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Archivio newsCoronavirus: quali cautele deve adottare il datore di lavoro
L’epidemia da coronavirus 2019-nCoV, al centro delle cronache degli ultimi giorni, porta alla ribalta un tema di grande interesse. Si tratta delle misure preventive che il datore di lavoro deve adottare, con la collaborazione del medico competente, per tutelare i lavoratori dal rischio biologico. Secondo il Ministero della Salute, che ha fornito le indicazioni operative con la circolare n. 3190 dello scorso 3 febbraio (superata dai fatti), per i casi di contatti a rischio con gli ammalati si ritiene sufficiente adottare le comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria. Il datore di lavoro è poi tenuto ad accortezze ulteriori nei riguardi dei lavoratori in trasferta o distacco in Cina o in aree geografiche “a rischio”.
La propagazione del contagio da coronavirus, al centro delle cronache mondiali degli ultimi giorni, sta proiettando l’attenzione collettiva (di esperti, Istituzioni, cittadini) sulle modalità con cui prevenire il pericolo della progressiva diffusione dell’epidemia, specie in ragione del suo elevatissimo grado di trasmissibilità.
Va da sé che i principali rischi pandemici si concentrano nei luoghi di sosta o transito per consistenti masse di popolazione: aree pubbliche, aperte al pubblico o destinate a eventi a larga partecipazione, mezzi di trasporto e, ovviamente, luoghi di lavoro.
I dubbi in merito alle concrete misure preventive del contagio proprio nel contesto lavorativo hanno indotto il Ministero della Salute, con la circolare n. 3190 dello scorso 3 febbraio, a fornire chiarimenti sui comportamenti prescritti agli operatori che, per ragioni lavorative, vengono a contatto con il pubblico; indicazioni che, come chiarito al termine della circolare, i datori di lavoro hanno l’onere di comunicare all’intero personale dipendente.
Il provvedimento citato, anzitutto, riconduce l’emergenza coronavirus all’obbligo, gravante sul datore di lavoro insieme al medico competente ai sensi del D. Lgs. 81/2008 (Titolo X, Capo II), di tutelare i dipendenti dal c.d. “rischio biologico, in funzione della entità del pericolo corrente.
Tale rischio ricorre qualora l’attività lavorativa comporti la possibile esposizione a un “agente biologico”, ossia qualsiasi microorganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni” (v. artt. 266 e 267 D. Lgs. 81/2008).
A quest’ultimo riguardo, prosegue il Ministero, deve comunque osservarsi che il virus non risulta attualmente in circolazione sul nostro territorio nazionale; in ragione di ciò, ad oggi si ritiene sufficiente che i lavoratori adottino le comuni misure preventive (cura dell’igiene della persona e dell’ambiente, attenzione nel tenersi distanti da persone con sintomi influenzali) o quelle comunque dettate dal datore di lavoro.
A quest’ultimo riguardo, essendo, purtroppo, ormai smentita l’affermazione sulla quale il Ministero aveva basato le sue raccomandazioni, ossia che il virus non risultasse attualmente in circolazione sul nostro territorio nazionale, è ben possibile dubitare, in ragione di ciò, che possano ritenersi sufficienti l’adozione, nei confronti dei lavoratori, delle comuni misure preventive (cura dell’igiene della persona e dell’ambiente, attenzione nel tenersi distanti da persone con sintomi influenzali) o di quelle ulteriori e più drastiche comunque dettate dal datore di lavoro a fronte di una specifica valutazione dei rischi, imponendosi, per legge, al più presto, il varo di misure di salute pubblica come il trattamento sanitario obbligatorio di quarantena.
Prescrizioni specifiche e più stringenti operano, invece, con riferimento ai soggetti (nella specie, gli operatori sanitari) che abbiano avuto contatti diretti con persone contagiate o rientranti nella definizione di “caso sospetto” ai sensi dell’allegato 1 della circolare del Ministero della Salute del 27.1.2020.
In tale contesto, per “caso sospetto” si intende:
A. Una persona con infezione respiratoria acuta grave – SARI - (febbre, tosse e che ha richiesto il ricovero in ospedale), senza un'altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica e almeno una delle seguenti condizioni:
• storia di viaggi o residenza in aree a rischio della Cina, nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia; oppure
• il paziente è un operatore sanitario che ha lavorato in un ambiente dove si stanno curando pazienti con infezioni respiratorie acute gravi ad eziologia sconosciuta.
B. Una persona con malattia respiratoria acuta e almeno una delle seguenti condizioni:
• contatto stretto con un caso probabile o confermato di infezione da nCoV nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia; oppure
• ha visitato o ha lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan, provincia di Hubei, Cina, nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia; oppure
• ha lavorato o frequentato una struttura sanitaria nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia dove sono stati ricoverati pazienti con infezioni nosocomiali da 2019-nCov.
In tali casi occorrerà contattare i servizi sanitari e, nell’attesa, evitare ulteriori contatti con i malati, fornire loro maschere chirurgiche, lavare accuratamente le mani e prevenire il contatto con liquidi delle persone contagiate o con materiali infetti da queste ultime utilizzati.
Al di là di tali direttive ministeriali, rivolte direttamente nei confronti di operatori di servizi o esercizi a contatto con il pubblico, operano poi gli specifici obblighi gravanti sul datore di lavoro quale gestore responsabile della prevenzione e della protezione del “rischio biologico” nei riguardi dei propri dipendenti.
A questo proposito, con particolare riferimento alla tutela dei lavoratori stabilmente impegnati all’interno di locali aziendali ubicati nel contesto nazionale, rimangono ferme le misure intuitivamente necessarie (anche in ottica strumentale all’attuazione delle prescrizioni ministeriali da parte dei singoli) ad assicurare la salubrità degli ambienti: tra queste, l’installazione di erogatori di gel antibatterici, l’accurata pulizia degli spazi e delle superfici con appositi prodotti igienizzanti, la dotazione di guanti o mascherine protettive e simili accorgimenti.
Fermi restando tali obblighi “minimi”, l’imprenditore è poi tenuto ad accortezze ulteriori nei riguardi dei lavoratori in trasferta o distacco presso unità produttive con sede in Cina o in aree geografiche comunque ritenute “a rischio”.
Ciò in quanto anche in tali ipotesi rimane fermo l’obbligo datoriale di attuare specifiche misure di sicurezza (si veda nello specifico l’art. 18, co.1, lett. e), D. Lgs. n. 151/2015) calibrate anche in funzione delle condizioni sanitarie (si veda l’interpello Ministero del Lavoro n. 11/2016) del luogo della prestazione.
In tal senso, per fronteggiare al meglio il concreto pericolo di contagio, è sempre più frequente il ricorso delle aziende sia a forme di lavoro “da remoto” (“lavoro agile/smart-working” o telelavoro), sia a provvedimenti di sospensione della dell’attività lavorativa pur in costanza di retribuzione; iniziative, queste, che stanno trovando riscontro anche nei riguardi di lavoratori “in quarantena” dopo essere tornati in Italia da zone particolarmente esposte all’epidemia.
La stessa logica preventiva del “rischio biologico” sta poi orientando le aziende nella gestione del personale che debba recarsi in trasferta nell’area orientale o in zone “a rischio”. In tali ipotesi la tendenza appare quella di ritenere legittimo (e dunque irrilevante ai fini disciplinari) l’eventuale rifiuto opposto dal dipendente, in ragione dell’epidemia, al provvedimento di trasferta o distacco.
Così descritto il quadro attuale, rimane inteso che le misure precauzionali richieste o messe in atto da operatori e datori di lavoro potranno/dovranno progressivamente mutare alla luce dei futuri sviluppi della malattia e delle conseguenti indicazioni fornite dalle Istituzioni nazionali, dall’OMS e dagli esperti del settore.