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Archivio newsCosto del lavoro: ottimizzarlo premia l’azienda. Come fare
Gestire correttamente il costo del lavoro è un passo importante per la crescita dell’azienda, in particolare per quelle che operano in settori caratterizzati da una alta incidenza della manodopera come quello industriale e dei servizi. L’ottimizzazione dei costi del personale è il risultato a cui si giunge a seguito di un articolato percorso di analisi che deve tenere conto di tutti i costi (anche accessori o indiretti) e dei premi contributivi e fiscali fruibili grazie a nuove assunzioni, all’erogazione di fringe benefit ai lavoratori o allo sviluppo di paini di welfare aziendale. Un connubio di elementi la cui valutazione oculata può restituire all’azienda indubbi vantaggi economici.
La gestione del costo del personale è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi economici di qualsiasi azienda, in particolare per quelle che operano in settori caratterizzati da una alta incidenza della manodopera come quello industriale e dei servizi.
Il costo del personale, che può essere definito come il complesso degli oneri di qualsiasi tipo sostenuti dal datore di lavoro per l’impiego del personale alle sue dipendenze. deve essere posto sotto controllo sia preventivamente in sede di definizione del budget aziendale, sia a consuntivo per consentire al controllo di gestione di valutare i risultati dell’attività produttiva ed individuare cause e rimedi ad eventuali scostamenti indesiderati.
In particolare, l’attività di predisposizione del budget previsionale presuppone la traslazione nel tempo dei dati già conosciuti e di quelli ipotizzabili per realizzare le strategie aziendali.
Il costo annuo del personale, nella sua formulazione più consueta, è dato dalla sommatoria di:
· retribuzioni correnti, dirette o indirette;
· retribuzioni differite, incluso il TFR;
· contribuzione a carico dell’azienda;
· premi assicurativi;
· incidenza del costo della manodopera sull’IRAP.
Una analisi più accurata deve però considerare anche tutti gli altri costi, accessori o indiretti che, sostenuti quotidianamente, contribuiscono ad accrescere il costo del personale: il servizio di mensa, le pulizie, le spese di gestione del personale e l’eventuale contenzioso, sia che esso di manifesti con gli stessi lavoratori che con gli Enti previdenziali e assistenziali o fiscali.
L’ottimizzazione dei costi del personale è dunque il risultato a cui si giunge dopo un lungo percorso di analisi che presuppone il possesso di competenze specialistiche, alcune delle quali costituiscono tipicamente il “sapere” del liberi professionisti, mentre altre devono essere elaborate dal management aziendale o dalla proprietà (definizione degli obiettivi aziendali e dell’organico necessario, definizione di adeguate politiche retributive), altri ancora dai tecnici specializzati nel business aziendale (conoscenza dello specifico segmento del mercato del lavoro, delle specializzazioni richieste ai candidati e della disponibilità sul territorio di soggetti idonei).
Il contesto di dati per mezzo del bagaglio di conoscenze aziendali deve quindi essere formalizzato in un corretto budget del personale, supportato da un sistema di rilevazione dei fatti aziendali che consenta a consuntivo di analizzare i relativi scostamenti, e di determinare le opportune decisioni di variazione delle attività tese al raggiungimento delle strategie aziendali.
Il tema affrontato nell’articolo è stato oggetto di approfondimento e discussione in aula nel terzo incontro dell’edizione 2019/2020, dedicato a “Gestire il costo del lavoro dell'azienda e focus sulla legge di Bilancio 2020.
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Una via certamente percorribile per realizzare una riduzione del costo del lavoro consiste nel procedere, previa una accurata pianificazione dei fabbisogni (stabilimento per stabilimento, reparto per reparto), con l’assunzione di lavoratori che portino in dote agevolazioni contributive, normative o economiche.
L’analisi deve prendere in considerazione un duplice aspetto: se da un lato non è agevole districarsi nella “giungla” di condizioni e requisiti richiesti dalle norme di legge e dalle circolari amministrative, dall’altro è necessario prendere coscienza che la fruizione di una agevolazione contributiva è ormai assurta a “premio” per la regolarità dell’azienda rispetto agli adempimenti ed ai versamenti di imposte e contributi.
Il medesimo fenomeno può essere osservato da un altro punto di vista: si può infatti affermare che si è consolidata una sanzione indiretta di tipo “economico” che colpisce le aziende “non regolari” escludendole dalla possibilità di accedere alla riduzione dei costi concessa dagli sgravi e agevolazioni. La gestione virtuosa dell’azienda nel suo complesso, che le consenta di ottenere soddisfacenti risultati economici tali per cui non sono messi in discussione l’adeguamento alle normative cogenti e gli adempimenti contributivi e fiscali, viene dunque premiata anche per questa via, secondo una prassi ormai consolidata.
La fruizione di agevolazioni legate alla assunzione di categorie di lavoratori svantaggiati è quindi ammessa a condizione che:
· siano soddisfatti i requisiti soggettivi richiesti al lavoratore;
· l’azienda sia in possesso del DURC regolare;
· vengano rispettati i principi generali previsti per la fruizione degli incentivi (decreto Legislativo n. 150/2015 articolo 31).
Ulteriori requisiti, quali il rispetto del “de minimis” e la realizzazione di un incremento occupazionale espresso in Unità di lavoro Annuo (U.L.A.), costituiscono ulteriori eventuali requisiti richiesti in presenza di agevolazioni contributive particolari.
Rispetto al passato (in verità non più così recente) oggi è dunque necessario percorrere una via molto più tortuosa per giungere alla meta: alcuni consulenti ricorderanno certamente la semplicità con la quale poteva essere fruita la decontribuzione offerta dalla legge n. 407/90 o dalla legge n. 223/91.
In ogni caso, sul piano puramente economico, l’agevolazione all’assunzione resta un beneficio tutt’altro che trascurabile, con riduzioni contributive degli oneri a carico azienda del 50% o persino del 100% per periodi che posso durare fino a 36 mesi dalla data di assunzione.
Da molti anni ormai è riconosciuta, da parte di lavoratori e imprese, grande importanza ai fringe benefits, costituiti dai compensi in natura che il datore di lavoro attribuisce o concorda, collettivamente od individualmente, con i lavoratori in aggiunta alla normale retribuzione in denaro.
La rilevanza del fringe benefit è duplice: da un lato esso può fornire opportunità di risparmio fiscale e contributivo, dall’altro esso è spesso portatore di ambiti “status symbol”, dai quali il lavoratore può trarre maggiore soddisfazione rispetto ad un equivalente ammontare di denaro.
Al fine della scelta operata dall’azienda rispetto dell’offerta di utilità potenzialmente gradite ai lavoratori, l’attenzione va posta alla valorizzazione del fringe benefit, che normalmente avviene mediante l’applicazione del criterio del “valore normale”, ma per alcuni di essi è prevista l’attribuzione di un controvalore in via convenzionale.
Per completare il quadro, le politiche di incentivazione o di fidelizzazione del personale hanno visto crescere di importanza, accanto ad iniziative di carattere meramente economico, il ricorso al cosiddetto “welfare aziendale” definibile come l’insieme dei benefici che un’azienda può riconoscere ai propri lavoratori con la specifica finalità di soddisfare esigenze delle persone e dei loro familiari.
Il vantaggio in termini di costo di queste iniziative deriva dal particolare e favorevole trattamento fiscale che alcune di queste voci di spesa possono garantire a lavoratori ed aziende, quando vengono rispettate le condizioni richieste dalle norme fiscali, prime fra tutte l’articolo 51 del TUIR.
Accade così che la previsione di incentivi premiali possano essere assoggettati ai fini IRPEF con una imposta sostitutiva con aliquota al 10% oppure la totale esenzione nel caso in cui il lavoratore scelga la conversione del premio monetario in uno o più beni o servizi scelti nell’ambito di un paniere appositamente definito.
Anche senza il ricorso alla contrattazione collettiva di secondo livello, il datore di lavoro può liberamente scegliere di mettere a disposizione dei dipendenti in maniera unilaterale alcune utilità o servizi che, se rivolti alla generalità o a categorie di dipendenti (e dunque non “ad personam”) non costituiranno reddito per il lavoratore che le utilizza.
Le aziende più strutturate e più sensibili alla fidelizzazione dei loro dipendenti hanno dunque un ampio ventaglio di possibilità per ridurre il costo del lavoro e per definire il pacchetto più idoneo di iniziative tese alla soddisfazione ed al miglioramento della qualità della vita per i lavoratori e le loro famiglie, al di là del tradizionale incentivo puramente economico, peraltro soggetto sempre e comunque a contribuzione e tassazione.
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