News
Archivio newsCoronavirus: indispensabile un contributo UE a fondo perduto per le imprese
E’ trascorso più di un mese dal lockdown nazionale e sono più di tre milioni di persone che vivono in una famiglia monoreddito hanno già varcato la soglia della povertà. Commentando sul Corriere della Sera i dati dell’ultimo report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone ha tracciato i contorni sempre più critici di un’emergenza sanitaria che è anche sociale ed economica. Oltre ai lavoratori posti in cassa integrazione, ci sono artigiani, commercianti e imprenditori per i quali i sussidi economici previsti finora non bastano a far fronte ai costi aziendali fissi delle loro attività.
La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha pubblicato, in data 17 aprile 2020, l’analisi dal titolo “COVID-19: aumentano le famiglie in ristrettezza economica”, che è stata commentata dalla Presidente del Consiglio Nazionale Marina Calderone sul Corriere della Sera.
La sospensione, anche se temporanea, delle attività produttive che si è resa necessaria al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha, determinato, per 3,7 milioni di lavoratori, il venir meno dell’unica fonte di reddito familiare. Tra l’altro, quasi la metà dei lavoratori dipendenti impiegati nei settori “che hanno chiuso”, già ordinariamente guadagnava meno di 1.250 euro mensili e il 24,2% si trova addirittura sotto la soglia dei mille euro, per i quali l’assenza di reddito anche per un solo mese può determinare una situazione di grave disagio.
Anche i giovani si trovano in notevole disagio: stipendi più bassi per via della minore anzianità lavorativa determinano minore disponibilità di risparmio da poter utilizzare in questa fase emergenziale.
I due terzi dei 2,5 milioni di donne, addette nelle attività di vendita e occupate part time, percepiscono uno stipendio di 1.250 euro al mese contro il 36% dei maschi.
Da un punto di vista territoriale è al Sud che si ha la maggiore concentrazione di disagio con una incidenza, tra i lavoratori dipendenti temporaneamente senza lavoro, dei monoreddito, pari al 49,6% (contro il 35,2% dei residenti del Centro e il 34,3% del Nord Italia).
La situazione appare più critica se si guarda ai lavoratori autonomi: la quota di quanti non lavorano per effetto delle chiusure da COVID-19 è più alta (55% contro il 38,2% dei dipendenti), come è più alta anche la percentuale di chi vive in famiglie monoreddito (sono il 42% contro il 38% dei dipendenti).
I provvedimenti adottati a tutela della salute pubblica hanno esposto a maggiore rischio proprio i lavoratori meno qualificati e a più basso reddito, che avrebbero invece avuto bisogno di più tutele, quali i comparti manifatturieri, al lavoro artigiano e operaio, all’edilizia o al commercio. Come osservato dalla Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone: “Al contrario chi ha potuto contare sulla continuità lavorativa tramite smart working sono stati soprattutto i lavoratori della conoscenza, impiegati e quadri di aziende pubbliche e private, professioni a più alta qualificazione, che vantano titoli di studio e redditi più elevati. In tale ottica, l’emergenza COVID-19 sta avendo a livello occupazionale un vero e proprio effetto divaricante, amplificando il disagio sociale in quei segmenti socio-territoriali che già si trovavano in condizioni economiche molto precarie e mettendo in grande difficoltà anche quella vasta platea di famiglie abituata a gestire con grande oculatezza il proprio bilancio mensile e che non può contare su una riserva di risparmio sufficiente a garantire la copertura da eventuali rischi o emergenze come l’attuale”.