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Archivio newsBrexit: le prossime sfide per le imprese italiane
Entro il 31 gennaio 2020 il parlamento britannico dovrà decidere se approvare il “Withdrawal Bill”, l’uscita del Regno Unito dall’UE disciplinata, nella sua prima fase, dall’accordo di recesso, “Soft Brexit”, oppure non approvarlo e quindi non prevedere alcuna fase transitoria, con immediata cessazione dell’applicazione del diritto UE, “Hard Brexit”. In quest’ultimo caso lo scenario previsto, che allo stato attuale sembra essere l’ipotesi più probabile, avrebbe, sotto il profilo doganale, ripercussioni e disagi notevoli per gli operatori italiani, con particolare riferimento a tariffe, controlli e verifiche alle merci in ingresso e in uscita. Come devono prepararsi le imprese?
Il 12 dicembre 2019 si sono tenute le elezioni del nuovo parlamento del Regno Unito, il cui esito è risultato nettamente favorevole al partito conservatore, pro-Brexit, capeggiato da Boris Johnson.
Come si ricorderà, dette elezioni erano state indette a causa dello stallo in cui era incorsa la precedente legislatura nell’approvazione del “Withdrawal Bill”, il disegno di legge volto a rendere efficace, nell’ordinamento del Regno Unito, l’accordo di recesso sottoscritto con l’Unione Europea.
Dopo l’ultima proroga del 28 ottobre scorso, accordata dal Consiglio Europeo, il termine ultimo affinché le parti possano completare le procedure di ratifica dell’accordo di recesso è previsto per il prossimo 31 gennaio 2020. Con la medesima decisione di proroga è stata esclusa qualsiasi ulteriore modifica all’accordo di recesso, il cui testo è da considerare, quindi, definitivo.
Se, entro il 31 gennaio 2020, il neo-eletto parlamento britannico approverà il “Withdrawal Bill”, l’uscita del Regno Unito dall’UE sarà disciplinata, nella sua prima fase, dall’accordo di recesso (“Soft Brexit”).
Ai fini che qui rilevano, una delle disposizioni più significative dell’accordo di recesso è rappresentata dalla previsione di un periodo transitorio sino al 31 dicembre 2020, durante il quale la normativa unionale continuerebbe ad applicarsi al Regno Unito.
L’accordo di recesso prevede altresì la possibilità che detto termine, su disposizione di un comitato congiunto UE-UK, possa essere esteso di uno o due anni.
La finalità primaria del periodo transitorio è, evidentemente, quella di consentire alle parti di negoziare ed adottare tutte le misure volte a garantire un’uscita ordinata del Regno Unito dall’UE, anche in ossequio a quanto esplicitato all’interno della “Dichiarazione sul quadro delle future relazioni”, concordata dalle stesse parti unitamente al testo dell’accordo di recesso.
Detta dichiarazione, tra le altre cose, prevede l’impegno comune dell’UE e del Regno Unito a negoziare un “ambizioso” accordo di libero scambio senza dazi né contingenti, caratterizzato da una semplificazione delle procedure sottese alla circolazione delle merci e da una intensa cooperazione tra i rispettivi uffici doganali.
Se, viceversa, entro il termine del 31 gennaio 2020, il neo-eletto parlamento non approverà il “Withdrawal Bill”, e, dunque, non recepirà l’accordo di recesso, l’uscita del Regno Unito dall’UE non sarà preceduta da alcuna fase transitoria, con immediata cessazione dell’applicazione del diritto UE (“Hard Brexit”).
Allo stato attuale, sulla base delle intenzioni espresse dal neo-esecutivo britannico, le preoccupazioni maggiori vertono non già sul recepimento, entro il 31 gennaio 2020, dell’accordo di recesso, bensì sulla manifestata intenzione di non volersi avvalere di alcuna proroga del periodo transitorio (periodo in cui, si ricorda, continuerebbe a vigere il diritto unionale nel Regno Unito).
Laddove tali intenzioni si traducessero in comportamenti concreti, le tempistiche per negoziare i termini di un’uscita ordinata del Regno Unito dall’UE, volta a ridurre al minimo i disagi per le parti, sarebbero davvero stringenti.
È appena il caso di rilevare che tanto nell’ipotesi di mancato recepimento dell’accordo di recesso entro il 31 gennaio 2020, quanto nell’ipotesi di mancata adozione di intese volte a disciplinare i rapporti tra le parti entro la fine del periodo transitorio (31 dicembre 2020, in assenza di proroga), si configurerebbe uno scenario di “Hard Brexit”.
In tal caso, i rapporti tra Regno Unito e UE sarebbero equiparabili a quelli di due Stati terzi, soggetti esclusivamente alla disciplina prevista del diritto internazionale.
Lo scenario di “Hard Brexit” comporterebbe una serie di intuibili disagi per gli operatori italiani (e comunitari in genere) che intrattengono relazioni economiche con il Regno Unito (si pensi all’immediata applicazione di tariffe alle frontiere, controlli e verifiche doganali alle merci in ingresso e in uscita, etc.).
Più in particolare, per l’importazione di merci dal Regno Unito (operazione ora considerata acquisto infra-UE), gli operatori economici dovrebbero presentare le merci con una dichiarazione doganale di importazione, da trasmettere per via telematica all’ufficio doganale competente sul luogo di presentazione delle merci.
Viceversa, per l’esportazione di merci verso il Regno Unito (operazione ora considerata cessione infra-UE), gli operatori economici dovrebbero presentare una dichiarazione doganale di esportazione, da trasmettere per via telematica all’ufficio doganale competente in relazione al luogo in cui l’esportatore è stabilito o a quello in cui le merci sono caricate o imballate per l’esportazione.
Le autorizzazioni doganali rilasciate dalle autorità doganali del Regno Unito non sarebbero più valide nel territorio doganale dell’Unione; stessa sorte seguirebbero le autorizzazioni rilasciate dalle autorità doganali comunitarie a soggetti UK per le quali il Codice doganale dell’Unione prevede - tra le condizioni per il rilascio - l’essere stabilito nell’Unione.
Le merci vincolate alle procedure speciali (diverse dal transito) in base alle suddette autorizzazioni, site nel Regno Unito alla data del recesso, nel caso di loro reintroduzione nell’Unione, sarebbero trattate come merci all’importazione e quindi non più vincolate ai suddetti regimi. Pertanto, sarebbe opportuno appurare prima della data del recesso le procedure doganali riguardanti merci vincolate ai regimi di perfezionamento attivo, ammissione temporanea, uso finale e deposito doganale, site nel Regno Unito, onde evitare che le stesse siano considerate merci terze all’atto della reintroduzione nel territorio unionale.
Le autorizzazioni doganali che conferiscono lo stato giuridico di operatore economico autorizzato (AEO) rilasciate dal Regno Unito non potrebbero continuare ad essere considerate valide nel territorio doganale dell’Unione europea, e viceversa.
Medesime considerazioni varrebbero per le decisioni di informazione tariffaria vincolante (ITV) e di informazione vincolante in materia di origine (IVO).
Inoltre, sempre in mancanza di qualsivoglia intesa, negli scambi commerciali UE-Regno Unito non potrebbe essere attribuita alle merci alcuna origine preferenziale. Il carattere originario dei prodotti, qualora le merci avessero origine preferenziale UE in virtù di materiali di origine UK che incorporano (o di lavorazioni ivi effettuate) sarebbero oggetto di rivalutazione da parte delle autorità doganali, considerando che i materiali UK (o le lavorazioni ivi effettuate) sarebbero del tutto equiparabili a quelle di un Paese terzo non accordista.
Dalla sommaria ricostruzione sopra riportata, si evince che lo scenario “Hard Brexit”, sotto il profilo doganale, avrebbe delle ripercussioni notevoli per gli operatori economici.
L’auspicio è che il governo del Regno Unito non dia seguito ai propri proclami, accettando di lasciare l’UE solo una volta che siano stati conclusi tutti gli accordi necessari a sopperire alla cessazione dell’applicazione della normativa unionale.