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Cuneo fiscale: avvantaggiati i lavoratori incapienti con reddito superiore a 28.000 euro?

La riduzione del cuneo fiscale, così come delineato nel D.L. n. 3/2020, si presta ad alcune “distorsioni” applicative? La domanda trae origine dal diverso meccanismo di calcolo che sta alla base del trattamento integrativo che spetta per redditi complessivi fino a 28.000 euro rispetto all’ulteriore detrazione per i redditi superiori a tale importo e fino a 40.000 euro, in presenza di redditi da lavoro inclusi nella no tax area. Anche se non è chiaro se di tratti di un “bug” della procedura di calcolo o se è frutto di una precisa volontà legislativa, proviamo ad approfondire la questione.

Nelle ultime settimane si è parlato tanto della “riduzione del cuneo fiscale” ovvero della disciplina, introdotta dalla legge di Bilancio 2020 (art. 1, c. 7 Legge n. 160/2019) e resa operativa dal D.L. n. 3/2020.

Come noto, si tratta di una misura di favore per i contribuenti con reddito di lavoro dipendente e assimilati che scatterà a partire dal 1° luglio 2020 e che va a sostituire il vecchio “Bonus Renzi” ovvero il contributo, fino ad un massimo di 960 euro annui, per coloro che hanno un reddito complessivo non superiore a 26.600 euro.

La nuova misura risulta essere più articolata in quanto non si limita a stabilire un bonus in busta paga sulla falsariga del “Bonus Renzi”, ma, come si dirà meglio di seguito, prevede due diverse erogazioni, nettamente distinte tra loro, a partire dall’importo del reddito che il contribuente percepisce.

In sintesi, la filosofia che starebbe alla base è quella di attribuire vantaggi (sotto forma di importi in busta paga) via via decrescenti all’aumentare del reddito.

Ma le cose stanno realmente in questi termini?

La domanda sorge spontanea, in quanto, dalle prime proiezioni di calcolo, non sempre chi ha un reddito minore risulta avere un beneficio maggiore.

Per capire meglio la questione, conviene partire dai principi stabiliti dalla norma.

La nuova disposizione prevede due distinte misure agevolative, contenute, rispettivamente nell’art. 2 e 3 del D.L. n. 3/2020.

In sintesi, ai dipendenti con un reddito complessivo non superiore a 28.000 euro spetta un “bonus” (che non concorre al reddito imponibile IRPEF) pari a 600 euro, che diventeranno 1.200 dal 1° gennaio 2021 (art. 2), mentre per coloro che superano i 28.000 euro annui, ma non i 40.000 euro, è prevista una ulteriore detrazione ai fini IRPEF (art. 3).

Mentre il bonus, in presenza dei requisiti, si applica in misura “secca”, per l’ulteriore detrazione il calcolo è un po’ più articolato.

Infatti, l’ulteriore detrazione dall’imposta lorda, rapportata al periodo di lavoro, è di importo pari a:

a) 480 euro, aumentata del prodotto tra 120 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 35.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.000 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 28.000 euro ma non a 35.000 euro;

b) 480 euro, se il reddito complessivo è superiore a 35.000 euro ma non a 40.000 euro; la detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 40.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 5.000 euro.

Pertanto:

- l’importo dell’ulteriore detrazione decresce linearmente fino a raggiungere un valore di 80 euro mensili, per redditi pari a 35.000 euro;

- per la fascia reddituale da35.001 a 40.000 euro, l’ulteriore detrazione continua a decrescere linearmente fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito pari 40.000 euro.

Sono previste, però, alcune regole comuni e altre che si applicano solo ad una delle due misure.

Le regole comuni riguardano la determinazione del reddito complessivo utile a determinare quale delle due misure spetti.

Infatti, in entrambi i casi, ai fini della determinazione del reddito complessivo:

- rilevano le quote esenti dei redditi agevolati per i ricercatori rientrati in Italia (art. 44 D.L. n. 78/2010) e degli impatriati (art. 16 D.Lgs. n. 147/2015);

- non si tiene conto del reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e di quello delle relative pertinenze.

Ciò che, invece, almeno stando al tenore letterale della norma, contraddistingue il bonus rispetto all’ulteriore detrazione è che, per il primo, è espressamente prevista la non spettanza qualora l'imposta lorda determinata sui redditi da lavoro e assimilati previsti dalla norma sia di importo superiore a quello della detrazione spettante ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del TUIR).

Si tratta, in altre parole, dei contribuenti “no tax area” o “incapienti” e cioè coloro che hanno redditi inferiori a 8.145 euro (limite di reddito per il quale le detrazioni per lavoro coprono l’Irpef lorda).

Si presume che tale limite, per evidenti ragioni di uniformità, così come anche previsto per il “Bonus Renzi”, sia calcolato tenendo come riferimento reddituale, non il reddito complessivo, ma i redditi da lavoro dipendente (art. 49 TUIR) e quelli assimilati (art. 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l) TUIR), ovvero gli stessi redditi per i quali spetta il bonus.

Stranamente, però, la regola dall’esclusione dei “no tax area” non è richiamata nell’art. 3 che disciplina l’ulteriore detrazione.

Ed è proprio su questo aspetto che sorge qualche dubbio in merito all’effettiva valenza della norma.

In pratica, il non aver specificato che anche l’ulteriore detrazione non spetta per gli “incapienti” (i.e. soggetti “no tax area”), a parità di reddito di lavoro dipendente o assimilato porterebbe a risultati davvero sorprendenti e in netto contrasto con la filosofia di base della norma ovvero garantire i maggiori benefici a chi redditi più bassi.

Per capire meglio la questione è utile ricorrere ad un esempio di calcolo.

Si supponga il caso di un lavoratore dipendente con reddito da lavoro pari a 8.000 euro e altri redditi (da locazione di immobili) pari a 20.000 euro. Per semplicità di calcolo non viene effettuato alcun ragguaglio e si presume che non ci siano giorni di mancato lavoro. Le verifiche che il sostituto d’imposta deve effettuare, per capire se spetta o meno l’agevolazione sono le seguenti: 1) verificare l’importo del reddito complessivo; 2) se il reddito complessivo non è superiore a 28.000 euro, verificare la capienza dell’IRPEF sul reddito da lavoro rispetto alla detrazione Il reddito complessivo è pari a 28.000 euro (8.000 + 20.000) e pertanto, in teoria, dal 1° luglio 2020, spetterebbe il bonus di 600 euro. Passando, però, alla seconda verifica, si ha: - IRPEF lorda su reddito da lavoro: 1.840 euro; - Detrazione IRPEF per lavoro: 1.880 euro. Poiché il contribuente si trova nella “no tax area” (IRPEF lorda minore della Detrazione) non ha diritto ad alcun bonus. La situazione, a parità di reddito da lavoro, cambia radicalmente se il contribuente ha redditi più elevati. Si supponga che, ad esempio, gli altri redditi ammontino a 27.000 euro. In questo caso, il reddito complessivo è pari a 35.000 euro (8.000 – 27.000) e, pertanto, il contribuente ha diritto all’ulteriore detrazione.

Non andrebbe, però, verificata la seconda condizione sopra esposta (verifica dell’incapienza) con la conseguenza che al contribuente spetterebbe una ulteriore detrazione pari a 480 euro.

Come è evidente, a parità di reddito da lavoro “incapiente”, chi ha redditi complessivi bassi verrebbe penalizzato rispetto a chi, invece, percepisce redditi più alti, con buona pace della filosofia di fondo della norma.

Si arriva al caso limite in cui, se il contribuente supera anche di un solo euro il limite dei 28.000 euro di reddito complessivo, avrebbe diritto all’ulteriore detrazione di importo praticamente pari a quello del bonus.

Infatti, si supponga che gli altri redditi ammontino a 20.001 euro. In questo caso, il reddito complessivo è pari a 28.001 euro (8.000 – 20.001) e, quindi, il contribuente ha diritto all’ulteriore detrazione. Pertanto al contribuente spetterebbe una ulteriore detrazione pari 599,98 euro (che corrispondono a 100 euro al mese al netto di qualche centesimo).

E’ evidente la discrasia a meno che non si parta dal presupposto che, trattandosi di una “ulteriore detrazione”, se non si ha diritto alla detrazione “base” come naturale conseguenza non spetta nemmeno quella aggiuntiva anche se la norma, per come è scritta, lascia poco spazio a tale interpretazione.

In definitiva, si spera che quanto sopra riportato sia frutto di una “disattenzione” del Legislatore e che, dunque, venga corretta in fase di conversione del decreto.

Se ciò non dovesse accadere, l’auspicio è che, almeno in sede di interpretazione della norma, si faccia chiarezza sulle corrette modalità di calcolo, confermando o meno le considerazioni sopra evidenziate.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/sostituto-dimposta/quotidiano/2020/02/25/cuneo-fiscale-avvantaggiati-lavoratori-incapienti-reddito-superiore-28-000-euro

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