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Archivio newsCassa integrazione ordinaria o in deroga: il Ministero del lavoro spiega come chiederla
Il Ministero del lavoro, con la circolare n. 8 del 2020, ha fornito le prime indicazioni sugli ammortizzatori sociali con causale “COVID-19” previsti per la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna e per quelli successivamente estesi a tutto il Paese attraverso con il decreto Cura Italia. L’analisi della circolare restituisce, a imprese e professionisti, chiarimenti utili sull’iter da seguire per l’invio delle domande di trattamento ordinario di integrazione salariale per le aziende che si trovano già in CIGS. Non altrettanto può dirsi invece per le indicazioni fornite sulla Cassa integrazione in deroga e ordinaria. Quali aspettano restano irrisolti e quali sono le possibili soluzioni?
Finalmente! Con la circolare n. 8 dell'8 aprile 2020, firmata da ben due Direttori Generali e con l’avallo dell’Ufficio Legislativo, il Ministero del Lavoro ha fornito le sue prime indicazioni sugli ammortizzatori sociali con causale “COVID-19” previsti con il D.L. n. 9 del 2 marzo 2020 per la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna e per quelli successivi che sono stati estesi a tutto il Paese attraverso il decreto Cura Italia (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020).
Fortunatamente l’INPS, attraverso due proprie circolari ed un cospicuo numero di messaggi ha fornito agli operatori (aziende, sindacati, lavoratori) le proprie linee di indirizzo che hanno consentito di mettere in moto la complessa macchina procedurale che, è bene non dimenticarlo, ha visto interessati agli ammortizzatori sociali un intero Paese dalle micro aziende alle imprese con decine di migliaia di dipendenti.
Ma, andiamo con ordine ad esaminare ciò che ha detto il Dicastero del Lavoro.
Su questi punti si può, senz’altro, sostenere come la nota ministeriale si caratterizzi come puramente descrittiva e ripetitiva di quanto già affermato dall’Esecutivo negli articoli richiamati dai decreti legge n. 9 e n. 18 e di quanto già detto dall’INPS nelle proprie indicazioni amministrative.
Di conseguenza, parlando della crisi dovuta al coronavirus, concernente i territori delle “zone rosse” di Codogno e di Vò e, poi, delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e, successivamente, di tutta Italia, i Direttori Generali ricordano che:
a) I datori di lavoro con unità produttive ubicate nelle “zone rosse” possono presentare istanza per accedere al trattamento di CIGO o all’assegno ordinario per le ipotesi di sospensione o riduzione oraria previsto dal FIS per i loro dipendenti o anche le imprese situate fuori dalle “zone rosse” ma residenti o domiciliate nelle stesse. Successivamente, con l’estensione a tutto il territorio nazionale, tale limitazione è venuta meno ed i datori di lavoro possono inoltrare, liberamente, le proprie domande per i dipendenti in forza alla data del 23 febbraio 2020 (data che, ora, alla luce dell’art. 41 del D.L. n. 23/2020, pubblicato nello stesso giorno in cui è uscita la circolare n. 8, è da intendersi riferita ai lavoratori assunti entro il 17 marzo). A tal proposito l’INPS, con il messaggio n. 1607 del 14 aprile ha chiarito che i datori di lavoro che avessero già inviato la domanda, ne potranno fare una integrativa includendo i dipendenti in un primo tempo esclusi, perché assunti successivamente;
b) I datori di lavoro non debbono seguire la procedura prevista dal comma 1 dell’art. 14 del D.L.vo n. 148/2015, essendo legati unicamente all’iter abbreviato di cui parla il successivo comma 4;
c) I datori di lavoro non debbono presentare le istanze nei termini previsti dagli articoli 15, comma 2 e 30, comma 2, del D.L.vo n. 148/2015 dall’inizio della sospensione o della riduzione di orario, ma nei 4 mesi successivi alla scadenza del mese in cui ha avuto ;
d) I datori di lavoro oggetto di intervento del D.L. n. 9/2020, possono fruire di un periodo massimo di 13 settimane (4 +9) nell’arco temporale compreso tra il 23 febbraio ed il 31 agosto 2020, ma nulla ricorda il Ministero in relazione al calcolo delle settimane, magari richiamando i contenuti della circolare INPS n. 58/2009;
e) Il periodo integrativo per “COVID-19 emergenza” (causale valida per le ipotesi richiamate dal D.L. n. 9/2020) e per “COVID-19 nazionale” (causale valida per le ipotesi richiamate dal D.L. n. 18/2020”) è neutro rispetto alla durata massima complessiva prevista per gli ammortizzatori sociali in relazione sia al biennio che al quinquennio mobile: ciò significa, ad esempio, che un’impresa che abbia esaurito le 52 settimane nel biennio mobile, può usufruire di un ulteriore periodo correlato al coronavirus;
f) Il limite di 1/3 delle ore lavorabili nel biennio mobile con riferimento al personale in forza (calcolato come media) nel semestre precedente, distinti per orario contrattuale, non trova applicazione;
g) L’anzianità di 90 giorni nell’unità produttiva prevista dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 148/2015, non trova applicazione in quanto la norma fa, unicamente, riferimento al personale in forza alla data del 17 marzo 2020, dopo le modifiche introdotte con il D.L. n. 23/2018;
h) Le imprese sono esonerate dal pagamento del contributo addizionale previsto dall’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015.
Ricorda, poi, la circolare che le domande vanno presentate con le modalità individuate dall’INPS nelle proprie note amministrative, che può essere richiesto il “pagamento diretto” da parte dell’Istituto, previa richiesta del datore di lavoro interessato e che l’informativa, la consultazione e l’esame congiunto previsti dall’art. 19 debbono essere svolti entro i tre giorni successivi alla comunicazione e che tutto questo può avvenire anche in via telematica (come già dello sia dall’art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 148/2015, che dalle circolari n. 38 e n. 47 dell’INPS e come hanno già fatto decine di migliaia di operatori).
Fin qui la circolare che, a mio avviso, avrebbe potuto anche fornire alcune indicazioni relative alla gestione di vari istituti contrattuali e legali in presenza di integrazione salariale, cosa che sarebbe stata ben gradita dagli operatori alle prese con malattie, congedi, permessi, assegni familiari, cessioni del quinto, ecc.).
Passo, ora, ad esaminare le indicazioni fornite su questi punti, ove l’azione del Ministero del Lavoro, sotto l’aspetto burocratico amministrativo è di notevole importanza.
Innanzitutto è stato ricordato che la disposizione si applica anche alle aziende che sono in CIGS nelle aree di crisi industriale complessa ex art. 44, comma 11-bis, del D.Lgs. n. 148/2015 e che la concessione, per un massimo di 13 settimane per le imprese oggetto di intervento attraverso il D.L. n.9/2020 ma 9 per le altre, è subordinata alla formale sospensione degli effetti del trattamento di integrazione salariale straordinaria in corso: sul punto, il Ministero rinvia alle circolari INPS n. 38 e n. 47.
Ma, cosa debbono fare le imprese che intendono ottenere la sospensione dalla CIGS per poter accedere al trattamento ordinario per “COVID-19 nazionale” o per “COVID-19 emergenza”?
L’iter delineato è il seguente:
· Presentazione della istanza attraverso il canale di comunicazione attivato per la CIGSonline e inoltrate a dgammortizzatorisocialidiv4@lavoro.gov.it o all’indirizzo PEC della stessa Divisione: per le imprese situate in aree di crisi complessa la domanda va inviata a <rich-sito url="mailto:dgammortizzatorisoìcialidiv3@lavoro.gov.it">dgammortizzatorisoìcialidiv3@lavoro.gov.it</rich-sito>. o alla relativa PEC. In tale nota l’impresa deve richiedere la l’interruzione e deve specificare sia la data di sospensione della CIGS che quella di ripresa del programma. La successiva concessione del trattamento ordinario da parte dell’INPS avviene senza soluzione di continuità e sostituisce quello straordinario in corso che viene sospeso;
· La Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione, con decreto direttoriale, dispone sia la sospensione della CIGS che la ripresa del programma al termine della fruizione del trattamento ordinario;
· I termini procedimentali previsti dagli articoli 24 e 25 non trovano applicazione.
Per il resto, si rimanda alla circolare INPS n. 47 anche in ordine alla possibilità che, dietro richiesta dell’azienda, senza l’allegazione di alcun elemento probatorio finalizzato alla dimostrazione delle difficoltà economiche, si possa richiedere all’Istituto il pagamento diretto previsto dall’art. 7, comma 4, del D.L.vo n. 148/2015.
Una particolare attenzione alla materia della CIG in deroga viene prestata dal Ministero del Lavoro, non tanto per la “parte normale”, riferita alle procedure da instaurare nelle singole Regioni o Province Autonome per tutti i datori di lavoro interessati che sono quelli che non hanno altri ammortizzatori sociali (perché scoperti sotto l’ambito di applicazione della CIGO o del FIS), ivi compresi il terzo settore, la pesca e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, quanto per le istanze che vanno inviate al Ministero del Lavoro dalle imprese che hanno unità produttive/operative in almeno 5 regioni o Province Autonome, come afferma l’art. 2 del Decreto Interministeriale 23 marzo 2020. Sulle CIG in deroga autorizzate dai singoli Enti territoriali la circolare n. 8 rinvia a quanto già disposto, in via amministrativa, dall’INPS.
Con la circolare n. 8/2020 si dà il via alla specifica procedura che interessa, in particolar modo, le imprese commerciali, anche di un certo spessore, le agenzie di viaggio e turismo che debbono procedere a sospensioni o riduzioni di orario e che hanno unità produttive od operative dislocate con i loro negozi o in tutto il Paese e che pagano la contribuzione per la CIGS ma che sono fuori dall’ ”ombrello protettivo” della CIGO. Tale procedura può essere attivata anche per i lavoratori sospesi da aziende fallite.
Questo l’iter da seguire:
· Istanza telematica inoltrata attraverso il canale della CIGSonline;
· Modalità telematica: “invio cartaceo” o “invio digitale”. Nel primo caso va allegata la scansione della prima pagina accompagnata da una firma autografa del responsabile con un documento in corso di validità. La circolare, emanata l’8 aprile, chiedeva anche l’applicazione della marca da bollo: tale ipotesi, però, è superata per effetto dell’art. 41 del D.L. n. 23/2020, emesso sempre in pari data, che la esclude. Se l’impresa ha inviato la domanda con una modalità diversa, deve trasmetterne una nuova in modalità telematica;
· L’istanza deve essere accompagnata dall’elenco dei lavoratori beneficiari, con la quantificazione delle ore di sospensione o di riduzione di orario, suddivise tra tempo pieno e tempo parziale, con l’importo economico conseguente. Sono, ovviamente, necessari sia i dati aziendali, che quelli delle unità produttive/operative che “godono” del trattamento, che la causale di intervento. Il Dicastero del Lavoro ha chiarito che per unità produttive si intendono anche i singoli negozi o punti vendita.
· Il Ministero, con un riferimento al comma 1 dell’art. 1 del D.L. n. 18/2020 (peraltro, corretto, il giorno dopo, con un “errata corrige” apparso sul proprio sito, ove a posto dell’art. 1 c’è il 22), afferma che la domanda dovrà essere accompagnata dall’accordo sindacale: nelle FAQ rinvenibili sul sito dell’Amministrazione si afferma che è sufficiente la trasmissione di uno soltanto che tratti la situazione complessiva;
· Lavorazione delle pratiche secondo l’ordine cronologico di arrivo.
La lettura della circolare fa, a mio avviso, sorgere molte perplessità allorquando afferma che va prodotto l’accordo sindacale “espressamente” richiamato dal comma 1 dell’art. 22. Se le parole e la logica hanno un senso a me sembra che il comma 1 faccia unicamente riferimento all’accordo-quadro sottoscritto dalle Regioni o dalle Province Autonome con le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Peraltro, sul punto, l’Esecutivo, in maniera affrettata, ha dimenticato di citare come partecipi all’accordo le associazioni dei lavoratori me, ritengo, che ciò sia ascrivibile ad un mero refuso, cosa che è testimoniata dal fatto che, comunque, queste ultime sono state ai tavoli degli Enti territoriali.
L’informazione, la consultazione e l’esame congiunto nei tempi brevi “cadenzati” dal comma 4 dell’art., 14 sono stati, da sempre, messi in stretta correlazione con l’art. 5 della legge n. 164/1975 (ora abrogato dal D.L.vo n. 148/2015), laddove non si è mai parlato di obbligatorietà dell’accordo ma soltanto di esame congiunto: in questo caso, poi, non mi sembra ravvisabile una discrezionalità in capo al datore di lavoro, in quanto la causale del coronavirus può ben ascriversi ad un evento non imputabile e non prevedibile che di per se stesso, tenuto conto della crisi epidemiologica, non si presta a dilazioni temporali quali potrebbe essere lo “sforamento” del termine massimo per raggiungere l’accordo.
Alla luce di tale richiamo non si capisce il perché di questa scelta che non collima con ciò che ha affermato la circolare INPS n. 47/2020 laddove chiarisce per la cassa in deroga si applicano le medesime regole stabilite con l’art. 19 (informativa, consultazione ed esame congiunto, nella forma del comma 4 dell’art. 14 del D.L.vo n. 148/2015): ciò può, facilmente, essere letto al punto F, ultima frase del settimo capoverso.
A ciò va aggiunta un’altra considerazione: in alcuni contesti regionali (ad esempio, Veneto, Toscana, Campania, ecc.) si dà l’avvio alla CIG in deroga anche in assenza dell’accordo aziendale, seppur richiesto dall’accordo-quadro, con una dichiarazione del datore di lavoro che si assume la responsabilità di aver effettuato l’informativa e la consultazione, sia pure telematica, tenuto conto della situazione e dei tempi brevi postulati dal predetto comma 4 dell’art. 14.
La nota ministeriale tratta, infine, tratta altre due questioni.
La prima riguarda il trasporto aereo (con il pensiero rivolto, innanzitutto, all’Alitalia) ove viene autorizzata la presentazione della istanza di CIGS ai sensi del D.L.vo n. 148/2015: quindi, riorganizzazione o crisi aziendale ma, in mancanza di chiarimenti espliciti (e, soprattutto di chiare “coperture economiche”), ritengo che trovino applicazione sia gli oneri previsti dalla procedura che il contributo addizionale. La richiesta sembra essere stata ammessa per consentire alle imprese del settore di accedere alle prestazioni de Fondo di solidarietà del settore.
La seconda appare un richiamo normativo: le imprese con oltre 50 dipendenti che non hanno la CIGO (imprese commerciali, grande distribuzione, agenzie di viaggio e turismo, ecc.), in alternativa alla Cassa in deroga, possono sempre accedere alla CIGS per crisi aziendale ex art. 22 del D.L.vo n. 148/2015. Personalmente, ritengo che questa, con gli opportuni incentivi (neutralizzazione del periodo, esonero dal contributo addizionale, ecc.), sarebbe stata la strada migliore, per tutta una serie di motivi (non ultimo, quello di non toccare le erogazioni economiche destinate alla CIG in deroga destinate a “coprire” anche i lavoratori delle piccolissime aziende) ma, in mancanza, delle particolari agevolazioni previste per la causale COVID-19 (non ultimi, anche le procedure ed i tempi di approvazione) la via obbligata appare proprio la CIG in deroga.
La circolare n. 8 non tratta, minimamente, la questione dei Fondi bilaterali alternativi verso i quali vanno indirizzate le istanze dei datori di lavoro dei settori ove sono stati costituiti. Particolari problemi si sono posti per quello del settore artigiano ove, una particolare diatriba, ha opposto il Comitato Amministratore e l’INPS con due diverse interpretazioni ove l’Istituto ritiene (in contrasto con il primo) che le aziende del settore possano avanzare la richiesta di integrazione salariale pur non essendo in regola con la contribuzione, in quanto tale ammortizzatore viene erogato con i fondi dello Stato.
Il Ministero ignora la questione e rimanda ad indicazioni (ma, nel frattempo, cosa fanno le imprese?) che saranno fornite dalla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione in una prossima nota esplicativa: speriamo presto!