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Archivio newsTransazioni commerciali con le PA: il pagamento non può superare il termine di 30 o 60 giorni
La Corte di Giustizia UE ha constatato una violazione, da parte dell’Italia, della direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Lo Stato Italiano non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici nel contesto di simili transazioni, rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario.
La Commissione europea ha chiesto alla Corte di Giustizia UE di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso e omettendo tuttora di assicurare che le sue pubbliche amministrazioni evitino di oltrepassare i termini di 30 o 60 giorni di calendario per il pagamento dei loro debiti commerciali, sia venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2011, L 48, pag. 1), e, in particolare, a quelli di cui all’articolo 4 di tale direttiva. La Commissione ha evidenziato che gli studi realizzati da enti e associazioni italiani contraddicono le conclusioni delle relazioni bimestrali presentate dalla Repubblica italiana, secondo le quali vi sarebbe una diminuzione progressiva dei tempi medi di pagamento. Infatti, tali studi evidenzierebbero l’esistenza di tempi medi di pagamento che vanno da 99 giorni (studio realizzato dalla Confartigianato, associazione che rappresenta taluni artigiani e PMI) a 145 giorni (studio realizzato dall’Assobiomedica, associazione che rappresenta le imprese che forniscono dispositivi medici alle strutture sanitarie italiane), o addirittura a 156 giorni (studio realizzato dall’ANCE, associazione di imprese del settore edile).
Un siffatto superamento continuato e sistematico, da parte delle pubbliche amministrazioni italiane, dei termini di pagamento previsti dall’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 costituisce di per sé una violazione di quest’ultima.
L’Italia ha sostenuto, a propria difesa, che la direttiva 2011/7 impone unicamente agli Stati membri di garantire, nella loro normativa di recepimento di tale direttiva e nei contratti relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una delle loro pubbliche amministrazioni, termini massimi di pagamento conformi all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, di detta direttiva nonché di prevedere il diritto dei creditori, in caso di mancato rispetto di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero. Tali disposizioni non impongono, invece, agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, dei suddetti termini da parte delle loro pubbliche amministrazioni.
La Corte di Giustizia UE nella sentenza del 28 gennaio 2020, ricorda che ai sensi della normativa richiamata, gli Stati membri assicurano che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione il periodo di pagamento non superi i 30 giorni di calendario. Quanto all’articolo 4, paragrafo 4, della suddetta direttiva, esso accorda agli Stati membri la possibilità di prorogare tale termine fino ad un massimo di 60 giorni di calendario per le amministrazioni e gli enti pubblici ivi contemplati.
In considerazione dell’elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché dei costi e delle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni, il legislatore dell’Unione ha, con tale disposizione, inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati per quanto riguarda le transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni.
La circostanza, quand’anche accertata, che la situazione relativa ai ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali contemplate dalla direttiva 2011/7 sia in via di miglioramento, non può ostare a che la Corte dichiari che la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione.
E infatti, con la sentenza alla causa n. c-122/18 La Corte dichiara che, “non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni” e pertanto è condannata alle spese.
Corte di Giustizia UE, causa C – 122/18, sentenza 28/01/2020,