L. n. 124/2019, attualmente all’esame delle Camere, con il quale il committente viene “responsabilizzato”, in relazione ai versamenti IRPEF sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati relativi ai lavoratori impiegati direttamente negli appalti, nei subappalti e negli affidamenti. Si tratta di un provvedimento che appare foriero di notevoli criticità e che ha sollevato le critiche, pressoché unanimi, delle associazioni datoriali e dei rappresentanti degli ordini professionali. Vedremo come il testo uscirà dopo il passaggio nelle aule legislative e, solo allora, si potrà effettuare un esame compiuto relativo alla effettiva portata.
In ogni caso non è su questo argomento che intendo soffermarmi, quanto, piuttosto, sui termini decadenziali entro i quali gli Istituti previdenziali, in generale, e l’INPS in particolare, possono avanzare le loro pretese nei confronti del committente per quanto dovuto dalle aziende utilizzate nel decentramento della propria filiera produttiva.
Si tratta, quindi, di analizzare questo tema che scaturisce dall’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 alla luce della nota n. 9943 del 19 novembre 2019 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che, portata a conoscenza di tutti gli organismi interessati, risponde da uno specifico quesito dell’Ispettorato territoriale del Lavoro di Bologna.
Interpretando quanto affermato dal predetto art. 29 ed uniformandosi ad una serie di decisioni della Corte di Cassazione depositate nel corso del 2019, l’INL individua i termini temporali trascorsi i quali opera la decadenza e gli Istituti previdenziali non possono far valere la solidarietà, richiamando la responsabilità del committente.
Quando si parla di responsabilità solidale ci si riferisce ai crediti retributivi e contributivi vantati da un lavoratore in un appalto di opere e servizi e, in genere, in tutte le ipotesi di decentramento produttivo come ricordato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 254 del 7 novembre 2017 che si trovò, nello specifico, a decidere sul contratto di subfornitura.
Ma, cosa afferma il comma 2 dell’art. 29?
“In caso di appalto di opere e servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonchè i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”. |
L’INL ha focalizzato la propria attenzione soltanto sul recupero dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi giungendo ad una considerazione che è, assolutamente, da condividere: la previsione normativa, intesa nel suo complesso (e, quindi, anche per la parte economica) svolge una funzione specifica che è quella di tutelare i lavoratori per quei crediti vantati e non pagati dal proprio datore di lavoro. La solidarietà “economica” è tale per cui viene chiamato a risponderne, chi ha beneficiato, in ultima analisi, della prestazione lavorativa, ossia il committente che dal 2017 può essere convenuto, direttamente, in giudizio.
Infatti, per effetto del D.L. n. 25, convertito nella legge n. 49, la responsabilità per crediti retributivi maturati nell’appalto, nel subappalto o in qualsiasi altra attività decentrata, secondo l’indirizzo della Consulta sopra richiamato, è ancora più “piena”, nel senso che entro i due anni successivi alla fine della prestazione, il committente può essere convenuto in giudizio dal lavoratore senza avere la possibilità di ”escutere”, preventivamente, il “vero datore di lavoro” nei confronti del quale si potrà, ovviamente, “rifare”.
Dovrà affrontare il giudizio probabilmente senza avere “molte carte in mano” (si pensi, ad esempio, ad una rivendicazione legata alle mansioni o alla effettuazione di prestazioni straordinarie in un appalto o, anche, in una subfornitura svoltisi a centinaia di chilometri dalla propria sede operativa). La responsabilità del committente per le rivendicazioni economiche avanzate nei confronti dell’appaltatore o del subappaltatore concerne, unicamente, quelle maturate nella esecuzione della prestazione in favore del committente (quindi, può essere anche una “quota parte” di quanto rivendicato) e non riguarda altre voci come, ad esempio, l’indennità risarcitoria per un precedente licenziamento illegittimo.
Sotto l’aspetto delle possibili tutele non sono, ovviamente, esaustivi rispetto ad ogni possibile rischio sia il DURC, nel quale, ovviamente, non sono compresi i “lavoratori in nero”, né la specifica delle retribuzioni corrisposte: le uniche possibilità di una “copertura dal rischio” di rivendicazioni economiche risiedono in forme assicurative o, soprattutto, in fideiussioni congrue.
Fatta questa breve digressione, peraltro necessaria, vado ad esaminare la nota interpretativa dell’INL.
L’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 pone una questione relativa al termine decadenziale dei due anni dalla cessazione dell’appalto: riguarda le sole rivendicazioni economiche o anche il recupero di quanto dovuto per i contributi ed i premi assicurativi?
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro fa proprio l’indirizzo consolidato della Suprema Corte la quale, sottolinea come i due anni si riferiscano esclusivamente all’azione esperita dal lavoratore, in quanto il rapporto di lavoro e quello previdenziale che vede, in prima persona, coinvolto l’INPS, sono tra loro distinti, perché l’obbligazione contributiva di cui è portatore l’Istituto, ha natura pubblicistica e, di conseguenza, risulta indisponibile (nella sostanza, ribadiscono i giudici di Piazza Cavour, il lavoratore non può disporre dei propri contributi se questi non risultano prescritti).
Tale concetto è stato, chiaramente, espresso nella sentenza n. 18004 del 4 luglio 2019 ove il ragionamento della Cassazione, che va in senso opposto ad alcuni indirizzi della giurisprudenza di merito, ha avuto il pregio di sottolineare come la pretesa contributiva sia finalizzata ad un interesse indiretto del lavoratore, in quanto finalizzato al soddisfacimento di un interesse della collettività, quale il finanziamento del sistema previdenziale.
L’obbligazione contributiva coincide con il “minimale contributivo strutturato dalla legge in modo imperativo” e una eventuale interpretazione normativa estendesse alla contribuzione il termine di decadenza di due anni stabilito per le rivendicazioni di natura economica porterebbe ad un effetto assolutamente non voluto dal Legislatore: quello di penalizzare il lavoratore solo perché l’INPS non ha azionato la propria pretesa entro i due anni successivi alla cessazione dell’appalto, con una ferita nella posizione assicurativa del lavoratore che, invece, si vuole tutelare ulteriormente.
L’orientamento della Cassazione, sull’argomento appare consolidato alla luce delle decisioni intervenute nel corso del 2019 (n. 8662, n. 13650, n. 18004 e n. 22110).
Di conseguenza, l’azione promossa dagli Enti previdenziali per il soddisfacimento delle pretese di ordine contributivo deve seguire, ricorda l’INL, le regole individuate dall’art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995 che, alla lettera b): il termine decadenziale per la prescrizione delle contribuzioni di previdenza sociale ed obbligatoria è quinquennale.
La parte finale della nota che sto commentando riguarda gli ispettori del lavoro e, ovviamente, chi li dirige: i verbali ispettivi vanno trasmessi velocemente agli Istituti previdenziali per consentire agli stessi di attivare le procedure di recupero entro tempi che sono strettamente collegati al buon esito della stessa. Tale richiamo appare opportuno in quanto la fase di “stallo” che, da anni, caratterizza la piena applicazione della riforma costitutiva dell’INL, non consente quelle sinergie operative immediate che si sarebbero potute, forse, realizzare.