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Certificazione dei contratti: come si svolgono i controlli ispettivi?

La certificazione dei contratti di lavoro rappresenta una delle novità più importanti della riforma del mercato del lavoro preconizzata da Marco Biagi. Introdotta con l’intento di ridurre il contenzioso amministrativo e giudiziario, la certificazione è estesa indistintamente a tutti i contratti di lavoro con adesione per lo più su base volontaria anche se, in alcuni casi, rappresenta un obbligo giuridico. Quali sono i controlli che gli organi di vigilanza esercitano sulle certificazioni? Quali vantaggi offre a imprese e professionisti? Se ne parlerà nel corso del VIII Forum TuttoLavoro, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrinalavoro.it, in programma a Modena il prossimo 25 febbraio.

Il Forum TuttoLavoro 2020 si pone un apprezzabile obiettivo: fornire agli operatori le interpretazioni per una corretta applicazione delle regole per la gestione dei rapporti di lavoro. In questo solco, quindi, ben si colloca il tema dei controlli ispettivi sui contratti certificati ai sensi dell’art. 75 e ss. del D.Lgs. n. 276/2003.

La certificazione dei contratti di lavoro rappresenta una delle novità più importanti e, forse, discusse dell’intera riforma del mercato del lavoro preconizzata da Marco Biagi. Questo istituto è stato introdotto col dichiarato intento di ridurre la notevole mole di contenzioso (amministrativo e giudiziario) che caratterizza i contratti di lavoro. Difatti l’utilizzo della certificazione come forma di asseverazione avrebbe dovuto comportare, secondo il Legislatore, la riduzione dell’alea che spesso circonda alcune tipologie contrattuali.

Gli organi presso i quali è possibile costituire apposite commissioni col compito di certificare i contratti sono:

· Il Ministero del lavoro (solo in presenza di alcune particolari circostanze);

· Gli Ispettorati territoriali del lavoro;

· Le Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, iscritte ad apposito albo presso il Ministero del Lavoro;

· I Consigli provinciali degli ordini dei Consulenti del lavoro, nell’ambito delle intese definite tra il Ministero del lavoro ed il C.N.O., con l’attribuzione a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi;

· Gli Enti bilaterali (secondo la circolare n. 4/2018 e la nota n. 3861/2019 dell’INL, sono legittimati esclusivamente quelli costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative).

Dal 2004 la procedura di certificazione è stata estesa indistintamente a tutti i contratti di lavoro. Questo istituto è, in linea di principio, volontaria. In alcuni casi, tuttavia, questa procedura rappresenta un vero e proprio obbligo giuridico. E’ il caso delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito di ambienti sospetti di inquinamento e in luoghi confinati per i quali il D.P.R. n. 177/2011 prevede che i contratti di appalto (sia esterni che endoaziendali), i contratti di subappalto (solo quelli endoaziendali) e i contratti di lavoro flessibili relativi ai lavoratori impiegati, debbano essere obbligatoriamente certificati quando i lavori si svolgono in quei luoghi a rischio.

La possibilità di certificare i contratti di appalto è specificamente prevista dall’art. 84 del D.Lgs. n. 276/03. Per quanto concerne la procedura, le valutazioni della commissione non possono che partire dal dettato normativo di riferimento rappresentato, in questo caso, dall’art. 1655 c.c. e dall’art. 29, comma 1 del D.Lgs. n. 276/03. Dal raffronto delle due norme emergono, difatti, i criteri che contraddistinguono e legittimano il c.d. appalto genuino che sono:

1) L’organizzazione di mezzi, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto;

2) L’esercizio, da parte dell’appaltatore, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto;

3) L’assunzione, da parte dell’appaltatore, del rischio d’impresa.

In mancanza dei previsti “Codici di buone pratiche”, il Ministero del lavoro, per mezzo della circolare n. 48/2004, ha indicato alle commissioni presenti presso i propri uffici periferici, alcune utili indicazioni relativamente ai requisiti che tali contratti debbono possedere affinché possano essere certificati. La circolare n. 5/2011, nel richiamare tali indici, afferma che devono formare oggetto di attenta valutazione da parte dei singoli organi:

· La tipologia di attività appaltata;

· L’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o del servizio da parte dell’appaltatore;

· La durata, determinata o determinabile, dell’attività dedotta nel contratto di appalto;

· La rilevanza delle competenze dei lavoratori impiegati dall’appaltatore a fronte della scarsa rilevanza di attrezzature o beni strumentali;

· La presenza di un considerevole know-how aziendale in possesso dell’appaltatore nell’ambito di appalto di lavori specialistici.

Con riguardo all’efficacia giuridica che consegue al positivo vaglio degli organismi preposti, il contratto certificato acquista “piena forza legale” sia fra le parti, sia nei confronti dei terzi.

Da ciò consegue che gli effetti (civili, previdenziali, amministrativi e fiscali) del contratto così certificato permangono, anche nei confronti dei terzi, fintanto che non sia stato accolto con sentenza di merito uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili (fatti ovviamente salvi eventuali provvedimenti cautelari assunti dall’organo giurisdizionale adito). Di fatto, per i contratti certificati, interviene il c.d. principio dell’inversione dell’onere probatorio, in ragione del quale spetta a chi contesta la regolarità del contratto (organi di vigilanza compresi) dimostrare eventualmente in giudizio l’invalidità del testo certificato.

La norma prevede, tuttavia come condizione di procedibilità, che chiunque intenda impugnare il contratto certificato deve preventivamente esperire un tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla commissione che ha emesso l’atto.

I controlli che gli organi di vigilanza esercitano sulle certificazioni possono essere sia preventivi che successivi all’adozione del provvedimento. Si rammenta, difatti, che l’art. 78, co. 2 lett. a) del Decreto prevede l’obbligo, da parte delle commissioni esterne, di comunicare all’ITL del luogo ove viene svolta la prestazione lavorativa l’avvio del procedimento. Questa informativa, come più volte sancito dal Ministero del lavoro, deve poter garantire l’effettiva partecipazione degli enti pubblici al procedimento in questione. A tale comunicazione va, pertanto, allegata tutta la documentazione istruttoria presente (es. contratto, tariffari, ecc.), rendendo così possibile un primo controllo di merito e l’eventuale partecipazione al procedimento certificatorio con facoltà di presentare osservazioni.

Il controllo preventivo risulta particolarmente importante in presenza di comunicazioni provenienti dalle commissioni istituite presso gli Enti bilaterali che, notoriamente, non hanno alcuna necessità di riconoscimento pubblico e possono, quindi, liberamente costituirsi. Difatti, come chiarito dall’INL, eventuali provvedimenti di certificazione debbono ritenersi inefficaci sul piano giuridico qualora gli stessi promanino da Enti bilaterali privi dei prescritti requisiti (cfr. nota n. 3861/2019 secondo cui debbono considerarsi legittimati solo quelli costituiti ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 276/03).

L’assenza della comunicazione all’ITL nei termini previsti dal regolamento interno, ovvero l’assenza della documentazione utile a valutare il contratto da certificare, rappresenta un vizio della procedura che potrebbe anche compromettere l’efficacia del provvedimento finale.

Per quanto riguarda, invece, i controlli successivi all’emanazione del provvedimento l’INL, per mezzo della circolare n. 9/2018, in parziale discontinuità col passato, ha chiarito che la certificazione non inibisce le verifiche degli ispettori del lavoro.

Il dato dal quale ha probabilmente preso spunto l’Agenzia, difatti, è rappresentato dalla preoccupante proliferazione, avvenuta negli ultimi anni, delle certificazioni dei contratti (principalmente di appalto labour intensive) e dal fatto che tale strumento, sempre più spesso, viene utilizzato con intenti fraudolenti essenzialmente mirati ad intralciare il corretto svolgimento dell’attività ispettiva. Pertanto l’Ispettorato, anche allo scopo di uniformarla, ha ritenuto opportuno procedimentalizzare l’attività ed i comportamenti che il personale di vigilanza deve compiere in presenza di un contratto certificato impartendo, così, le seguenti direttive:

§ Qualora, al termine dell’attività di vigilanza, siano stati rilevati vizi riconducibili all’erronea qualificazione del contratto ovvero alla difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, il personale ispettivo deve redigere il verbale conclusivo;

§ Il verbale unico deve recare, in relazione al disconoscimento dei contratti certificati (sia di lavoro che di appalto), l’espressa avvertenza che l’efficacia di tale disconoscimento (applicazione delle sanzioni ed eventuali altri effetti derivati quali i recuperi contributivi) è condizionata al positivo espletamento del tentativo di conciliazione obbligatorio presso la commissione di certificazione oppure, in caso di esito negativo, all’utile proposizione delle impugnazioni previste dall’art. 80 del D.Lgs. n. 276/03;

§ L’ufficio che ha condotto gli accertamenti deve procedere, previa acquisizione del regolamento interno di funzionamento della commissione che ha disposto la certificazione, ad esperire presso quest’ultima il tentativo obbligatorio di conciliazione in conformità alle procedure indicate nel medesimo regolamento;

§ In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, l'organo di vigilanza impugnerà il provvedimento di certificazione promuovendo alternativamente (in base al tipo di vizio accertato) ricorso al giudice del lavoro o al TAR;

§ In caso di accoglimento del ricorso, il verbale unico potrà ritualmente dispiegare i propri effetti (anche contributivi) rimasti nel frattempo sospesi.

Si evidenzia, infine, che il personale ispettivo dell’INL (ma non solo) ha la qualifica e i poteri di ufficiale di polizia giudiziaria. Conseguentemente qualora, nel corso dell’attività di vigilanza, dovessero emergere indizi di reato, gli ispettori hanno l’obbligo di osservare le norme del Codice di procedura penale e, fra queste, anche l’art. 347. All’atto pratico ciò comporta che se, ad esempio, nel corso di un accertamento su un contratto di appalto certificato dovessero emergere indici di sfruttamento dei lavoratori utilizzati secondo lo schema delittuoso previsto dall’art. 603-bis C.p. (reato di caporalato), ovvero elementi per configurare l’ipotesi di somministrazione fraudolenta (art.38-bis, D.Lgs. n. 81/2015), il personale ispettivo ha l’obbligo di informare la Procura della Repubblica senza necessità alcuna di seguire la procedura tracciata dall’art. 80 del D.Lgs. n. 276/2003 (cfr. INL nota n. 3861/2019).

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Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/02/14/certificazione-contratti-svolgono-controlli-ispettivi

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