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Archivio newsQuote rosa nelle società: la Consob chiarisce i dubbi sul metodo di calcolo
Le modifiche apportate alla normativa sulla presenza delle “quote rosa” nei Cda, da parte del decreto fiscale e dalla legge di Bilancio 2020, se hanno il lodevole obiettivo di assicurare un effettivo equilibrio di generi negli organi amministrativi e di controllo, sollevano una serie di dubbi interpretativi sul metodo di calcolo della percentuale dei componenti qualora siano tre. In soccorso delle società viene la Consob stabilendo che si deve applicare un criterio di quantificazione per difetto, in virtù del quale l’arrotondamento dovrebbe essere effettuato all’unità inferiore. L’obbligo verrebbe così rispettato assicurando la presenza di un componente del genere meno rappresentato.
La disciplina delle “quote rose” è stata oggetto di modifiche da parte del decreto fiscale (D.L. n. 124/2019) e della legge di Bilancio 2020 (l. n. 160/2019). Tali revisioni, che evidentemente rispondono al lodevole intento di assicurare un effettivo equilibrio di generi negli organi amministrativi e di controllo delle società interessate dalla normativa in questione, ha creato, però, diversi dubbi interpretativi, che stanno occupando gli addetti ai lavori e che sono ancora nella fase di prima valutazione.
La tematica delle “quote rose” è venuta alla ribalta con la legge Golfo-Mosca (l. 120/2011), che si era posta l’obiettivo di riequilibrare la presenza delle componenti facenti capo ai due sessi nei ruoli di vertice delle società quotate e di quelle costituite in Italia, che siano controllate dalla pubblica amministrazione.
Il risultato era stata la modifica degli artt. 147, comma 1 ter e 148, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 58/98 (T.U.F.), con l’introduzione dell’obbligo, anche se temporaneo, di prevedere una componente femminile (per la precisione, la norma parla di “genere meno rappresentato”, ma l’osservazione della realtà fa naturalmente propendere per una interpretazione che identifichi questo genere in quello femminile) di almeno 1/3 degli amministratori eletti e dei sindaci effettivi. Il rispetto di tali obblighi era infine supportato da apposite sanzioni.
Era inoltre previsto che questo obbligo si caratterizzasse per la sua “temporaneità”, restando in vigore per tre mandati consecutivi, perché si riteneva che il periodo di 9 anni fosse congruo per cercare di raggiungere l’obiettivo dell’equilibrio tra i generi che ci era preposti con la normativa in questione.
Con il decreto fiscale, alla luce dell’osservazione di quanto si era sino a quel momento verificato, erano state varate delle innovazioni sostanziali all’impianto normativo, per effetto delle quali:
- “in primis” è stato esteso l’obbligo temporaneo di ripartire gli amministratori fra esponenti dei due sessi, portandolo da 3 a 6 mandati consecutivi;
- è rimasta la “gradualità”, con il criterio di riparto almeno di un quinto per il primo rinnovo seguente alla data di inizio delle negoziazioni;
- soprattutto cambia la percentuale di rappresentatività del genere meno rappresentato, che passa da 1/3 a 2/5 dei soggetti eletti negli organi interessati.
La proroga è stata ritenuta necessaria, perché, a fronte di taluni risultati positivi scaturiti dall’adempimento di questi obblighi, non si è riusciti ad ottenere quella sorta di “automatismo” auspicato nella percentuale di rappresentatività fra i generi, che avrebbe consentito di eliminare la necessità della cogenza della percentuale di soggetti di generi diversi presenti nelle società interessate.
La legge di Bilancio 2020, intervenuta nel solco del decreto fiscale, nel confermare che l’obbligo di cui ci stiamo qui occupando si applichi per 6 mandati consecutivi, ha previsto che:
- la percentuale di rappresentanza del genere meno rappresentato è di 2/5 degli amministratori eletti e dei componenti effettivi del collegio sindacale;
- il criterio di riparto si applichi a decorrere dal primo rinnovo degli organi amministrativi e di controllo delle società interessate successivo alla data di entrata in vigore della legge, fermo restando il criterio di riparto di almeno 1/5, previsto per il primo rinnovo successivo alla data di inizio delle negoziazioni;
- resta l’impianto sanzionatorio, che prevede una diffida della CONSOB, in caso di inottemperanza al rispetto del criterio di riparto in relazione ai componenti eletti, con assegnazione di un termine di 4 mesi per adempiere. In caso di mancato adempimento entro il predetto termine, la CONSOB irrogherà una sanzione amministrativa pecuniaria che va da euro 100.000,00 ad euro 1.000.000,00 (in caso di Cda) e che va da euro 20.000,00 ad euro 200.000,00 (nel caso di collegio sindacale), fissando un nuovo termine di tre mesi per adempiere. Perdurando l’inottemperanza, è prevista la decadenza dalla carica dei componenti eletti;
- è previsto che gli statuti delle società disciplinino le modalità di formazione delle liste ed i casi di sostituzione in corso di mandato per garantire il rispetto del criterio di riparto.
Come abbiamo anticipato all’inizio di questo intervento, le modifiche apportate alla normativa sulle “quote rosa” hanno sollevato una serie di dubbi di non poco conto.
Il primo di essi concerne il metodo di calcolo dei mandati consecutivi. Ci si chiede, a giusta ragione, se i 6 mandati debbano ricomprendere gli eventuali mandati già trascorsi, in cui si applicava la vecchia percentuale di 1/3 o si debbano calcolare “ex novo” i 6 mandati con la percentuale di 2/5.
In secondo luogo, sorgono delle perplessità in merito al calcolo della percentuale dei componenti, qualora i componenti siano 3. Tale situazione emerge chiaramente in relazione ai collegi sindacali, qualora siano composti da tre membri effettivi. Il mero rapporto matematico appare infatti inattuabile.
Su questo argomento si segnala che la CONSOB, dopo avere promosso una consultazione del mercato in merito, ha redatto una proposta di comunicazione, volta a chiarire le modalità applicative della nuova normativa sulle “quote rosa”. In essa si asserisce che debba applicarsi un criterio di quantificazione per difetto, in virtù del quale l’arrotondamento dovrebbe essere effettuato all’unità inferiore. L’obbligo verrebbe così rispettato assicurando la presenza di 1 componente del genere meno rappresentato.
Appare evidente che, come spesso accade, la volontà di eliminare posizioni di squilibrio o di distorsione si scontri con la disciplina delle modalità di attuazione delle misure studiate per pervenire al risultato che ci si prefigge. La strada della proroga dell’obbligo appare, in verità, giustificata dalla necessità che le situazioni di squilibrio di genere nella rappresentanza delle società interessate da questa normativa vengano sempre più a scemare.
Sono stati in tal senso confortanti i riscontri avuti in società non più soggette all’obbligo di assicurare la percentuale di rappresentanza di cui ci occupiamo, che hanno ritenuto di mantenere una quota percentuale femminile almeno pari ad 1/3 nel proprio board.
L’auspicio è che il prolungare la durata degli obblighi serva alla fine a fare diventare scontata questa tipologia di composizione degli organi delle società, ma, per raggiungere questo obiettivo, è sicuramente necessario che le modalità attuative siano chiare e prive di ambiguità interpretative.