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Archivio newsImprese e due diligence: l’UE chiede maggiori tutele per l’ambiente
Solo un’impresa europea su tre esercita la “dovuta diligenza” nel verificare l’impatto delle proprie operazioni sull’ambiente e sui diritti umani. Lo afferma uno studio della Commissione UE da cui emerge che la maggioranza delle aziende non rispetta i principi guida ONU che impongono di agire con ragionevole attenzione e di prendere una decisione solo dopo aver individuato, gestito e comunicato i rischi nella catena di approvvigionamento. Per l’Esecutivo UE, le imprese non devono concentrarsi troppo sui risultati finanziari a breve termine, ma, in un’ottica più a lungo termine, indirizzare le proprie politiche al rispetto delle persone e dell’ambiente.
Il 20 febbraio 2020, la Commissione europea ha pubblicato i risultati di uno studio sugli obblighi di “due diligence” delle imprese lungo la catena di approvvigionamento, dal quale emerge che nell'UE solo un’impresa su tre eserciterebbe la dovuta diligenza per quanto riguarda l’impatto sui diritti umani e sull’ambiente.
Sotto tale profilo, dunque, “dovuta diligenza” può indicare, ad esempio, l’obbligo delle imprese di controllare i propri fornitori e le proprie operazioni in modo da poter essere sicure di “non nuocere”, comportando la necessità di verificare che i fornitori non sfruttino il lavoro minorile o non danneggino l’ambiente.
Lo studio è stato avviato nel dicembre 2018 nel quadro del piano d'azione della Commissione europea per finanziare la crescita sostenibile, si inserisce anche negli obiettivi del Green Deal europeo, in base al quale la sostenibilità deve essere ulteriormente integrata nelle norme sul governo societario in tutta l'UE, dato che molte imprese – osserva la si concentrano troppo sui risultati finanziari a breve termine rispetto agli aspetti relativi allo sviluppo e alla sostenibilità a lungo termine.
La questione è molto delicata se si pensa ai numerosissimi e rilevanti impatti che le imprese possono avere in questi due ampi ambiti: abusi dei diritti umani, lesioni personali gravi o rischi per la salute, danni ambientali, anche in relazione al clima. Lo scopo dichiarato dello studio, per adesso disponibile solo in lingua inglese con il titolo “Study on due diligence requirements through the supply chain”, è quello di:
- fornire un esame dettagliato della normativa esistente e proposte di due diligence nelle operazioni delle società e attraverso la catena di approvvigionamento per gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente, anche in relazione ai cambiamenti climatici;
- sviluppare e valutare opzioni normative nonché le percezioni iniziali delle parti interessate in merito a possibili opzioni normative.
A tal fine, più in dettaglio, lo studio esamina le pratiche di mercato e i quadri normativi esistenti, nonché le opzioni per regolare la due diligence nelle operazioni delle società e attraverso la loro catena di approvvigionamento.
Grazie a una serie di ricerche documentali, analisi Paese per Paese, interviste, case study e sondaggi, gli autori – rispettivamente gli studiosi del British Institute of International and Comparative Law, del Civic Consulting, della DG per la Giustizia e i Consumatori della Commissione europea e della LSE (The London School of Economics and political science) – hanno identificato le pratiche e le percezioni relative alle “opzioni normative” (che vanno dal “non intervento” alla due diligence obbligatoria), tenendo conto degli impatti economici, degli impatti sulle autorità pubbliche, dei diritti sociali, dei diritti umani e degli impatti ambientali.
A livello comunitario, non esistono ancora strumenti legalmente vincolanti per le imprese ma nel 2011 sono stati adottati i principi guida ONU in materia di diritti umani e imprese multinazionali (UN Guiding Principles on Business and Human Rights, UNGPs) che per la prima volta hanno introdotto la “human rights due diligence”, fornendo un quadro riconosciuto e autorevole che ben presto è diventato un punto di riferimento internazionale al quale si stanno ispirando varie proposte legislative, anche di Stati Ue, pur rimanendo uno strumento di soft law.
Proprio lo studio europeo pone in rilievo che i principi guida ONU vengono sempre più introdotti negli standard giuridici o proposti negli Stati dell’UE: a fronte di ciò, però, solo una impresa europea su tre sta attualmente adottando la “dovuta diligenza” che tiene conto di tutti diritti umani e impatti ambientali.
Un’alta percentuale dei partecipanti al sondaggio effettuato per la realizzazione dello studio (il 70% dei 334 partecipanti) hanno indicato che una regolamentazione a livello UE su un requisito generale di dovuta diligenza per i diritti umani e gli impatti ambientali – altre parole, l’introduzione di un obbligo generale di due diligence su questi temi - potrebbe essere vantaggiosa per le imprese.
In merito, il Commissario per la Giustizia, Didier Reynders, ha dichiarato che “Secondo le imprese, una normativa UE in quest’ambito garantirebbe la certezza del diritto e regole armonizzate sul dovere delle imprese di rispettare le persone e il pianeta. Poiché la neutralità climatica è una delle principali priorità di questa Commissione, farò in modo che i risultati di questo importante studio siano tenuti in considerazione nell’elaborazione delle iniziative future."
In attuazione dei principi guida ONU, nel 2011 è stato inserito nelle linee guida dell'OCSE un Capitolo IV, intitolato “Diritti umani”, dedicato al dovere delle imprese di rispettare i diritti umani sempre e comunque (a prescindere dall’impegno profuso dai singoli stati nella tutela dei medesimi): in tal modo si è cercato di sollecitare – come si legge nel sito PCN Italia, Punto di contatto Nazionale, del MiSE – “nuovi approcci nella gestione delle attività imprenditoriali in territori ad alto rischio di impatto negativo e sviluppare procedure e meccanismi efficaci ed efficienti capaci di tradurre le indicazioni delle Nazioni Unite in iniziative concrete per la prevenzione e tutela delle vittime”.
A latere si segnala che il 1° gennaio 2021 entrerà in vigore un regolamento UE sui minerali provenienti da zone di conflitto, che ha il fine di contrastare il commercio di quattro minerali (stagno, tantalio, tungsteno e oro), i quali a volte finanziano conflitti armati o sono estratti ricorrendo al lavoro forzato.
Sempre in attuazione dei principi guida ONU su imprese e diritti umani, il Governo italiano ha presentato il 15 dicembre 2016 il Piano di azione nazionale su impresa e diritti umani 2016-2021.