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Archivio newsLo smart working cambia (e cambierà) il lavoro anche dopo il Coronavirus
A seguito dell’emergenza Coronavirus, attraverso lo smart working è passata la continuità di molte attività. L’Italia non si è fermata del tutto. Ma il modo di lavorare che molte aziende hanno “dovuto adottare” è un cugino “un po’ bruttino” del vero smart working. Ma come si sa … di necessità virtù. Resta il fatto che ciò che l’Italia sta vivendo è una prova di come alcuni paradigmi dell’organizzazione delle imprese siano ormai superati: dopo questa emergenza le aziende che si sono avvicinate a nuove modulazioni degli orari e degli spazi di lavoro procederanno verso un miglioramento dei sistemi per ottimizzare le risorse e armonizzare i tempi professionali e personali dei lavoratori. La crisi porterà opportunità. E le imprese più lungimiranti questo lo percepiscono e utilizzeranno questi periodi per progettare il prossimo futuro. Che in parte, è già presente.
Nell'ambito delle prime misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, con D.P.C.M. del 1° marzo 2020, è stata prevista una procedura semplificata per accedere al smart working. Le disposizioni in materia che si sono susseguite unitamente a quelle che hanno fortemente limitato gli spostamenti su tutto il territorio nazionale ed hanno reso il lavoro agile elemento esperienziale per gran parte dei lavoratori italiani. Quella modalità di esecuzione del lavoro, fuori dagli uffici o dagli stabilimenti produttivi e senza prescrizioni di orari prefissati, della quale si era tanto parlato nei convegni specialistici, diventava il modo più usuale di rendere la prestazione lavorativa.
Il D.P.C.M. dell'11 marzo 2020 si raccomandava poi che venisse attuato il massimo utilizzo, da parte delle imprese, del lavoro agile per le attività che potessero essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza. Sarà poi il D.L. n. 18/2020 del 17 marzo 2020 a ribadire la portata della disposizione sia per lavoratori privati che pubblici.
Attraverso lo smart working è passata la continuità di molte attività di servizio. L’Italia non si è fermata del tutto.
Viene, però, da chiedersi se il lavoro agile (smart working è il suo omonimo anglofono) che oggi stiamo vivendo sia esattamente quello disciplinato dalla normativa d’origine, la legge n. 81/2017, o sia qualcosa di diverso.
Cominciamo con il dire che la cifra distintiva dello smart working sta nel rendere una prestazione lavorativa in un arco temporale definito (orario di lavoro giornaliero) senza vincoli nè di tempo, nè di luogo. Quindi, una cosa molto lontana dal telelavoro che, invece, prevede una postazione fissa e generalmente ritmi di lavoro predefiniti. Il lavoro agile può essere reso ovunque e alternando periodi di lavoro a pause senza alcuna etero organizzazione. Balza immediatamente agli occhi la differenza organizzativa tra lo smart working emergenziale vissuto in questi giorni e quello prima descritto. La mobilità limitata ha, di fatto, avvicinato lo smart working al telelavoro.
Altra differenza tra l’emergenza e l’ordinario è rinvenibile nell’atto di origine della modalità di lavoro agile. Un atto unilaterale oggi, scelta dell’imprenditore, ed un accordo modalità “ordinaria”. La richiamata legge n. 81/2017 prevede, infatti, che sia un accordo tra le parti, al quale spetta definire gli elementi organizzativi della prestazione, a dare origine allo smart working sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.
Ulteriore elemento di differenza sta proprio nell’alternanza tra momenti di lavoro smart e presenza presso la sede lavorativa. Il lavoro è di per sè anche, se non soprattutto, inserimento in una organizzazione. La legge del 2017 ha precisato che qualunque siano le modalità organizzative del lavoro agile debba essere previsto un rientro del lavoratore in sede per confronto diretto con i superiori, socializzazione con i colleghi ed esercizio dei suoi diritti sindacali. Oggi il rientro in ufficio è impedito proprio dalle disposizioni di carattere generale.
Ultimo punto che vale la pena sottolineare è la finalità dello smart working. Per la legge 81 è quella di efficientare il sistema produttivo, ridurre tempi di spostamento, armonizzare tempi privati e lavorativi. Oggi, invece, la finalità dello smart working è quella di ridurre la circolazione delle persone e contrastare il diffondersi dell’epidemia.
E’ chiaro, quindi, che il modo di lavorare che moltissime aziende hanno “dovuto adottare” per garantire la loro continuità, e quindi la anche loro sopravvivenza, sia un cugino “un po’ bruttino” del vero smart working. Ma come si sa … di necessità virtù.
Ciò che l’Italia sta vivendo in questo periodo è una grande prova generale di come alcuni paradigmi classici dell’organizzazione delle imprese siano ormai superati. Siamo certi che dopo questa emergenza molte modalità organizzative delle imprese cambieranno. Le aziende che si sono avvicinate a nuove modulazioni degli orari e nuove organizzazioni degli spazi di lavoro procederanno verso un miglioramento dei sistemi per ottimizzare le risorse e meglio armonizzare i tempi professionali e personali dei lavoratori.
Avendo rilevato, sia pure in modo emergenziale e disorganizzato, che in video call si ottimizzano tanti tempi di interminabili riunioni fisiche, saranno ripensati tanti modelli organizzativi, tante attività rese in trasferta verrano meno, con gran risparmio di tempo e di costi aziendali.
Imprese che sono in crescita occupazionale cominceranno a farsi bene i conti sull’effettivo spazio fisico da impiegare. Fino ad oggi siamo cresciuti considerando metri quadrati moltiplicato il numero massimo di lavoratori. Risultato? Tanti spazi spesso inutilizzati e costi importanti per locazione, climatizzazione, pulizia, allestimento. Domani ragioneremo su media di presenze in sede e postazioni mobili. Il datore di lavoro ha imparato ad assegnare obiettivi ai suoi collaboratori, a controllare più il raggiungimento degli stessi che le modalità o il tempo impiegato. Diversi studiosi dell’organizzazione d’impresa e giuristi del lavoro si interrogano se oggi la variabile retribuzione a tempo sia ancora l’unica praticabile in un rapporto di lavoro subordinato.
Insomma, da questa prova generale il lavoro, specialmente quello intellettuale e nei servizi, fa un enorme passo avanti. Si smarca dalla dinamica del controllo spazio temporale per ricondursi ad una più diretta connessione alla sua utilità. Al risultato.
Insieme ad aspetti organizzativi e giuridici, lo smart working diffuso ci obbliga a ragionare sulla sicurezza della rete internet essenziale per ogni lavoro a distanza. La pandemia di COVID-19 ha scatenato anche la pandemia del cybercrime: viviamo e stiamo subendo un'impennata vertiginosa negli attacchi informatici. Oggi dobbiamo confrontarsi con uno scenario inedito: lavoratori in smart working (che operano anche con dispositivi personali), virus informatici e accessi incontrollati ai server e maggiori cyber risk legati al fattore umano. Siamo di fronte a un mondo del Criminal Hacking che si sta "democratizzando" e sta diventando sempre di più Cyber Crime as a Service e spesso Cyber Crime ready to use. Considerato l’approccio opportunistico da parte dei criminali informatici e tenuto conto dell’aumento di accessi da remoto da parte dei dipendenti sarà necessario correre più presto ai ripari per evitare grossi guai. Il numero di email non richieste o sospette, dietro le quali si nascondono minacce gravi ai patrimoni informativi aziendali, è in vertiginoso aumento.
Tra le evidenti luci ed ombre che ogni umana esperienza porta con sè possiamo registrare come i nuovi modelli organizzativi siano, però, ormai entrati nel tessuto lavorativo anche delle piccole imprese. In vista di una graduale, si spera prossima, ripresa dell’ordinaria attività lavorativa l’alternanza tra presenze in sede ed attività casalinga sarà il modo più semplice e meno impattante, anche dal punto di vista della sicurezza del lavoro, per far ripartire le imprese. La parola crisi deriva dal verbo greco Krino separare, aggiornare, cambiare. La crisi è, pertanto, un cambiamento repentino che porta con se opportunità. I più veloci sapranno coglierle. Tutto ciò ci ricorda quanto teorizzato dall’economista Joseph A. Schumpeter come “distruzione creatrice”, cioè l’evoluzione che sta al centro dello sviluppo economico e che ha per base l’innovazione. Le imprese più lungimiranti questo lo percepiscono e utilizzeranno questi periodi di forzosa attività a distanza per progettare il prossimo futuro. Che in parte, è già presente.