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Ritenute fiscali negli appalti: le “difficili” verifiche del committente

Uno dei punti focali della nuova disciplina delle ritenute fiscali negli appalti è rappresentato dai controlli che il committente deve effettuare sulle deleghe fiscali inviate nella filiera delle imprese appaltatrici. Le questioni da affrontare non appaiono semplici, atteso che la norma richiede un impegno di verifica diretto e puntuale e che, in caso di inottemperanza, il committente sarà gravato da una sanzione uguale a quella irrogata all’impresa della filiera che non ha fatto versamenti regolari o che non li ha versati puntualmente alla scadenza, senza la possibilità di alcuna compensazione fiscale o contributiva. Cosa deve verificare il committente quasi “arruolato coattivamente nei ruoli dell’Agenzia”?

Il versamento delle ritenute fiscali ed i controlli da parte del committente nei contratti di appalto rappresentano il punto "focale" della nuova disposizione del decreto fiscale 2020 (art. 4 del D.L. n. 124/2019).

I ritardi nella emanazione della circolare ed i dubbi che hanno, da subito, investito gli "addetti ai lavori" sono stati, ora, in parte chiariti dalla circolare n. 1/E del 12 febbraio 2020 dell’Agenzia delle Entrate, soprattutto nella parte in cui si afferma che l'esclusione di qualsiasi compensazione non riguarda quelle somme che il contribuente ha anticipato per conto dello Stato come, ad esempio, il credito di imposta per il "Bonus Renzi".

Particolarmente complesso, anche per i possibili effetti sanzionatori, appare il controllo del committente per il quale i dati che le imprese della filiera trasmetteranno con le copie delle deleghe di versamento IRPEF potrebbero non essere sufficienti: ci si riferisce, ad esempio, al reddito complessivo o al numero dei familiari a carico che non risultano citati nella documentazione che va trasmessa.

L'apparato sanzionatorio si presenta abbastanza pesante essendo il committente, sostanzialmente, destinatario delle stesse sanzioni che gravano sull'appaltatore o sul subappaltatore o affidatario inadempiente.

La circolare precisa che le sanzioni hanno una natura amministrativa e non tributaria con la conseguenza che trovano applicazione i principi della legge n. 689/1981.

A partire dal 17 febbraio 2020 il versamento delle ritenute fiscali operate nei confronti dei lavoratori impiegati direttamente nella esecuzione dei servizi e delle opere commissionate (laddove si registrino tutti i presupposti di applicabilità) cambia radicalmente: a quella data sono state versate le ritenute relative al mese di gennaio. In ogni caso, regola che vale per sempre, laddove si sia in presenza di pagamenti “sfasati” per attività svolta nel mese precedente ma pagata nel mese successivo (esempio, attività di febbraio pagata a marzo), l’obbligo scatterà nel mese successivo (nell’esempio fatto scatterà il 16 aprile), come chiarito espressamente nella circolare n. 1/E.

Va utilizzato, infatti, un F24 per ogni committente e, secondo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, in presenza di più appalti, le ritenute vanno effettuate in proporzione considerando anche, ad esempio, le assenze dovute a ferie, permessi o malattia, nonché le addizionali IRPEF comunali e regionali. Conseguentemente, se un lavoratore risulta in parte utilizzato nell’appalto e in parte presso la sede del proprio datore di lavoro occorrerà intestare con il codice di riferimento al committente unicamente la quota proporzionale, secondo le indicazioni fornite con la risoluzione n. 109/E del 24 dicembre 2019. Nel riproporzionamento vanno escluse le retribuzioni arretrate ed il TFR. La quota ove non si applica la nuova normativa (perché di stretta pertinenza dell’appaltatore in quanto i lavoratori hanno prestato la propria attività unicamente in favore del proprio datore) va versata dallo stesso attraverso un separato modello F24 ove, ovviamente, non si fa riferimento ad alcun committente. Il divieto di compensazione non si applica alle somme che il contribuente ha anticipato per conto dello Stato come, ad esempio, il credito d’imposta del c.d. “bonus Renzi” o le eccedenze di IRPEF versate, per errore, al fisco.

Le copie delle deleghe di versamento, da inviare al committente (preferibilmente via PEC) entro i 5 giorni successivi al versamento, riguardano tutti i lavoratori impiegati direttamente nell’opera o nel servizio commissionato a prescindere che gli stessi siano stati impiegati con un rapporto di natura subordinata od autonoma come, ad esempio, una collaborazione. Ovviamente, ciò prescinde dal fatto che, magari, successivamente, controlli da parte degli organi ispettivi possano contestare la genuinità di alcune tipologie contrattuali. Le deleghe vano accompagnate da altri elementi, necessari per i controlli del committente: elenco nominativo dei soggetti che hanno operato direttamente nella esecuzione dell’opera o del servizio, codici fiscali, numero delle giornate o delle ore lavorate, ammontare delle retribuzioni o dei compensi (per gli autonomi) corrisposti, dettaglio delle ritenute di natura fiscale.

Il committente deve effettuare una serie di controlli relativi alle deleghe fiscali e per tale motivo il Legislatore ha imposto alle imprese della filiera coinvolte la trasmissione di una serie di dati

Le questioni da affrontare non appaiono molto semplici, atteso che la norma richiede un impegno di verifica diretto e puntuale e non pare assolutamente ammissibile un semplice comportamento burocratico che si limiti alla sola ricezione delle deleghe di versamento.

Dico questo perché, in caso di inottemperanza, lo stesso sarà gravato di una sanzione uguale a quella irrogata alla impresa della filiera che non ha fatto versamenti regolari o che non li ha versati puntualmente alla scadenza, senza la possibilità di alcuna compensazione fiscale o contributiva.

Le domande che mi pongo sono queste:

1. Il committente è in possesso di tutti gli elementi per la valutazione?

2. Sono sufficienti quelli che richiama espressamente il Legislatore come gli elenchi nominativi dei lavoratori interessati, il codice fiscale, il dettaglio delle ore lavorate e l’ammontare delle retribuzioni corrisposte collegate alle loro prestazioni ed il dettaglio delle ritenute fiscali?

La risposta che, indirettamente, si correla anche alle responsabilità economiche nei confronti dei lavoratori (senza possibilità di escussione) entro i due anni dalla cessazione dell’appalto, e contributive, in maniera solidale (qui la prescrizione è quinquennale come, di recente, ricordato dall’INL), in forza dell’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003, è che, non tutti gli elementi sono a sua disposizione. Ovviamente, in presenza di un contratto applicato non particolarmente rappresentativo, o del riconoscimento di “una indennità di trasferta” erogata per sfuggire agli oneri fiscali e contributivi ha, forse, i mezzi per intervenire sull’appaltatore per i prossimi versamenti, ma su altre informazioni come il reddito complessivo o i familiari a carico, che sono necessari nella elaborazione dei cedolini, non credo che il committente sia in grado di saperne più di tanto.

Proprio con riferimento alle casistiche correlate ad un uso improprio dell’istituto della “trasferta” la nota dell’Agenzia delle Entrate ricorda al committente che deve chiederne le motivazioni agli affidatari e che questi sono tenuti a fornire le loro spiegazioni. Sul punto la circolare afferma che il committente deve verificare che la retribuzione oraria non sia manifestamente incongrua con una valutazione in base alla quale lo stesso deve verificare la correttezza dell’ammontare delle retribuzioni in rapporto al CCNL. Questa valutazione, sebbene supportata da una percentuale empirica prevista dall’Agenzia delle Entrate (che esaminerò tra un attimo) pone problemi di applicazione del contratto collettivo in settori ove ce ne sono a “bizzeffe” (al CNEL sono depositati oltre 850 CCNL, molti dei quali di dubbia o scarsa rappresentatività).

Come dicevo, l’Agenzia delle Entrate ritiene di affermare che le ritenute fiscali non saranno manifestamente incongrue allorquando siano superiori al 15% della retribuzione imponibile ai fini fiscali (ad esempio a fronte retribuzioni imponibili per 20.000 euro, si ritiene congruo un versamento di imposte superiore a 3.000 euro).

Il committente, al di là dei dati che le imprese della filiera sono obbligate a trasmettere mensilmente, deve, a mio avviso, essere in grado di conoscere i giorni o le ore di effettiva presenza nella sede: di qui la necessità di dotarsi di un sistema di rilevazione che, però, potrebbe confliggere con alcuni aspetti lavoristici.

Il committente (sostanzialmente, “arruolato coattivamente nei ruoli dell’Agenzia”) deve verificare, altresì, che le ritenute fiscali siano state versate senza alcuna compensazione con crediti di natura fiscale o contributiva, con la sola eccezione di quelli maturati per aver anticipato somme di denaro ai propri dipendenti per conto dello Stato (rimborsi corrisposti per assistenza fiscale, conguaglio di fine anno o per cessazione di rapporto, crediti derivanti da eccedenze di versamento di ritenute).

La circolare n. 1/E, nella tabella 1, (pag. 26) riporta i codici tributo da indicare nel modello F24 per recuperare, in compensazione, i crediti maturati dai sostituti di imposta ove non sussiste il divieto di compensazione di cui parla l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 17-bis.

Qualora il committente accerti incongruità nei versamenti (od omissione) ed assenza di documentazione probante (deleghe di versamento e le altre informazioni previste) ha l’obbligo di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice: tale credito deve essere certo, liquido ed esigibile, con esclusione dei pagamenti già avvenuti a titolo di anticipo. La sospensione dei pagamenti dura fino a quando l’inadempimento viene sanato: la somma “vincolata” è pari fino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’appalto o, in alternativa, pari all’ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa.

Rispetto alle due ipotesi la circolare afferma che la trattenuta del 20% trova applicazione nel caso in cui non sia stata trasmessa la documentazione, mentre il caso di versamento non congruo potrà essere trattenuta una somma pari alla minore tra le due evidenziate dal Legislatore. All’impresa appaltatrice od affidataria viene esclusa ogni possibilità di azione esecutiva per il soddisfacimento del credito “sospeso” (perché così’ afferma l’art. 4 del D.L. n. 124/2019) mentre sul committente grava l’onere di relazionare l’Agenzia competente per territorio nei novanta giorni successivi al riscontro dell’inadempimento.

Una considerazione sul blocco dei pagamenti appare necessaria: la posizione del Legislatore è giusta, pur se una sospensione prolungata potrebbe generare, anche “a cascata” riflessi negativi sulla filiera in quanto una carenza di liquidità potrebbe portare a difficoltà nel pagamento delle retribuzioni del personale impiegato direttamente nelle opere e nei servizi e, al contempo, va anche considerato che una richiesta di integrazione salariale ordinaria, presentata da azienda che, potenzialmente, potrebbe farla, non avrebbe alcuna possibilità di essere accolta, essendo la “ratio” della stessa, strettamente correlata ad un inadempimento normativo del richiedente.

I nuovi obblighi di controllo in capo al committente (inteso, dalla circolare, “in senso lato”, in quanto tale qualifica, ricorrendo i presupposti, si ha anche all’interno della filiera tra appaltatore e subappaltatore), previsti ai commi 1 e 3 dell’art. 4, generano, in caso di inottemperanza, precise sanzioni, atteso che lo stesso è tenuto al versamento di una somma pari alla sanzione che viene irrogata all’impresa appaltatrice, subappaltatrice od affidataria per il mancato, inesatto  o tardivo versamento, senza la possibilità di alcuna compensazione.

La sanzione nei confronti del committente presuppone che all’impresa, responsabile delle violazioni, siano state già comminate le relative sanzioni: essa, in ogni caso, non è dovuta se l’impresa della filiera si sia avvalsa del ravvedimento operoso ex art. 13 della legge n. 472/1997, prima della contestazione da parte degli organi deputati al controllo.

Il committente, ricorda la circolare, non è “chiamato in causa” per eventuali altre violazioni tributarie commesse dalla impresa della filiera e non espressamente richiamate.

Un passaggio importante della nota dell’Agenzia delle Entrate è, poi, quello che definisce la sanzione ex comma 4 dell’art. 17-bis, di natura amministrativa e non tributaria, perche non correlata alla violazione delle disposizioni sul rapporto fiscale, con la conseguenza che alla stessa si applicano i principi generali sull’illecito amministrativo contenuti nella legge n. 689/1981 (legalità, riserva di legge, irretroattività, divieto di estensione analogica, azione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa del trasgressore, distinzione dalla responsabilità solidale, ecc.). Applicazione della legge n. 689/1981 significa anche applicazione dell’art. 16 che consente il pagamento di una sanzione ridotta pari alla terza parte del massimo o, se più favorevole, qualora sia stabilito, pari al doppio del minimo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata e, se questa non vi è stata (e questo è il caso), dalla notificazione degli estremi della violazione.

Nell’ultimo capoverso della lunga e complessa circolare, l’Agenzia delle Entrate, stabilisce una sorta di sanatoria fino al 30 aprile 2020: nel caso in cui l’appaltatore abbia correttamente effettuato i versamenti fiscali, senza utilizzare per ciascun committente le specifiche deleghe, non verrà contestata al committente alcuna violazione ex comma 4 dell’art. 17-bis, relativa al mancato rispetto di quanto previsto ai precedenti commi 1 e 3, a condizione che allo stesso sia stata fornita entro la data sopra indicata, tutta la documentazione richiesta dalla norma.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/03/04/ritenute-fiscali-appalti-difficili-verifiche-committente

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