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Archivio newsIntelligenza artificiale e organizzazione del lavoro. La formazione professionale farà la differenza
Due recenti rapporti (il rapporto su robot e intelligenza artificiale e il rapporto CNEL sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva) sono l’occasione per una riflessione sulle implicazioni che derivano dall’ingresso della tecnologia nell’organizzazione del lavoro e sulle conseguenze della scarsa competitività della nostra forza lavoro. Se l’innovazione tecnologica in atto richiede lo sviluppo di nuove capacità, bisogna agire al più presto per consentire alle nuove di generazioni di recuperare il divario che si è creato soprattutto rispetto ad altri paesi europei. La formazione professionale costituirà il vero banco di prova su cui potrà misurarsi la capacità di tenuta del nostro sistema economico e dell’intero tessuto produttivo. In questo contesto la scuola resta l’ambito per eccellenza sul quale è strategico tornare ad investire.
Voglio accompagnare l’avvio delle festività natalizie con una riflessione sulle implicazioni derivanti dal pervasivo ingresso della tecnologia nell’organizzazione del lavoro. Si tratta di un cambiamento necessitato che non possiamo più ignorare e che interessa tutti i settori, dal lavoro manuale a quello intellettuale, dalle attività produttive a quelle dei servizi, dal lavoro dipendente al mondo delle professioni.
Al di là delle riflessioni connesse alle nuove forme di lavoro attraverso piattaforma, alcune sfide emergono con particolare vigore in questo scorcio d’anno: da un lato la tenuta del nostro sistema economico in un momento di transizione importante come quello generato dalla nuova rivoluzione industriale e dall’altro l’essenzialità dei percorsi di formazione per garantire l’acquisizione e la sostenibilità nel tempo delle competenze necessarie ad accompagnare questi importanti cambiamenti. Per accompagnare questa riflessione non posso quindi che partire dall’analisi di alcuni dati che apparirebbero in contraddizione ma che vanno necessariamente letti in stratta connessione, valutandone la portata alla luce delle trasformazioni cui stiamo assistendo sia nell’organizzazione del lavoro sia in senso generale nella nostra società.
In primo luogo il Rapporto su robot e intelligenza artificiale diffuso a fine ottobre 2019 (fonte adnKronos sul Secondo rapporto 2019 promosso da AIDP e LABLAW e curato da Doxa) da cui emerge che nell’ambito del campione di intervistati (1000 soggetti di età compresa tra i 18 e i 64 anni) robot e intelligenza artificiale suscitano interesse (52%) e curiosità (64%) e solo in pochi casi preoccupazione (13%) e perplessità (12%) con associazioni semantiche in generale positive espresse dal campione durante le interviste. Soprattutto considerando che i sistemi robotici e l’IA in generale hanno portato negli ultimi anni a risultati impensabili, risultando ormai necessari per lo svolgimento di attività faticose e/o pericolose per l’uomo e contribuendo quindi a migliorare il benessere delle persone e dalla società (81% del campione). Ciò peraltro nella consapevolezza che l’IA non potrà mai sostituire completamente l’intervento dell’uomo (89%).
E qui il giuslavorista non può fare a meno di interrogarsi sulle implicazioni pratiche derivanti dalla valutazione di questi risultati nel loro complesso positivi, considerando in primo luogo la necessità di identificare quali saranno le regole idonee a governare questa nuova organizzazione del lavoro. Da questo punto di vista è quindi utile fare innanzitutto chiarezza su alcuni concetti che appaiono fondamentali anche da un punto di vista giuridico. Con il termine di Intelligenza Artificiale si è iniziato ad abbracciare in questi anni quell’insieme di tecnologie e di macchinari dotati – attraverso specifici algoritmi – della possibilità di analizzare ed elaborare una serie di dati e di tradurli in azioni semplici o via via sempre più complesse. Quindi dotati della possibilità di elaborare forme di pensiero analoghe a quelle del cervello umano che si traducono in obiettivi e azioni specifici. Tali operazioni richiedono processi di apprendimento e selezione dei dati continui e profondi, si parla in questo caso – sempre con riferimento agli strumenti tecnologici – di deep learning. Siamo oltre la robotica e la strumentazione entrata in questi anni in molti cicli produttivi in cui lo strumento tecnologico svolge una fondamentale attività di supporto all’operato dell’uomo, rendendolo in molti casi più semplice o sicuro. Siamo su di un piano ulteriore in cui inizia ad essere messa in discussione la centralità dell’uomo nello svolgimento di moltissimi compiti e non solo in ambito lavorativo. In alcuni casi si parla addirittura di intelligenza augmentata ovvero “arricchita e rafforzata per mezzo del supporto dell’AI” (F. Cabitza, 2019).
La riflessione in merito alle implicazioni derivanti dall’introduzione anche nelle attività lavorative di sistemi di intelligenza artificiale porta con sé la necessaria riflessione - metagiuridica - su come potremo adattarci tutti noi a questa nuova realtà.
E qui interviene il secondo dato che vorrei prendere in considerazione, ossia quello risultante dal recente rapporto CNEL sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva (Fonte CNEL). Dal rapporto emerge che la disoccupazione giovanile risulta essere ancora il vero punto di caduta del nostro mercato del lavoro. Ma tale dato, che sarebbe già di per sé sufficiente ad allarmare, soprattutto se messo in relazione con la fuga delle nostre generazioni verso altri mercati del lavoro, è nulla se visto in confronto con la scarsa competitività della nostra forza lavoro. Fattore strutturale che crea potenzialmente importanti conseguenze se viste in una prospettiva di crescita, di riqualificazione professionale e di riorganizzazione del lavoro nel contesto dell’innovazione tecnologica in atto. Obiettivi fondamentali resi ancora più necessari proprio dall’impatto della tecnologia nell’organizzazione del lavoro. Trasformazione che, come abbiamo visto, rende curiosi e positivi ma che è necessario affrontare nella consapevolezza delle criticità che caratterizzano il nostro mercato del lavoro.
La scarsa competitività del sistema Italia costituisce un fenomeno composito, come dice il rapporto CNEL “che scaturisce da diversi fattori tra cui i bassi livelli di istruzione terziaria rispetto alla media OCSE; le prospettive di occupazione per i laureati tra i 25 ed i 35 anni, inferiori a quelle dei diplomati dei corsi di studio professionali di istruzione secondaria superiore; la persistenza di fenomeni come i Neet (che secondo Eurostat 2018 raggiungono in Italia il 28,9%, quasi il doppio rispetto alla media europea); l’elevato numero dei low skilled (circa 11 milioni per il 52% uomini, concentrati nelle fasce d’età più avanzata)”.
“Questa situazione del mercato del lavoro non è contingente, ha radici strutturali, perché riflette la debolezza di un’economia che è stagnante da anni. Un’Italia ferma da oltre vent’anni su un sentiero di crescita che oscilla intorno allo 0.2% annuo e su un tasso di partecipazione al lavoro sempre inferiore a quella dei principali Paesi sviluppati non può competere nel mondo di oggi e non può dare prospettive alle generazioni future – ha affermato il presidente del CNEL Tiziano Treu -.
In questo scenario l’aspetto di maggiore criticità è caratterizzato proprio dalle sfide che la transizione verso Industry 4.0 comporta.
Dal quadro generale emerge infatti l’esigenza di politiche mirate orientate al reskilling e l’upskilling sia dei giovani sia degli adulti soprattutto in una prospettiva di long term employability.
La formazione orientata al lavoro, così come la formazione on the job e i processi di riqualificazione del personale costituiranno per il futuro il vero banco di prova su cui potrà misurarsi la capacità di tenuta del nostro sistema economico e dell’intero tessuto produttivo, artigianale e industriale in divenire secondo i principi guida della robotica e dell’Intelligenza artificiale. Siamo un paese che vede eccellenze in alcuni campi – proprio della robotica – e allo stesso tempo pesanti fratture regionali in termini di occupazione sia dei giovani sia degli adulti.
I nuovi modelli organizzativi – e con essi proprio i processi di formazione e di riqualificazione del personale – saranno caratterizzati dalla necessaria presa di coscienza in merito al ruolo umano nella nuova organizzazione del lavoro. L’uomo in fatti non dovrà più limitarsi ad utilizzare le macchine, ma dovrà spingersi a collaborare con esse in modo sempre più incisivo ed in ambienti sempre più diffusi, interconnessi e non necessariamente localizzati tutti nello stesso luogo fisico. In questo processo di transizione grande rilevanza avranno, nell’ambito dei percorsi formativi, quelli diretti a far crescere specifiche competenze ma anche quelli orientati a far crescere e a migliorare negli individui i fattori umani e comportamentali necessari a rendere l’apporto umano sempre più idoneo a dialogare anche con i sistemi di intelligenza artificiale. Si fa riferimento, da questo punto di vista ai fattori quali la fiducia, la collaborazione, la responsabilità, l’autonomia, il pensiero critico e creativo, l’accuratezza, – solo per citarne alcuni – necessari a creare quella relazione uomo-macchina indispensabile per mantenere sempre centrale nell’attività lavorativa il capitale umano. Ma tale attività potrà essere efficace se la formazione di base è solida. Solo così possiamo rendere concreta quella fiducia e quella curiosità nel futuro che emergono dal Rapporto su Robot e Intelligenza artificiale.
Stando al rapporto del CNEL il nostro Paese rischia di partire svantaggiato se non sarà in grado di colmare al più presto quelle lacune che emergono nel campo dell’istruzione, divenute in questi anni il fattore strutturale di maggiore rilevanza del nostro mercato del lavoro.
La scuola ci dice il rapporto CNEL, è l’ambito per eccellenza sul quale è tanto strategico quanto ineludibile tornare ad investire, “anche alla luce delle sollecitazioni europee che indicano come la scarsa dinamica della produttività italiana sia quasi esclusivamente attribuibile alle inefficienze del nostro sistema di formazione del capitale umano”. Se la transizione verso la nuova organizzazione del lavoro richiederà lo sviluppo di nuove capacità, bisogna agire al più presto per consentire alle nuove di generazioni di recuperare subito il divario che si è creato soprattutto rispetto ad altri paesi europei, altrimenti si perderà un’occasione importante per far fare al nostro paese un passo importante verso il proprio futuro economico.