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Archivio newsRITA: una soluzione vantaggiosa per aziende e lavoratori. Perché?
La RITA è una prestazione previdenziale (strutturale) dalle grandi potenzialità. Ai lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a una forma di previdenza complementare a contribuzione definita consente di ricevere una rendita frazionata della posizione individuale fino al conseguimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia. E con un regime fiscale di particolare favore. Al datore di lavoro offre un duplice vantaggio: può essere utilizzato nell’ambito dei processi di turnover aziendale o per gestire eventuali esuberi e consente di ridurre la tassazione sul reddito d’impresa.
Rendere il sistema previdenziale obbligatorio più flessibile in uscita costituisce uno degli obiettivi che il legislatore sta cercando di perseguire con maggiore insistenza negli ultimi anni. Le esigenze da soddisfare sono rappresentate, da un lato, dal superare le rigidità introdotte dalle recenti riforme previdenziali consentendo al lavoratore , entro i vincoli di finanza pubblica, una uscita anticipata dal mercato del lavoro (si pensi a quota 100 anche con il possibile concorso dei Fondi di solidarietà) o andando direttamente in pensione o percependo un “reddito finanziario ponte “ che lo traghetti alla quiescenza (era il caso dell’APE volontario e aziendale che hanno concluso con il 31 dicembre la propria sperimentazione ed è ancora il caso dell’APE sociale la cui vigenza sperimentale è stata appena prorogata di un anno dalla Legge di Bilancio).
E’ poi molto dibattuto e controverso se vi sia una correlazione tra il posizionamento dell’età pensionabile e l’accesso al mercato del lavoro da parte delle giovani generazioni. La flessibilità in uscita è anche uno dei temi di maggiore rilevanza in discussione nell’ambito del confronto in corso tra Governo e Sindacati.
In attesa di comprendere quali saranno le evoluzioni va ricordato come anche il meccanismo di funzionamento dei fondi pensione è stato modellato in termini di flessibilità con la introduzione di una nuova prestazione, la Rendita integrativa temporanea anticipata - RITA.
Secondo i dati riportati nella Relazione annuale della COVIP, nel 2018, le prime rendite integrative temporanee anticipate hanno interessato circa 2.450 posizioni, di cui 2.000 a valere sull’intero montante accumulato. I fondi pensione preesistenti hanno erogato RITA su circa 2.000 posizioni, 300 i fondi negoziali, 130 i fondi aperti e 20 i PIP. |
E’ utile riepilogare in modo sintetico quale sia la regolamentazione della RITA, disciplinata come prestazione strutturale e stabile nel nostro ordinamento dalla legge di Bilancio 2018. Va infatti ricordato come inizialmente era stata introdotta dalla manovra finanziaria precedente in via sperimentale e strettamente collegata con l’APE volontaria (per richiederla era necessario presentare al proprio fondo pensione la certificazione per l’anticipo pensionistico).
Sono legittimati a richiedere la RITA i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di 5 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza e i lavoratori disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza. Per entrambe le casistiche è necessario avere il requisito di 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.
Si tratta di un riscatto frazionato, per il periodo individuato (massimo 5 o 10 anni a seconda della fattispecie), del montante accumulato. La prestazione viene percepita dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Va ancora ricordato come si prevede la gestione attiva da parte del fondo pensione (salvo diversa volontà dell’iscritto va nel comparto più prudente) della posizione individuale accumulata anche nel corso di erogazione della prestazione, così da poter beneficiare anche dei relativi rendimenti.
Di particolare favore è poi il regime fiscale della RITA per cui si prevede un significativo profilo agevolativo. Per quel che riguarda l’aliquota, infatti, la RITA subirà un prelievo fiscale consistente in una ritenuta a titolo d'imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali reginali o comunali) con l'aliquota del 15 per cento, con una riduzione dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Vi è in ogni modo la possibilità per l’assicurato che richieda la RITA di optare per l’applicazione integrale della tassazione ordinaria attraverso la propria dichiarazione dei redditi.
La RITA si inserisce in un quadro ordinamentale in cui la previdenza complementare, accanto alla principale funzione di integrazione del trattamento pensionistico di base, contribuisce al soddisfacimento di bisogni di protezione sociale nell’ultima parte della vita attiva, bisogni resi più acuti dalla perdita di lavoro ad un’età avanzata ma non ancora sufficiente per conseguire il trattamento pensionistico obbligatorio.
In considerazione anche del forte appeal fiscale, la Rendita integrativa temporanea anticipata diviene allora uno strumento sicuramente da valutare da parte di chi ha avuto accesso alla pensione anticipata (anche con il canale quota 100), al ricorrere dei requisiti richiesti.
Può porsi nell’ambito di processi di turnover aziendale potendo rivolgersi la RITA anche alla platea dei lavoratori che accedono all’esodo incentivato/isopensione/fondo esuberi, se la cessazione dell’attività si colloca in un arco temporale antecedente di non oltre 5 anni la maturazione dell’età per la pensione di vecchiaia.
In prospettiva di flessibilità in uscita e in ottica di pianificazione previdenziale potrebbe valutarsi allora, con congruo anticipo, di irrobustire la propria posizione previdenziale per generare al momento opportuno una RITA più elevata.
Le soluzioni praticabili sono quelle di prevedere, compatibilmente con il proprio vincolo di bilancio familiare e la propria capacità di risparmio, eventuali contribuzioni aggiuntive al fondo pensione cui si sia iscritti nel corso del tempo o valutando in maniera ponderata un utilizzo maggiorato del TFR da versare.
Va ricordato a tal proposito come per gli assunti di prima occupazione anteriori al 29 aprile 1993 non sia obbligatorio il trasferimento totalitario del trattamento di fine rapporto essendo possibile nella misura stabilita dagli accordi o contratti collettivi e in misura non inferiore comunque al 50 per cento.
Medesimo discorso può valere, se previsto dagli accordi collettivi, anche per gli iscritti successivi a tale data nel caso in cui non stiano versando il 100% del proprio TFR a fondo pensione in applicazione del principio di flessibilità in entrata recato dalla legge Concorrenza.
Come mera evidenza statistica va evidenziato come, secondo dati COVIP aggiornati al 31 dicembre 2019, nel periodo da inizio 2010 a fine dicembre 2019 (dieci anni), il rendimento medio annuo composto è risultato pari al 3,6 per cento per i fondi negoziali, al 3,8 per i fondi aperti e al 3,8 per i PIP di ramo III; al 2,6 per cento per le gestioni separate di ramo I. Nello stesso periodo, la rivalutazione media annua composta del TFR è stata pari al 2 per cento. |
Ponendosi sul versante datoriale è opportuno ricordare, così come sottolinea il Mefop in un interessante approfondimento, come il D.Lgs. 252/05 riconosce alcune significative misure compensative in proporzione al flusso di TFR che non resta nelle disponibilità del datore di lavoro.
Il riferimento particolare è:
- alla deducibilità dal reddito di impresa di una parte del TFR che non resta in azienda,
- alla eliminazione del contributo al Fondo di garanzia del TFR presso INPS,
- alla riduzione dei c.d. oneri impropri.
Partendo dal primo profilo va evidenziato come sul TFR che esce dall’azienda il datore gode di una maggiore deducibilità fiscale. È infatti possibile dedurre dal reddito di impresa il 4% del Tfr per le imprese con almeno 50 addetti. Se l’azienda ha meno di 50 addetti la deducibilità sale al 6%, ma solo sul Tfr versato nel fondo pensione (non essendo l’azienda interessata dal fondo tesoreria). La misura non porta benefici se l’azienda non produce utili ai fini fiscali.
L’azienda è poi esentata dal versamento del contributo al fondo di garanzia del TFR presso l’INPS.
Il risparmio per il datore è pari allo 0,20% del monte retributivo (in proporzione al Tfr versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria).
Qualora l’impresa sia in utile, una parte del beneficio, incrementando gli utili, è ridotto dall’imposizione sul reddito d’impresa, prosegue il Mefop.
Infine, l’azienda ha una riduzione dei cosiddetti oneri impropri, ossia costi sul lavoro relativi a contributi al fondo per la disoccupazione o per la maternità e simili. Tale misura è entrata a regime nel 2014 con un impatto dello 0,28% sul monte retributivo (in proporzione al TFR versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria). Inoltre, il datore di lavoro che viene privato del TFR non è più tenuto a riconoscerne la rivalutazione (1,5% + 75% dell’inflazione) e a pagare la relativa imposta sostitutiva.
Tabella vantaggi: impatto complessivo
La tabella riporta l’incremento in termini di monte retributivo delle disponibilità per un’azienda che rinuncia a tutto il TFR, grazie all’impatto delle misure compensative, tenendo conto anche dell’impatto delle misure sulle imposte sul reddito d’impresa
Azienda con almeno 50 dipendenti in utile | 0,431% |
Azienda con meno di 50 dipendenti in utile | 0,464% |
Azienda non in utile | 0,480% |
Fonte: Mefop