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Archivio newsGoverno e Sindacati uniti contro il Coronavirus. In più, un’altra strada…
Unirsi per trovare, attraverso il confronto, le soluzioni più opportune. In questo senso, le parti sociali hanno sottoscritto con il Governo un protocollo per contrastare l’epidemia di Covid-19 nei luoghi di lavoro. Nel protocollo si parla di prevenzione, di sanificazione degli ambienti di lavoro, dell’uso dei dispositivi di protezione individuale, dell’adozione di metodi di organizzazione alternativi alla presenza negli uffici e nelle officine, di estensione degli ammortizzatori sociali a tutto il personale delle aziende… Ma non basta. Riprendiamo il decreto 81, Testo Unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: è necessario un suo aggiornamento. Gli accadimenti di questi giorni dimostrano che dobbiamo definire il rischio epidemia come una forma di pericolo imminente in qualsiasi momento. Per non essere impreparati!
“È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme.” Questo aforisma di Johann Wolfgang Goethe dipinge nel modo più efficace la necessità che questo Paese ha davanti a sé. Unirsi, non nel senso di rinunciare alla dialettica politica e istituzionale: tutt’altro. La dialettica non è solo l’architrave della democrazia, ma anche il metodo per la ricerca delle soluzioni.
Unirsi per trovare, attraverso il confronto, le soluzioni più opportune.
In questo senso, il 14 marzo scorso, le parti sociali hanno sottoscritto un Protocollo in merito all’implementazione di efficaci misure di precauzione da adottate per contrastare l’epidemia di Covid-19 nei luoghi di lavoro.
Quanto sia delicata la questione è ovvio.
Perché, per quanto possibile, si deve evitare un conflitto tra l’inderogabile, umano diritto alla salute di lavoratrici e lavoratori e il mantenimento dell’operatività delle imprese in un Paese nel quale il sistema economico è già messo a dura prova dalla sua fragilità strutturale. Ciò, ancor più nei giorni in cui si sta accendendo una brutale recessione globale. In poche parole, come sintetizza la premessa al documento sottoscritto dalle parti sociali - invitate a confrontarsi sulla questione dal presidente del Consiglio dei Ministri con il sostegno dei ministri della Salute, dell’Economia, del Lavoro e dello Sviluppo Economico - che recita: “La prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione”.
È nato così un piano composto da tredici linee guida. Al centro, l’adozione di protocolli di sicurezza indirizzati a evitare il contagio, accompagnati da indicazioni operative relative a tale forma di sicurezza in ambienti di lavoro non sanitari. Si parla, in sintesi, di modalità operative relative ad ambiti come l’ingresso nell’ambiente di lavoro, l’uso dei dispositivi di protezione individuale, caratteristiche degli spazi comuni e, naturalmente, sorveglianza sanitaria.
Come buona prassi in merito a salute e sicurezza sul lavoro, è riconosciuta grande importanza all’informazione: le aziende devono informare i lavoratori in merito alle disposizioni delle autorità pubbliche, rendendo disponibili e chiaramente visibili materiali sull’argomento.
Prima priorità, la prevenzione: come l’obbligo di rimanere a casa quando si manifestano alterazioni della temperatura corporea o se si avvertono sintomi influenzali. Chiaro l’invito a rapportarsi con la catena sanitaria pubblica a partire dai medici di famiglia. Per poi passare alle azioni di prevenzione nei luoghi di lavoro come i controlli della temperatura nel momento dell’accesso in azienda e l’interdizione per chi, negli ultimi 14 giorni, possa essere stato in contatto con persone positive al Coronavirus o in aree di epidemia.
Sono, ancora, regolate le modalità di accesso dei fornitori: per il loro transito vanno definiti modalità e percorsi opportuni insieme ai tempi di consegna, in modo tale da ridurre i contatti con il personale. Ove possibile, gli autisti devono restare a bordo dei mezzi e ne viene evitato l’accesso a locali e uffici.
Un punto fondamentale è la sanificazione e pulizia giornaliera degli ambienti di lavoro e delle aree comuni. Con una forte enfasi sulle precauzioni igieniche da curare costantemente da parte di tutti gli addetti. Va, inoltre, ben regolato l’accesso a spazi come mense aziendali, spogliatoi, aree fumatori, con un contingentamento delle presenze e dei tempi di permanenza e una regolazione chiara delle distanze da mantenere.
Vi è poi il capitolo - abbiamo visto nelle cronache quanto sia critico - dei dispositivi di protezione individuale (DPI). È resa obbligatoria la mascherina per chiunque lavori a meno di un metro di distanza dai colleghi. Analogamente, è d’obbligo l’utilizzo di altri DPI: guanti, occhiali, tute, cuffie e camici, che devono essere conformi alle disposizioni scientifiche e sanitarie. E si deve - è necessario metterlo in evidenza - riflettere su quanto sia difficile, in questa fase, rintracciare DPI a norma e a prezzi congrui. Credo sia una questione politica rilevante l’avvio di produzioni anche nazionali e la distribuzione sul mercato di dispositivi che sono fondamentali nella vita quotidiana e non solo lavorativa.
Alla adozione delle misure di prevenzione segue la gestione dei possibili casi di infezione. Se in un addetto emergono sintomi collegabili al Coronavirus, oltre al suo isolamento, si dovrà procedere anche a quello delle persone con le quali è stato in contatto e andranno attivate le autorità competenti e i numeri di emergenza forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute. L’impresa diviene, dunque, soggetto attivo del sistema di risposta all’allarme Coronavirus.
La vicenda dell’epidemia ha portato in primo piano anche l’adozione di metodi di organizzazione del lavoro alternativi - o riduttivi - alla presenza negli uffici e nelle officine. In primo luogo, con la rinuncia alle riunioni così come all’erogazione di formazione in aula. Ove necessario, si favorisce l’adozione di orari scaglionati per ridurre al minimo i contatti tra colleghi. Va, in questo senso, rivista la turnazione e si devono rimodulare i livelli produttivi. Di conseguenza, si apre il capitolo del “lavoro da casa”, ossia, dello smart working. La modalità di lavoro da remoto deve essere adottata per tutte le attività nelle quali si può operare a distanza. Nel caso si giunga alla necessità di adottare gli ammortizzatori sociali, le parti hanno convenuto di valutare sempre la possibilità, mediante rotazioni, che essi riguardino tutto il personale.
Questo, in sintesi, il panorama delle azioni condivise dalle parti sociali.
Ora, questo primo Protocollo risponde alla logica espressa da Goethe nel suo aforisma che abbiamo citato all’inizio. Quel far qualcosa che si è concretizzato in un’unità di intenti e di azioni tra le parti sociali e il Governo. Pochi giorni più tardi, lo sviluppo del dibattito intorno all’emanazione del D.P.C.M. 22 marzo - che ha definito quali fossero le produzioni essenziali e quelle non essenziali - ha aperto una fase diversa con l’accendersi di un duro dibattito in merito alla chiusura delle fabbriche e delle attività. Qui, le imprese e i sindacati dei lavoratori, hanno espresso priorità anche comprensibilmente diverse, che andavano ricomposte. È, d’altronde, oggettivo che mai nella storia si è dovuto stilare un elenco che distinguesse, tra tutte le attività produttive, quelle essenziali e quelle no. Facendolo, per di più, nelle more di una strettissima urgenza.
Il 25 marzo, nel confronto tra sindacati e Governo, è giunta la soluzione. I codici Ateco sono stati ricondotti alle attività essenziali: questo consente di non mettere in contrapposizione tutela della salute dei lavoratori e attività produttive. Secondo l’Istat, le imprese le cui attività non sono state sospese fino a oggi risultano essere il 48,7%, cioè circa 2,2 milioni rispetto a un totale di 4,5 milioni di aziende. Dopo questa ulteriore intesa, il Protocollo stipulato tra le parti sociali prende forza e deve trovare piena applicazione per quanto riguarda le misure di prevenzione.
Una considerazione conclusiva. Quando ero ministro del Lavoro del secondo Governo Prodi, ho promosso il decreto 81, Testo Unico su Salute e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro. Oggi, mi sento di sostenere - al di là del fatto che debba essere attuato nella sua interezza, cosa non ancora avvenuta a quasi dodici anni dalla sua promulgazione - che i fatti dimostrano quanto sia necessario un suo aggiornamento. Nel senso che gli accadimenti di questi giorni dimostrano che dobbiamo definire il rischio epidemia - e pandemia - come una forma di pericolo chiaro ed imminente in qualsiasi momento.
La nostra intera organizzazione sociale si è dimostrata impreparata e terribilmente vulnerabile. Ciò vale per ogni aspetto della nostra vita e dei nostri rapporti sociali. Ancor più, vale per il lavoro.